I testi teatrali di Ubulibri
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Elfriede Jelinek, Sport. Una pièce. Fa niente. Una piccola trilogia della morte, introduzione di L. Reitani, Milano, Ubulibri, 2005, pp. 178, euro 22.00, isbn 8877482389
Thomas Bernhard, Teatro V. Il Presidente, Il teatrante, Elisabetta II, introduzione di E. Bernardi, Milano, Ubulibri, 2004, pp.262, euro 22.00, isbn 887748251-6
Annibale Ruccello, Teatro. Le cinque rose di Jennifer, Notturno di donna con ospiti, Weekend, Anna Cappelli, Mamma, Ferdinando, introduzione di E. Fiore, Milano, Ubulibri, 2005, pp. 186, euro 19.00, isbn 8877482737
Davide Enia, Italia-Brasile 3 a 2, Maggio '43, Scanna, introduzione di F. Quadri, Milano, Ubulibri, 2005, pp. 156, euro 16.00, isbn 8877482605
Con queste quattro ultime uscite le edizioni Ubulibri confermano una posizione di prestigio e di coerenza allinterno del panorama editoriale italiano dedicato al teatro. Mentre una casa editrice come lEinaudi pare trascurare i testi contemporanei nella collezione teatrale che tanto merito ha avuto negli anni e mentre altri editori, per altro valorosi, non riescono a dare continuità e varietà alla pubblicazione di testi teatrali del nostro tempo, la casa editrice di Franco Quadri ha il merito di mantenere un buon ritmo di uscite, inserendo nel proprio catalogo, accanto a drammaturghi di accertato valore internazionale, giovani talenti in via di affermazione o autori di recente canonizzazione. Il canone, appunto, potrà non essere completo ma lintento è decisamente lodevole: acquisire alla carta stampata, alla memoria e soprattutto al riuso (quale esso sia) materiali scenici contemporanei, altrimenti destinati alla consumazione e consunzione nel breve tempo dello spettacolo. In altre parole consentono, questi libri, lesatto contrario di quanto fanno i classici: non si monumentalizzano per la futura memoria ma si mettono a disposizione di chi voglia leggerli, meditarli, anche negarli e superarli; insomma avviano un circuito più largo di quello concesso allevento performativo.
Si dirà che questo discorso è ozioso e lapalissiano. Ma non è vero se si pensa alla leggerezza e facilità con cui negli anni più felici della creatività novecentesca si sono bruciati sulla scena, e solum sulla scena, tante talentuose invenzioni testuali. E certo questo la conferma di una fase di stanchezza: oggi la pubblicazione del teatro è maggiore della sua rappresentazione perché si potrebbe dire meno si crea e più si conserva. Può darsi, ma potrebbe anche esserci unaltra verità: oggi si pubblica di più perché si sta facendo un lavoro consuntivo più accurato, in cui confluiscono i frutti e le tracce di una animosità trascorsa e ormai sedimentata. Qualunque sia lanalisi ben vengano iniziative come questa che da una parte colgono sul nascere fenomeni curiosi (è il caso di Davide Enia), dallaltra permettono una meditata rilettura di autori che ci hanno sorpreso sulla scena (sia pure a diversi livelli, Bernhard e Ruccello) e da unaltra ancora ci fanno scoprire testi (quelli della Jelinek) praticamente introvabili in Italia. Con questo metodo Franco Quadri continua quanto già fece allepoca della sua direzione di «Sipario», quando in anni lontani ci fece conoscere meglio quel che di nuovo si scriveva e si faceva al di fuori della nostra provincia.
Era stato per merito di Luciana Libero che avevamo potuto leggere per la prima volta il più bello dei testi di Ruccello, Ferdinando, accompagnato da una bella prefazione (Dopo Eduardo. Nuova drammaturgia a Napoli, Napoli, Guida, 1998). Adesso le opere dello sventurato amico possono essere lette tutte insieme, ed il bilancio, dopo tanti anni dalla scomparsa, pare ancora positivo anche se queste prove appaiono ad uno sguardo severo che non si lascia commuovere dal ricordo più le premesse di un futuro dautore che la conferma di un valore del tutto acquisito. Oltre a Ferdinando la rilettura, ad esempio, delle Cinque rose di Jennifer, lascia infatti la sensazione di una maniera, per quanto fresca, assai codificata: unopera di genere, melodramma en travesti che, fuori dal calore della scena, lascia scoperta la debolezza di un linguaggio in cerca di una forma teatrale compiuta. Ma ad altri posteri lasciamo il giudizio, dato che il ricordo dellintelligenza teatrale di Ruccello per chi lha visto e conosciuto da vicino scolora inevitabilmente sulla freddezza del critico. E questa edizione gioverà sicuramente.
Molto ci sarebbe da dire sul quinto volume dedicato alla traduzione italiana del grande tragico e disperato Thomas Bernhardt, riproposto con traduzione e introduzione di uno dei suoi più attenti studiosi, Eugenio Bernardi. Il saggio che precede i testi non si sofferma tanto sulle tre opere questa volta tradotte ma, da una parte, traccia un bilancio della ricezione italiana e europea di Bernhardt e, dallaltra, analizza alcune posizioni critiche preminenti, esprimendosi anche in interessanti giudizi di valore sulle opere ‘politiche: tra queste Il Presidente occupa di sicuro un posto di rilievo e meriterebbe un degno allestimento italiano. Ci auguriamo di vedere presto in edizione integrale tutta lopera dello scrittore austriaco tradotta in italiano: la pura e semplice lettura di questi tre testi conferma che il grande teatro può anche essere grande letteratura.
Lo stesso non si può dire dei copioni di Davide Enia: questi perdono infatti sulla carta la carica ritmica che inevitabilmente si percepisce in teatro, anche perché la trascrizione fonetica del siciliano in lingua scritta fa del tutto svaporare la musicalità della recitazione orale, quasi sempre enfatizzata o cauterizzata, ovviamente ad arte, dalla grande carica espressiva dellattore in scena. La lettura di questi testi ripropone il drammatico scarto fra loralità del dialetto e la sua trascrizione cartacea. Divaricazione che solo può essere ricomposta dallattenzione ai contenuti brillantemente, malinconicamente e teneramente testimoniali comunque radicati nellantropologia e nella storia della propria terra. Tra le diverse forme del teatro di narrazione (un ritorno impressionante, in questi ultimi anni, alle forme primordiali dellepica arcaica) quella adottata da Enia pare una delle più originali e come ha bene evidenziato Quadri dellIntroduzione sembra evolversi da uno stato di autorappresentazione soggettiva e autobiografica verso una coralità carica di suggestioni fantastiche.
Alla ragnatela logico-razionale dei linguaggi si rifà invece la trama drammaturgia intessuta da Elfriede Jelinek, quasi sessantenne scrittrice austriaca Premio Nobel 2004, assai poco conosciuta in Italia. Nel volume della Ubulibri figurano un dramma (Sport. Una pièce) e una trilogia costituita da tre brevi testi (La regina degli Elfi, La morte e la fanciulla, Il viandante), cui seguono due interventi dellautrice; precede il tutto una ricca e utile introduzione di Luigi Reitani. Apparentata da molti a quella di Beckett e Bernhardt, la scrittura che qui si può leggere denota una raffinata anche troppo sapienza letteraria, una capacità di svolgere e riavvolgere, con sarcasmo più che con ironia, il filo del discorso secondo le cadenze e le forme della convenzione stereotipata.
Cè qualcosa dello spirito di Karl Krauss, ma reso più acido e intollerante dallaccumulo di banalità terrificanti che la cultura borghese ha saputo seminare nelle teste e nelle lingue di tutto lOccidente nellultimo secolo. I testi sono pareti altissime di insofferenza, difficilmente immaginabili nello spazio e nei corpi di un palcoscenico. Ma è proprio questa non teatrabilità che affascina probabilmente i teatranti e ancor più i letterati che hanno fatto di questa autrice il loro cult. Le pagine dedicate allinvadenza dello sport nella nostra società, cui si intitola il primo di questi drammi, sono ferocemente attuali e meriterebbero un crudele messa in scena nel nostro paese sempre più affetto da demenza sport-televisiva.
Siro Ferrone
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