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George Tabori

Mein Kampf

A cura di Laura Forti

Torino, Einaudi, € 8,00, pp. 61
ISBN 88-06-16856-8

Dopo la pubblicazione de I Cannibali la casa editrice Einaudi continua l'operazione di conoscenza e divulgazione del teatro di George Tabori, proponendo un altro testo fondamentale, Mein Kampf a cura di Laura Forti con la presentazione di Moni Ovadia.

L'opera, ricavata dall'adattamento del racconto Meine Kämpfe edito nel 1986, fu rappresentato nel 1987 nel Burgtheater di Vienna in un clima di tensioni politiche dovute alla fresca elezione presidenziale di Kurt Waldheim, noto collaboratore nazista poi segretario delle Nazioni Unite. Il successo si rinnovò sui palcoscenici di tutto il mondo, dalla Germania alla Gran Bretagna, dalla Francia agli Stati Uniti.

Mein Kampf è una farsa in prosa in cinque atti ambientata nella capitale austriaca in un pensionato per vagabondi, dove nel 1900 Adolf Hitler trova ospitalità quando è ancora un ragazzo maleducato e viziato che aspira a diventare pittore ma ha scarso talento. Di lui si interessa Schlomo Herzl, vecchio e squattrinato libraio ebreo che sogna di scrivere un grande libro sul significato dell'esistenza, del quale ha appuntato solo l'inizio e ha deciso il titolo, Mein Kampf. L'uomo nutre sincero affetto verso Hitler e manifesta affettuosi segni di amicizia verso questo giovane isterico, gli presta il cappotto, gli insegna le buone maniere, lo consiglia di buttarsi in politica. Le dolci premure, quasi paterne, non trovano la giusta corrispondenza. Bocciato agli esami di ammissione all'Accademia delle Belle Arti, Adolf si dichiara sempre più convinto nel suo proposito di "ridurre le persone", di metterle in riga "e se necessario di spingerle sotto".

Temendo che i suoi piani di conquista del mondo "tutto intero, compreso la Nuova Zelanda" vengano svelati, intima l'amico Herzl a consegnargli il libro in corso di stesura che però "vive solo nella sua testa", perciò materialmente inesistente. La reazione è violenta e presagisce il futuro. Il vecchio ebreo sarà punito con il sacrificio dell'innocente e cara gallina Mitzi con la complicità dell’amico Himmlisch, un "genio scienziato" specializzato nella riduzione di crani alle dimensioni di una pallina da ping-pong. Hitler cucina l'animale in una "deliziosa salsa di sangue", macabro finale che anticipa lo sterminio che di lì a poco colpirà l'umanità.

Tabori rappresenta Hitler come un uomo mediocre, un frustrato, un pazzo isterico. Cuce elementi autobiografici con gli incubi e i fantasmi, slitta nell'aneddotica e nelle banalità quotidiane. Lo stesso Herzl capisce la mostruosità del soggetto, non sottovaluta l'inquietante aspetto e quando la Signora Morte gli domanda perché in precedenza ha salvato la vita ad un efferato assassino, l'ebreo risponde: "Questo dovrebbe essere lo scopo della poesia. Chiacchierare con la Morte per prendere Tempo."

Che si annidi nell'animo del buon Herzl una sottile e quasi impenetrabile vena hitleriana, e dunque in ciascuno di noi, è un sospetto alimentato da non pochi indizi. Ma l'obiettivo di Tabori è colpire con l'arma della beffa questo Hitler che eventualmente si nasconde in noi, come di legge al termine della piéce:"è nel cuore di ogni scherzo [che] si nasconde un piccolo olocausto."

Lo stesso autore definì Mein Kampf "una storia banale, nel senso hollywodiano del termine. Una grande storia d'Amore. Hitler e il suo Ebreo. Un caso orribile." L'incontro drammaturgico tra il "banale" e l’"orribile" produce un testo teatrale complesso, in cui si intrecciano citazioni dal Cantico dei Cantici, richiami a Brecht, duetti alla Stan Laurel e Oliver Hardy, elementi farseschi e ironici riferimenti autobiografici.

Massimo Bertoldi


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