drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Orio Caldiron

Pietro Germi. La frontiera e la legge


Roma, Bulzoni, 2004, pp. 168, euro 14, 00
ISBN 88-8319-904-9
«Io sono un uomo all'antica, anche se abbastanza giovane. – si legge in un articolo di Pietro Germi pubblicato su «Oggi» nel 1956 - Mi piace ad esempio il Palazzo di Giustizia, qui a Roma. Quante volte vi hanno detto che è brutto? Guardatelo bene. Sarà un po' greve, ma è una delle ultime costruzioni in Italia con il senso dell'ornamento, del superfluo, cioè dell'umano. Per lo stesso motivo porto i pantaloni con il risvolto. […] Il giovane intellettuale che non porta risvolti ai pantaloni non si commuove e non piange. Perché è un debole, dico io, e non è nemmeno colpa sua. Noialtri uomini e donne coi risvolti ai pantaloni non ci vergogniamo di piangere. Anzi piangiamo spessissimo, siamo delle vere fontanelle, come dice l'indimenticabile protagonista di Marty. Del resto anche gli eroi di Omero piangevano senza vergogna, con il volto rigato di lacrime ben esposto al sole».

A trent'anni dalla morte di Germi (1914-1974), Orio Caldiron cura un agile (168 pagine) volume che si suddivide - a parte il saggio introduttivo (La modernità e la frontiera) scritto dallo stesso Caldiron e l'accurata appendice finale (Cronologia, Filmografia e Bibliografia) - in tre sezioni: nella prima, Germi secondo Germi, sono raccolti alcuni dei più significativi articoli firmati dal regista genovese e comparsi su riviste più o meno specializzate; nella seconda, Diario di bordo, vengono proposti il bellissimo racconto Il rimorso del 1935, un paio di brevi soggetti del 1937, due significative lettere inedite e un vero e proprio diario, pubblicato su «Panorama» nel 1963, dove Germi compendia in quattro pagine quindici anni di carriera; nella terza e ultima, intitolata Dicono di lui, viene offerta una rassegna di testimonianze su Germi scritte, fra gli altri, da collaboratori come Federico Fellini (soggettista e sceneggiatore di Il cammino della speranza, La città si difende e Il brigante di Tacca del Lupo) e Alfredo Giannetti, attori come Leopoldo Trieste e amici come Mario Monicelli.

Nelle quattordici pagine - esaurienti nella loro ammirevole concisione - che compongono il suo saggio introduttivo, Caldiron ripercorre le fasi attraversate dal cinema di Germi: da Il testimone (1945) in cui viene messo in scena il mito della legge a In nome della legge (1948) che «coincide con la scoperta della Sicilia» - ovvero della frontiera - da parte del regista; dalla trilogia – non a caso interpretata dallo stesso Germi – della crisi e del cambiamento (Il ferroviere, 1955, L'uomo di paglia, 1957 e il "primo poliziesco italiano" Un maledetto imbroglio, 1959) alla svolta "grottesca" di Divorzio all'italiana (1961) cui seguono Sedotta e abbandonata (1963) e Signore & Signori (1965); dal "bilioso manierismo" di Serafino (1968) e Le castagne sono buone (1970) ad Alfredo, Alfredo (1972), corrosivo e pessimistico «redde rationem delle ossessioni dell'autore».

Assorbita la lezione del cinema americano, Germi si affida ai generi (western, road-movie, film gangster, melodramma) per cercare «di stabilire con la realtà italiana lo stesso rapporto che i cineasti americani hanno con la loro realtà nazionale», passa dunque attraverso un «cinema della trasmutazione e del malessere […] che si chiude in casa come in un fortino assediato» e approda infine a una commedia barocca e grottesca – ambientata in una «Sicilia frontiera passionale» e non più «sociale» - in cui «il mito della legge è visto tutto in negativo». Così, in termini palazzeschiani, Monicelli – cui Germi affiderà la regia del suo Amici miei (1975) – parla di questo passaggio dal tragico al comico: «si conferma la mia teoria che lo stadio espressivo drammatico corrisponde alla fase "infantile" della produzione di un artista, mentre è molto più matura l'espressione comico-umoristica».

Ad affascinare è soprattutto l'autoritratto di Germi che viene fuori dal piccolo puzzle di scritti antologizzati da Caldiron in Germi secondo Germi e in Diario di bordo. Ad interessare è soprattutto – in Dicono di lui - lo scarto tra il suo essere e il suo apparire, tra l'immagine che Germi dà di sè e l'immagine che gli altri – quelli che hanno l'accortezza di limitare ai minimi termini l'aneddotica autoreferenziale - si sono fatta di lui. Un uomo destinato a venire frainteso perché "con il risvolto ai pantaloni", sentimentale e anche ottimista («nevrotico non è il mio senso dell’esistenza. Non mi annoio e la vita mi piace, lo confesso, bella e brutta com’è»), "all'antica" («forse in questo io non sono moderno, se essere moderno è lasciare tutto incerto, sfumare la fine dei film, non definirli: d'accordo anche la vita è ambigua, ma io tengo a dare una conclusione alle cose, una morale»), solitario («ho una vita sociale inesistente, io non vedo assolutamente nessuno. Vita mondana? Feste? Ma che. Scherziamo?») e ostinatamente restio a sentirsi in sintonia col presente («siccome, come tutti gli attori, devo pagare lo scotto dell'ambizione interpretativa, ho anch'io i miei personaggi ideali, quelli che mi piacerebbe un giorno interpretare. Savonarola, per esempio, che fu un uomo austero, profondamente compreso del mondo in cui viveva e tuttavia con esso – e con le leggi divine e umane – in perenne conflitto»). Un artista forse mai abbastanza valorizzato che, al servizio di un cinema onesto, voleva divertire il pubblico e non annoiarlo assecondando i capricci della critica ("tengo conto del pubblico. Non penso invece alla critica. Se dovessi seguire la critica, non farei più niente") o degli intellettuali (sintomatica la sua idiosincrasia per Gadda durante la lavorazione di Un maledetto imbroglio). E decisamente disgustato dal pansessualismo cinematografico: «Io trovo che il sesso è un argomento veramente noioso. […] Il suo valore spettacolare consiste in un eccitamento umorale che, se non subordinato a un preciso senso etico, ha la gratuita e macabra indecenza d'una serie di impianti igienici».

Nel 1951 Germi sta per cominciare un nuovo film: «ormai è il sesto eppure, ogni volta, è lo stesso terrore, la sensazione angosciosa di non potercela fare». Dopo Divorzio all'italiana, nel 1963, si accinge a girare il suo tredicesimo film, Sedotta e abbandonata: «come sempre sono pieno d'incertezza e di paura». Impossibile - per chi scrive – non associare queste annotazioni a una frase che Salinger cita in Seymour. Introduzione: «Il saggio è pieno di ansietà e indecisione nell'intraprendere qualsiasi cosa, e perciò ha sempre successo».           


Giulia Tellini


copertina

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013