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L'invenzione della memoria. Il teatro di Ascanio Celestini

A cura di Andrea Porcheddu

Pozzuolo del Friuli (UD), Il Principe Costante Edizioni, 2005, pp. 218, € 15,00
ISBN ISBN 88-89645-00-8

Ascanio Celestini, classe 1972, si è conquistato nel giro di pochi anni una posizione di primo piano nella nuova scena italiana. L'ascesa è stata così rapida, segnata da una striscia di spettacoli di successo ascrivibili al genere del cosiddetto "teatro di narrazione", che ha mobilitato una manciata di critici e studiosi per analizzare le molteplici sfaccettature della ricca produzione dell'autore romano. Il risultato è dato dai contributi raccolti da Andrea Porcheddu e contenuti nel libro L'invenzione della memoria. Il teatro di Ascanio Celestini recentemente pubblicato da Il Principe costante Edizioni.

Apre il volume l'intervento fondamentale di Celestini. A che cosa serve la memoria è un racconto quasi autobiografico distribuito in ordine cronologico, che segue le tappe del suo percorso, dagli esordi teatrali in ambito universitario alla scuola di teatro di Perla Peragallo e all'esperienza toscana maturata nel Teatro di Montevaso, per poi illustrare il procedimento creativo alla base dell'elaborazione dei testi. La drammaturgia si enuclea dalle fonti orali di matrice popolare, la parola confluisce nel flusso evocativo dell'immagine, lo spettacolo nasce senza le canoniche prove e si trasferisce nei terreni dell'improvvisazione. Intorno a queste caratteristiche del procedimento creativo si sviluppano gli approfondimenti dei vari saggi.

In Poetiche e rituali di Ascanio Celestini Gerardo Guccini inquadra l'opera nel filone del "teatro di narrazione" e affronta una rigorosa analisi dedicata al procedimento compositivo, che depone le proprie radici antropologiche nella cultura orale filtrata. Sospeso tra cultura arcaica e aperture sperimentali, Celestini inventa un "monogramma di narrazione" in cui convergono la "memoria della mente" e la "memoria del corpo", in un gioco acrobatico nel tempo e nello spazio narrativo.

Il saggio di Guido di Palma, Un testimone dell'apocalisse. Tradizione e invenzione nella tabulazione di Ascanio Celestini, si apre con la distinzione tra l'attore monologante, vincolato al testo scritto, e il "raccontatore" che proviene dagli usi orali di matrice popolare. A quest'ultima categoria appartiene la vocazione fabulatoria di Celestini, che si affida alla narrazione domestica e privata, fondata sulla memoria orale, per alimentare nello spettatore la fantasia e l'immaginazione attraverso uno stile di recitazione basato sulla velocità delle parole e il rifiuto delle intonazioni.

Il teatro di Celestini è anche politico, denuncia condizioni di vita dell'altra Italia, quella dei perdenti, dei lavoratori sfruttati ed emarginati, dei menomati, come dimostra Cristina Valenti nell'intervento Lo scemo di guerra e altre storie alla rovescia. Gli antieroi della trilogia composta da Baccalà, Vita Morte e Miracoli e La Fine del Mondo, e di quella dedicata a tematiche storiche e politiche (Radio Clandestina, Fabbrica, Scemo di guerra) sono protagonisti di vicende surreali ed inverosimili, come detta la visione affabulatoria della realtà. In questo modo abitano la coscienza e l'immaginario collettivo.

Lo scritto di Andrea Porcheddu, Contingenza, ironia, solidarietà, mette in evidenza un altro aspetto fondamentale di Celestini: la sua capacità di ascoltare e di interagire con i testimoni viventi, che l'artista incontra in tre luoghi altamente simbolici, quali la cucina, la casa e la strada. La ricostruzione della memoria di eventi storici segue un percorso che si articola dal dato personale per sfociare nell'esperienza collettiva, come dimostra il grande successo ottenuto da spettacoli come Radio Clandestina e Fabbrica. Lo spettatore riconosce frammenti di sé nel corpo dell'utobiografia del racconto teatrale.

Il critico teatrale Antonio Audino, nell'intervento intitolato C'era una volta una santa…, apre un confronto tra Celestini e i narratori della sua generazione, particolarmente con il siciliano Davide Enia e il pugliese Michele Sinisi. I tre autori-attori condividono il rifiuto della retorica e della ricerca della poeticità, e sviluppano una visione amara e spietata della realtà. L'importanza dell'attività laboratoriale nella ricerca teatrale di Celestini è affrontata da Patrizia Bologna ne I laboratori di Ascanio Celestini. In una sorta di diario di bordo, intercalato dalle parole dello stesso attore romano, l'autrice descrive due diverse tipologie: il laboratorio basato sulle tecniche di narrazione, come emerge dall'esperienza maturata nel 2003 a Rubiera, e il recente laboratorio realizzato a Bologna fondato sulla raccolta di testimonianze per l'ideazione di un nuovo spettacolo dedicato al manicomio che debutterà nell'autunno di quest'anno.

Il carattere evocativo del teatro di Celestini, in cui la parola quotidiana costruisce immagini, è sottolineato anche da Annalisa Canfora ne Il gesto assente. La centralità dell'uomo-attore porta al rifiuto di ogni supporto tecnico, scenografico ed estetico, produce un teatro "essenziale" che determina per l'interprete l'acquisizione di tecniche performative basate unicamente sul corpo, la voce e la forza comunicativa del linguaggio. Chiude questa serie di interventi Organizzando la passione. Colloquio con Debora Pietrobono, organizzatrice e fondamentale figura di riferimento di Celestini, che si addentra nei segreti del lavoro produttivo e creativo.

A completamento di questo libro, prezioso per gli spunti critici e la ricca documentazione, si legge la teatrografia curata da Patrizia Bologna corredata da una emerografia compilata da Natalina Trevisano.


Massimo Bertoldi


copertina

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