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Antiteatro II
Per un pezzo di pane, Come gocce su pietre roventi, Katzelmacher, Il soldato americano, Libertà a Brema
Introduzione e cura di R. Menin

Milano, Ubulibri, 2002, pp. 125, euro 15,00
ISBN 88-7748158-7
Cinque testi - due tradotti da Umberto Gandini, due da Roberto Menin e uno da Luisa Gazzerro Righi - ricordano il valore di uno dei maggiori drammaturghi della fine del XX secolo.

Rainer Werner Fassbinder ha avuto il coraggio di interrompere la catena genetica lungo la quale si erano disposti i grandi autori teatrali del Novecento. Una catena costruita sull'esercizio linguistico, talvolta mirabile, della menzogna o della metafora. I personaggi dei grandi drammi del secolo scorso parlavano come nipoti del secolo romantico. Per svelare la doppiezza "borghese" o "letteraria" del mondo, per mostrarne la falsità o miseria, questi scrittori si servivano tuttavia delle parole della poesia e della letteratura. Il Novecento è stato - salvo qualche rara eccezione - il trionfo del "sottotesto". E i lettori e gli spettatori, gli attori e i registi, si sono addestrati per decenni a scavare "sotto" le parole dei loro testi per scoprire - con esiti tragici o comici, più spesso grotteschi - il conflitto violento tra apparire e essere, tra dire e fare.

Fassbinder ha interrotto quella catena progressiva, tornando bruscamente indietro. Raro esemplare di artista davvero poco fiducioso nelle sorti progressive della società e del teatro, è ripartito dell'Ottocento fermandosi alle soglie della palude psicanalitica. I suoi personaggi (i buoni come i cattivi) non sublimano la natura materiale dei loro bisogni e dicono quel che pensano; anzi dicono quello che fanno, con una chiarezza che nulla ha a che fare con la legge della "contraddizione" tra parole e azione su cui da Ibsen a Strindberg a Pirandello a Brecht a Pinter, si è recitato e messo in scena il nostro tempo. Qui la contraddizione è tutta nei fatti, nell'azione. In questo senso Fassbinder segna un ritorno a Aristotele.

Gli attori e i personaggi di RWF vivono con brutale determinazione i loro interessi. Hanno eliminato il "sottotesto". Non per questo sono freddi esecutori di idee. Nell'opera più riuscita di questa raccolta (Libertà a Brema) la protagonista è una donna sensuale (vuole sesso, amore e figli) che agisce obbedendo all'istinto al pari di un'eroina romantica. Fassbinder ne fa un personaggio 'positivo' che anela alla vita ed è costretta a dare la morte. Gli ostacoli che vengono da lei via via assassinati (il marito, l'amante, il padre, le figlie, ecc.) sono espressione di una società (il dramma è ispirato a un fatto di cronaca dell'Ottocento) basata sul potere del maschio, del denaro e sulla violenza. Ma anche la libertà che la donna può conquistare è ottenibile solo con la violenza. Ogni sua azione non è altro che la messa in scena di un destino irrevobaile, fino alla propria morte.

Senza le dichiazioni di poetica, talvolta faticosamente intellettualistiche, a cui ci hanno abituato i teatranti tedeschi post-brechtiani, mi pare che Fassbinder abbia saputo ridare una voce assai forte alla tragedia, una drammaturgia praticamente inesistente nel secolo XX.

di Siro Ferrone


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