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Fabio Rossi

La lingua in gioco. Da Totò a lezione di retorica
Da Totò a lezione di retorica

Roma, Bulzoni, 2002, pp. 316. Euro 23,00
ISBN 88-8319-697-X
Il libro sfida lo snobismo della critica cinematografica e degli studi linguistici per analizzare il parlato dei film di Totò. Contrariamente a quello che credeva il grande attore ("io non ho il dono della parola"), sono proprio le abilità linguistiche a costituire il fulcro della sua creatività. L'autore di questo volume, ricercatore di linguistica italiana all'Università di Messina, procede con rigore scientifico a dimostrare l'assunto e lo fa in maniera convincente scrivendo forse il più utile libro degli ultimi anni sulla drammaturgia comica italiana del Novecento (qui teatro e cinema sono discipline artistiche perfettamente comunicanti). L'analisi della lingua cinematografica costituisce infatti, quando è condotta con metodo e trasparenza di linguaggio come in questo caso, un contributo per assegnare anche a film "minori" la dignità che spetta alle opere artistiche. Ci sono voluti secoli perché le commedie dei comici dell'Arte dei secoli XVI-XVIII trovassero accoglienza negli scaffali rispettabili della letteratura italiana, ci vorranno ancora degli anni perché i copioni del cinema comico italiano vengano considerati degni di far parte della drammaturgia italiana (altrimenti modesta e deprimente): per gli accademici detrattori il libro di Fabio Rossi dovrebbe costituire un eccellente e efficace certificato di qualità.

L'autore ha condotto un censimento esauriente delle opere di Totò, trascrivendone accuratamente i testi sulla base di registrazioni video o di repertori teatrali (questa seconda parte della documentazione potrà comunque essere perfezionata), mediante segni diacritici che restituiscono il ritmo e l'andamento del parlato. Tutti i fenomeni linguistici sono poi classificati secondo una catalogo retorico rigoroso. Il lettore può così trovare riordinato tutto il gioco comico-verbale che il grande attore ha prodotto per decenni variandolo secondo il mutare del costume o conservandolo secondo le costanti della tecnica e della poetica.

Giustamente, nelle pagine preliminari del suo libro, Rossi pone una delle questioni fondamentali per chi studia questo tipo di spettacolo: quanto la drammaturgia (il testo, i giochi di parole) appartenga alla creatività dell'attore e quanto invece a quell'anonimo autore collettivo costituito dagli sceneggiatori o dagli ensemble che governano e dirigono il testo cinematografico di consumo degli anni Cinquanta-Sessanta. La questione è intricata e di difficile spiegazione, ma in fondo storicamente fondata. Forse sarebbe utile che Rossi consultasse anche gli scritti dei comici dell'Arte del primo Seicento (nel libro è più volte menzionato il fondamentale ma tardoseicentesco Perrucci), vi troverebbe, vivi e vegeti, molti dei lazzi verbali e delle straordinarie invenzioni linguistiche di Totò. La cui virtù - e le pagine di Rossi lo confermano - consiste soprattutto nella sregolatezza, nella disarticolazione, nello sberleffo antiborghese, nella parodia corrosiva di ogni luogo comune. Figlio di Petrolini come dei fools rinascimentali, ma anche del più antico gergo comico, un po' futurista e verboliberista, Totò (insieme al collettivo di autori che lo accompagnarono) è tuttora un balsamo per chi detesta e rigetta l'omologazione di massa.

di Siro Ferrone


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