drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Sceneggiata
Rappresentazioni di un genere popolare
A cura di Pasquale Scialò

Napoli, Guida, 2002, pp. 290, euro 49,50
ISBN 88-7188-628-3
Il libro, di grande formato e dotato di un ricco apparato iconografico, documenta il passato remoto e recente di un genere teatrale (e poi anche cinematografico) caro alla città di Napoli e significativo nel panorama dello spettacolo popolare italiano. Emersa con successo circa novanta anni fa, la sceneggiata napoletana oggi appare decisamente in declino nonostante un revival recente maturato tra gli anni Sessanta e Settanta; tuttavia vanta al suo attivo un ricco repertorio come testimonia il saggio di cronologia (1916-1981) curato in queste pagine da Luciano Villevieille Bideri che, a suo tempo anche autore di sceneggiate, suggerisce qui una sintetica scheda sul genere e la sua storia. 

Nelle sue pagine (pp.191-219), accanto al prezioso catalogo cronologico, si possono leggere le notizie essenziali sulla nascita del fenomeno, legata alla necessità degli autori di spettacoli di varietà di sfuggire alle restrizioni, censorie e erariali, introdotte dal governo italiano nei confronti delle produzioni ritenute "immorali" specialmente durante il periodo bellico e in coincidenza con la sconfitta di Caporetto (fine del 1917). In seguito - ricorda l'autore- la definizione di "sceneggiata" fu attribuita a miscelazioni diverse di prosa e musica, ma sempre la canzone fu al centro della realizzazione, ora dando il titolo alla nuova opera, ora inserendosi alla fine come "aria" principale della rappresentazione, altre volte suggerendo addirittura una trama a tutta l'azione recitata.

Una particolare evoluzione della "sceneggiata" è determinata dall'interferenza del cinema: particolarmente nell'epoca del "muto", l'esecuzione dal vivo della parte musicale e cantata fece di questo genere un prototipo dello spettacolo multimediale (in generale al Film-sceneggiata sono dedicate le pagine - pp. 157-183 - di Mario Franco). In questo modo la sceneggiatura della canzone si fece più complessa e se molte trame finirono in pellicola, molte nuove trame nacquero dalla contaminazione.

Ma l'aspetto forse più caratteristico di questa forma di teatro è costituito dalla preminenza del pubblico rispetto alla scena. Si tratta, infatti, di uno spettacolo in cui chi recita e chi compone le storie da rappresentare (spesso sono le stesse persone: dunque attori-autori) obbedisce, prima che al suo narcisismo, a quello del pubblico, e costruisce per quello una fabbrica di gioia e pianto. Pronto, per altro, a modificare tutta la fabbricazione quando, nel vivo dell'azione, il pubblico manifesti il suo dissenso: memorabili sono le cronache, anche recenti, che narrano gli interventi verbali e anche fisici con cui il pubblico pretende di determinare il corso della vicenda o la conservazione della coerenza di un carattere. All'analisi del pubblico dedica pagine scritte con la consueta vivacità e intelligenza Goffredo Fofi (pp. 11-24, Dalla platea). C'è da aggiungere che questo straordinario dialogo improvvisato (ma anche fondato su una empatia che precede l'andata in scena) può aiutare a capire - còlto nella sua forma estrema - il meccanismo compositivo che, nel passato più antico, doveva essere alla base della drammaturgia della Commedia dell'Arte.

In principio, dunque, fu la canzone. "O meglio - come scrive Scialò nel saggio fondamentale di questo libro (La canzone è teatro, pp. 45-111) - una canzone già nota da cui si dipanano numerosi percorsi narrativi ed espressivi presenti solo parzialmente nel brano originario. Una sorta di migrazione melodica da una iniziale dimensione autonoma fino al suo spostamento in un nuovo ed imprevisto contesto drammaturgico, che ne moltiplica le intrinseche potenzialità con il dispiegamento di un adeguato apparato teatrale con attori, scene, costumi, luci, sipario e, non ultimo, per la presenza dal vivo della musica".

Non si tratta naturalmente di una prerogativa esclusiva, visto che analoga origine avevano anche il vaudeville, l'operetta e la rivista, così come assai diffusa in altri generi alti e in altre tradizioni teatrali si trova - come è noto - l'alternanza di canto e recitazione. Del resto lo stesso Scialò ricorda che pochi anni prima della nascita della sceneggiata il grande Raffaele Viviani aveva attinto al patrimonio cantato e recitato del varietà napoletano per costruire una drammaturgia originale. La sceneggiata appare la ricaduta 'degradata' di quel modello fatto di prosa, monologhi, canti e balli popolari. Mentre Viviani piegò i materiali di risulta ad un disegno d'autore che voleva rappresentare mimeticamente la realtà sociale del povero popolo napoletano, la sceneggiata adoperò gli stessi ingredienti di "arte varia" con finalità di puro intrattenimento,tanto da meritare dallo stesso Viviani la definizione di "puttana dell'arte". Viviani si servì delle espressioni della cultura popolare per rappresentare il popolo, nella sceneggiata furono le forme espressive popolari (canto, ballo, riso e pianto) a essere oggetti fini a se stessi di spettacolo. In esse (soprattutto nelle canzoni di successo messe alla fine della serata) il popolo riunito in sala trovava un soddisfacente rispecchiamento di se: narcisisticamente comprensivo dei propri limiti e contento del suo stato.

Fondamentale, in entrambi i casi, la gestazione dello spettacolo prima sulla scena che sulla pagina, a diretto contatto con il respiro, il sudore e le passioni del pubblico. Queste sono osservate con uno sguardo attento agli aspetti antropologici e sociologici da Marino Niola (La macchina del pianto, pp.25-42) mentre Paquito Del Bosco, con un andamento un po' aneddotico e discorsivo, porta comunque informazioni utile sulla fortuna discografica del genere in Italia e soprattutto negli Stati Uniti: la cultura degli emigrati ha conservato infatti meglio, in quanto periferica, il patrimonio più antico e raro di quella produzione.

Il libro, pur lasciando irrisolte molte questioni, è un contributo utile per cominciare a studiare organicamente la storia e le forme della sceneggiata. Si intravede alle spalle della pubblicazione una ricerca non facile, basata su fonti primarie (manoscritte, fotografiche, a stampa e orali), tra le quali meritano una menzione particolare i quarantotto testi teatrali inediti compresi tra il 1919 e il 1976 che Scialò cita più volte. Alle pp. 223-286 si possono leggere la trascrizione del copione di Malufiglio ("tre atti comici-drammatici-musicali di Vincenzo Vitale tratti dalla canzone omonima di Chiarazzo-Matassa") del 1963, le didascalie (e le azioni riassunte come in un canovaccio) del film A' Santanotte di Elvira Notari (1922), ispirato a una canzone popolare da cui sarà tratto, negli anni Trenta, anche l'omonimo dramma teatrale di Enzo Lucio Murolo, ugualmente qui (pp. 139-156) riproposto - in un utile raffronto - nella trascrizione già pubblicata da Vito Pandolfi nel suo celebre volume Copioni da quattro soldi (Firenze, Landi, 1958).


di Siro Ferrone


Copertina del volume

cast indice del volume


 

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013