drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Ombre Metropolitane
Città e spettacolo nel Novecento
A cura di Giaime Alonge e Federica Mazzocchi

Torino, DAMS Università degli Studi, 2002; pp.302, euro 19,00
Il volume, uscito per la collana I quaderni del Castello di Elsinore, raccoglie gli atti di un convegno tenuto ad Alba dal 30 ottobre al 1 novembre 2001. Alcuni interventi hanno affrontato l'argomento proposto dal titolo guardando al rapporto fra strutture di produzione o fruizione spettacolari e città moderna: Casetti parla dell'integrazione delle sale cinematografiche nel "palcoscenico" urbano, Bianchi dell'uso di spazi "impropri" da parte dell'avanguardia teatrale americana, Bertinetti e Perrelli dei teatri di Londra e Stoccolma all'inizio dello scorso secolo, Rassu della fondazione del Piccolo, Prono della storia di Torino come location cinematografica. La prospettiva generalmente preferita è stata però quella dell'analisi dell'immagine (e dell'immaginario) della metropoli nella drammaturgia (nel senso più ampio) novecentesca.

Con rare eccezioni (il teatro di Eduardo, ad esempio, e l'ottimismo un po' melenso dei musicals americani degli anni '30/'40) l'immagine della città proposta dal teatro e dal cinema nel ventesimo secolo è inquietante e malevola: uno spazio malato che si espande come un cancro contro la sapienza regolatrice dell'antica urbs (Le mani sulla città) e fagocita le sue parti più antiche distruggendo la propria memoria (La notte); un luogo demoniaco, distorto e allucinante (vedi Bertetto e Tessari) dove i protagonisti della vicenda, provenienti da un fuori ancora incontaminato, sono destinati alla rovina (vedi Carluccio, Mazzocchi, Malara) se non sono capaci di proteggersi con una strategia (la leggerezza cinica dei personaggi di Coward o l'umorismo surreale del primo Fo) che li renda impermeabili agli influssi malefici metropolitani; altrimenti non vale isolarsi nel proprio privato, perché la strada incombe minacciosa fino a scardinare le porte della stanza e a irrompervi (vedi Allegri).

Un atteggiamento generalizzato che merita un commento. Se è vero che la città ha dei lati alienanti, che la folla spersonalizza l'individuo, che lo sviluppo economico, imponendo una trasformazione continua del tessuto urbano, cancella impietosamente paesaggi, ricordi, abitudini, continua però a valere l'adagio di Marx: "L'aria della città emancipa". Proprio lo spiazzamento continuo che la metropoli esige dai suoi abitanti li costringe a rinunciare a certezze, tradizioni, identità accettate acriticamente e a mettersi in discussione ogni giorno. Da questo processo vengono fuori degli uomini migliori, degli individui e non dei 'consanguinei' membri di una stirpe chiusa. Il fatto che anche molti uomini di sinistra abbiano sottolineato prevalentemente la negatività della metropoli, indulgendo in una sorta di aggiornamento dell'antica poetica arcadica, spinge a riflessioni amare, se guardiamo agli esiti attuali della politica: il secolo laico, della democrazia di massa, della lotta contro l'ineguaglianza, del progetto della cittadinanza mondiale si è concluso con l'esplosione dei conflitti etnici, dell'affermazione violenta e discriminatoria delle identità, con la blindatura delle frontiere e il revival degli integralismi religiosi.

Non è, forse, che si è sospirato troppo sulla semplicità della vita rurale, sulle tradizioni che si perdevano, sulle radici della comunità? Quel mondo 'naturale' aveva come rovescio la discriminazione sociale stabilita dalla nascita, la subordinazione assoluta del singolo alla norma consuetudinaria, la segregazione sessuale, l'intolleranza verso il diverso e lo straniero, la violenza potenziale che si poteva scatenare ad ogni momento contro l'estraneo. Farsi affascinare dal folklore, senza mantenere una distanza razionale, è estremamente pericoloso. Quanto è avvenuto in Italia e in Germania nel primo dopoguerra avrebbe dovuto insegnarlo, e invece abbiamo dovuto ancora assistere a interviste a macellai iugoslavi che si commuovevano suonando su liuti tradizionali romanze medievali, ma non esitavano a ordinare massacri di interi villaggi degli "altri". E, anche se è (relativamente) meno pericoloso, non passo giorno in cui anche nel nostro paese non siamo costretti a ascoltare deliri sul dio Po, sulle radici celtiche e sulla (vagamente bovina) "Razza Piave".

di Paolo Albonetti


Copertina del volume

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013