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Fausto Paravidino

Due fratelli. Tragedia da camera in 53 giorni

Nota introduttiva di L. Gozzi. Nota finale di M. Bernardi

Bologna, Clueb, 2001, pp. 48, Lire 14.000, euro 7,23
Nella preziosa collana di drammaturgia "Simulazioni" diretta dai benemeriti Luigi Gozzi e Marinella Manicardi appare, come sesto titolo, il testo teatrale insignito del Premio Pier Vittorio Tondelli (sezione under 30 del Premio Riccione) nel 1999 e del Premio Ubu (per la migliore novità italiana) nel 2001. Ne è autore un giovane ventiquattrenne genovese, Fausto Paravidino, qualche volta regista, già autore di altre quattro commedie. La messinscena dello spettacolo è stata realizzata nella stagione 2000-2001 dal Teatro Stabile di Bolzano, con la regia di Filippo Dini e l'interpretazione di Antonia Truppo (Erica), Giampiero Rappa (Boris) e lo stesso Fausto Paravidino (Lev).

La critica ha salutato quest'opera come una novità straordinaria nel panorama italiano. In questa opinione c'è una parte di verità. Il linguaggio è secco, i dialoghi sono essenziali e - come è stato notato - non soffrono della logorrea tipica della drammaturgia italiana. Azzeccato è anche il punto di vista, per così dire "evenemenziale", assunto dallo scrittore:

"ogni scena doveva essere come accendere una luce e cogliere i protagonisti in momenti casuali arbitrari della loro vita. Quello che si vede non è la cosa più importante, la storia vera scorre nascosta e noi ne registriamo solo dei frammenti. In fondo entriamo sempre così nella vita degli altri: per brevi attimi, per flash intermittenti"
(intervista riportata in "Il Patalogo ventiquattro", Milano, Ubulibri, 2001, p. 144).

In questo quadro, ironia preterintenzionale e tragedia vera possono a tratti coesistere, con effetti sicuri di teatralità. Sicuramente la messa in scena astratta e colorata di colori irreali ha aiutato la fortuna del testo. Lo ha almeno liberato dal minimalismo realistico che lo minaccia.

Ma sul piano tematico non si può negare che di minimalismo si tratti: rivestito peraltro di significati alla moda come una retorica sessuale (espressa con parole apparentemente naturali e in realtà di maniera) prevedibile, mentre i frammenti di vita che vengono memorizzati su un registratore troppo comodo per essere necessario, lasciano intravedere un panorama adolescenziale di scarso - anche se convinto - respiro. L'attrazione ossessiva dei due fratelli, l'uno per l'altro odiato-amato, e in lotta omicida con la donna che fa da terzo incomodo (soppresso naturalmente alla fine) è la replica fresca e ben scritta di un copione già visto, già sentito e sorprendentemente - questo sì - maturo (se non astuto) in un giovane che si vuole spontaneo. Ma non si va oltre un pinterismo aggiornato e in bella copia.

di Siro Ferrone


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