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Stefano Mazzoni

Premessa all'Atlante iconografico. Spazi e forme dello spettacolo in occidente dal mondo antico a Wagner



1. Questo Atlante iconografico è articolato in duecentonovantuno immagini (corredate da didascalie) che offrono al lettore 'in cerca di teatro e spettacolo' elementi di riflessione a partire da situazioni specifiche. Situazioni concrete e spesso esemplari, in un arco diacronico dal mondo antico a Wagner. Siamo convinti, infatti, che gli spazi dello spettacolo vadano studiati di volta in volta, caso per caso, senza instaurare astrazioni, indagando le relazioni tra i luoghi e le forme dello spettacolo, tra i luoghi e le persone che li vissero, con l'obiettivo di svelare le drammaturgie (le strategie creative, i procedimenti esecutivi) degli spazi e delle performances. Poi potranno venire anche le sintesi complessive, le visioni d'insieme, ma senza delineare fuorvianti portraits-robots tipologici. 

I teatri greci ed ellenistici, gli edifici romani per lo spettacolo, gli spazi europei della spettacolarità sacra medievale con le loro parabole quattro-cinquecentesche, i luoghi e gli edifici teatrali di corte e accademici in Italia tra rinascimento ed età barocca, gli spazi del teatro 'venduto' in Europa tra Cinque e Seicento (le 'stanze' dei comici dell'Arte, i teatri elisabettiani, i corrales spagnoli), i teatri all'italiana dal Sei all'Ottocento, il teatro municipale di Besançon di Ledoux e il wagneriano Festspielhaus di Bayreuth illustrati in questo libro non sono categorie né uniformi né uniche. Sono, piuttosto, alcuni tra i possibili exempla di avventure culturali complesse; 'stazioni' di un percorso non rettilineo determinato anche dalle scelte degli studiosi, idee di teatro e 'oggetti' paragonabili a tanti 'individui'. Come tali vanno decifrati nelle loro multiformi fenomenologie dense di analogie e differenze. 

Nel santuario gli Epidaurii hanno un teatro la cui bellezza, a mio parere, è particolarmente notevole, perché, se per ornamento i teatri romani superano certamente tutti gli altri teatri dovunque costruiti, e se per grandezza tutti li supera quello che gli Arcadi hanno a Megalopoli, in armonia e bellezza quale architetto potrebbe contendere degnamente con Policleto? Ché fu Policleto colui che costruì sia questo teatro sia l'edificio circolare [la tholos].

Così, con nitida semplicità, una fonte autorevole trasmette al lettore l'emozione di una 'visita' a uno dei capolavori dell'architettura teatrale d'occidente. Pausania, è noto, fu un viaggiatore cólto attento e curioso, capace di illustrare con precisione, nella sua Graeciae descriptio, luoghi e monumenti. Eppure la sua convinta attribuzione del teatro di Epidauro all'architetto Policleto, a lungo ritenuta attendibile, è stata messa in discussione sottolineandone i gravi problemi di cronologia e ancorando la costruzione dell'edificio non al pieno IV sec. a. C. ma alla sua fine o all'inizio del III. Comunque sia, come non tener conto della plurisecolare distanza che separa la prosa dello scrittore-viaggiatore vissuto nel II sec. d. C. dalle fasi iniziali di quel teatro tra il verde del bosco sacro di Asclepio e l'azzurro dei cieli d'Argolide?

In altre parole: intendiamo sottolineare, a titolo di esempio, uno dei tanti problemi irrisolti caratterizzanti la storia del teatro antico (anche per ciò che pertiene alle emergenze monumentali più celebri e indagate). Una storia che, in molti casi, offre poche certezze e propone molteplici, spinose controversie innescate dalla scarsità delle nostre conoscenze e dalla difficile interpretazione delle testimonianze archeologiche. Si pensi ai 'casi' esemplari del teatro di Dioniso Eleutereo ad Atene e di quello di Siracusa, due edifici dalla storia complessa e stratificata, al pari di altri spazi teatrali del mondo greco e romano. A dispetto di una imponente attenzione storiografica e di accurate 'autopsie' archeologiche non sono ancora risolte, tra l'altro, né la vexata quaestio della forma dell'orchestra nel teatro ateniese del V sec. a. C. né la intricata cronologia della fase iniziale del maestoso teatro siciliano. Il dibattito tra gli studiosi è acceso. Notevoli le differenze di opinione.

In che tipo di spazio, dunque, danzava e cantava il coro nel teatro di Dioniso nel secolo dei grandi tragici? In un'orchestra circolare, trapezoidale o rettangolare? Non lo sappiamo con tutta sicurezza, anche se ormai paiono condivisibili le conclusioni di chi pensa che ''now seems probable that the older idea of a theatre developed around a circular dancing floor has to be abandoned'' (Green). Anche perché nel V sec. sono attestate tipologie non circolari (è il caso dei teatri attici di Trachones e di Thorikos d'impianto prevalentemente rettilineo). E da tempo, va ricordato, è stato ipotizzato che la prima orchestra ad andamento perfettamente circolare sia proprio quella disegnata da Policleto a Epidauro. La forma curvilinea dell'orchestra come del kòilon (cavea) si sarebbe affermata nel teatro di Dioniso solo a partire dalla ricostruzione in pietra e marmo compiuta all'epoca di Licurgo (338-326 a. C.).

Ma la 'pietrificazione' che trasformò in muratura la scena e le impalcature in legno destinate al pubblico avvenne davvero in quel giro d'anni? I pareri al riguardo non collimano. Taluni anticipano con buone ragioni la trasformazione (o almeno la progettazione e l'avvio di essa) al 430 a. C. circa, cioè all'età periclea (o a quella immediatamente successiva) che conferì ad Atene, mediante una straordinaria attività edilizia, l'aspetto monumentale destinato a fissare 'per sempre' l'immagine della città. E poi: il teatro di Epidauro è precedente o successivo a quello licurgheo? Il quesito non è secondario: quale dei due spazi ha il 'primato' della sostanziale innovazione della cavea 'a conchiglia' (e dell'orchestra circolare) che migliorò l'acustica dei teatri greci imponendosi come canone? Forse, allora, conta soprattutto rilevare che nella Grecia del VI-V sec. a. C. non vi fu una ''established form governing the shape of the orchestra, but developed and adapted their theaters according to local needs and topography'' (Rehm), e prendere atto della molteplicità delle esperienze.

Ancora. In che periodo fu costruito il teatro grande di Siracusa? Anche in questo caso la discussione critica è stata vivacissima. Alcuni hanno ritenuto che questo spazio illustre risalga addirittura al VI-V sec. a. C., ipotizzando che tra il 476 e il 470 l'architetto Damocopo, seguendo i suggerimenti di Eschilo, rinnovasse il teatro preesistente facendo intagliare nella roccia il secondo teatro trapezoidale poi trasfigurato a sua volta da successivi rifacimenti. Sarebbe questo lo spazio in cui, al tempo di Ierone I, andarono in scena tragedie eschilee quali le Etnee e i Persiani. Altri studiosi, invece, hanno giudicato, in modo forse troppo sbrigativo e polemico, fantasiose e illogiche tali ipotesi e perentoriamente datato le prime fasi del monumento al III sec. a. C., all'età di Ierone II (269-214 a. C.), quando a Siracusa sorsero quartieri periferici monumentali.

Come si comprende anche da queste brevi considerazioni, i problemi ancora aperti sono molteplici e non vanno 'ingabbiati' in astratti, semplificatori schemi manualistici.

2. D'altronde la geografia e la storia degli spazi dello spettacolo antichi e moderni non devono essere banalizzate confinandole negli 'steccati' delle sole tipologie architettoniche e scenografiche. Le tipologie devono interagire con i contesti storici e culturali di appartenenza, con i programmi iconografici in esse dispiegati (si pensi ai teatri romani d'età imperiale o a quelli accademici e di corte del Cinquecento italiano), con i meccanismi di produzione, realizzazione e fruizione degli spettacoli. Erra la storiografia che instaura una dicotomia tra gli spazi e le forme spettacolari. Scriveva Wagner nel dicembre 1861 all'amico direttore d'orchestra Hans von Bülow:

Uno sguardo ai nostri teatri mi ha di nuovo mostrato in modo chiaro cosa occorre perché la mia arte possa mettere radici e non svanire, completamente fraintesa, come una efemeride. Ho bisogno di un teatro come io solo posso costruirlo. Non è possibile che negli stessi teatri in cui vengono rappresentate le nostre assurdità operistiche - inclusi i classici - dove tutto, messinscena, interpretazione, effetto richiesto, è in sostanza nettamente in contrasto con ciò che esigo per me e per miei lavori, questi possano trovare un terreno reale.

Quel teatro del futuro, autoreferenziale e classicista (a lungo vagheggiato dal compositore pensando a una 'festa democratica' di sapore grecizzante da lui poi disattesa, anzi 'tradita'), divenne realtà, grazie a Ludwig II di Baviera, nel Festspielhaus di Bayreuth mentre nella mente del musicista prendeva forma definitiva il Ring. Disse Wagner ai convenuti alla cerimonia della posa della prima pietra (1872):

troverete, nella disposizione e nella sistemazione dello spazio e dei posti riservati agli spettatori, l'espressione di un pensiero che, non appena afferrato, vi porrà in un nuovo e diverso rapporto con la rappresentazione scenica che vi aspettate, diverso da quello che avete conosciuto finora entrando nei nostri teatri.

L'innovativa sala 'a ventaglio' recuperava istanze illuministiche, ricusava la tradizione egemone dei palchi all'italiana e 'sprofondava' l'orchestra nel golfo mistico e il pubblico nell'oscurità nel tentativo di modificare la ricezione del dramma musicale. Fu inaugurata nell'estate del 1876 con la prima esecuzione completa della celebre Tetralogia. Come separare lo spazio progettato da Brückwald sulla scia di Semper dalla drammaturgia wagneriana dell'opera d'arte totale? Fu in nome del Wort-Tondrama che si rivoluzionò l'architettura teatrale aprendo la strada alla 'riforma funzionale' dello spazio del teatro.

E tuttavia, come ha scritto Eugenio Barba, 

quando visitiamo i teatri di Drottningholm o di Versailles, il Teatro Farnese di Parma o l'Olimpico di Vicenza, Epidauro (costruito quando gli uomini che inventarono la tragedia ateniese erano spariti), o uno dei teatrini con cui i Principi, le Corti e le Accademie ornarono minuscole città, sperimentiamo spesso le stesse reazioni cinestetiche che può darci uno spettacolo vivente. Quelle pietre e quei mattoni diventano spazio vivo anche se non vi si rappresenta nulla. Sono anch'essi un modo di pensare e sognare il teatro, di materializzarlo e trasmetterlo nei secoli.

È che le pietre dei teatri non sono scisse dagli uomini e l'architettura è di per sé 'in grado di evocare stati d'animo, affetti ed emozioni'. Ma quelle pietre autosignificanti non sono atemporali, vanno storicizzate riconducendole ai committenti, agli artisti-esecutori, agli eventi spettacolari, al pubblico. In breve: alla vita che le animò. Di più. Non sempre lo spettacolo pietrificato degli edifici eclissa il labile ricordo delle performances e delle rappresentazioni. È vero che paradossalmente, come si suol dire, 'lo storico dello spettacolo non può fare la storia sugli spettacoli'; ma è altrettanto vero che deve decodificarne le tracce documentali per tentare di ricostruire e interpretare l'idea di teatro e spettacolo di un'epoca o di un determinato ambiente culturale. Sia essa reale o utopica. I teatri come i documenti sono luoghi della memoria. Se li studiamo in una prospettiva contestuale unitaria e multilineare possono raccontarci tante vicende, ambizioni, delusioni, speranze, avventure individuali e collettive, tasselli di un puzzle comunque solo in parte ricomponibile. Siamo infatti 'viaggiatori' alla ricerca di 'sogni perduti', di cui ci affanniamo a mettere insieme i pezzi, ma ci manca sempre qualche elemento; e, comunque vadano le cose, formuleremo delle ipotesi di lavoro, anche nel più fortunato dei casi. Ipotesi che chi verrà dopo di noi potrà valutare, 'contestare', modificare o accettare.

Perciò questo libro, pensato come strumento, affianca alle immagini dei monumenti e degli spazi dello spettacolo (e a uno specimen dei documenti a essi pertinenti) non poche ipotesi di ricostruzione di luoghi ed edifici teatrali ed è corredato di una bibliografia che consente approfondimenti e riscontri, anche al di là degli exempla registrati. Alcune ricostruzioni sono in parte 'invecchiate', altre ancora valide. Tutte però, credo, saranno utili al lettore perché solo la valutazione serena delle ipotesi storiografiche di ieri e di oggi conduce a una conoscenza non riduttiva degli 'oggetti culturali' che andiamo indagando. 'Oggetti' che affido a queste pagine confidando nella loro autonoma eloquenza.

Università di Firenze, gennaio 2003

 

di Stefano Mazzoni


Atlante iconografico

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Atlante iconografico. Spazi e forme dello spettacolo in occidente dal mondo antico a Wagner

 
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