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Mirella Saulini

Il teatro di un gesuita siciliano. Stefano Tuccio s.j.


Roma, Bulzoni, 2002, pp. 219, euro 18,00
ISBN 88-8319-680-5
Nato a Monforte nel territorio di Messina nel 1540 da famiglia modestissima e morto a Roma nel 1597 dopo lunga e dolorosa malattia, il padre gesuita a cui è dedicata questa informata e approfondita monografia è un significativo autore teatrale del Seicento. La sua produzione drammaturgica - tutta destinata ai collegi siciliani dell'ordine - risale al periodo 1562-1569, poco prima del trasferimento, a lungo da lui desiderato, a Roma (1572); qui entrò a far parte (1582) del gruppo dei sei padri incaricati di redigere la fondamentale Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu, testo regolatore della pedagogia (anche teatrale) e dell'organizzazione dei collegi dei Gesuiti. Al tema Mirella Saulini dedica un opportuno inquadramento, subito dopo un efficace profilo biografico del Tuccio, nella prima parte del volume.

Nella seconda parte l'autrice analizza dapprima le tre tragedie che padre Stefano Tuccio trasse dall'Antico Testamento (Nabucodhonosor del 1562, Goliath del 1563, Juditha del 1564) durante il periodo messinese. Della prima, rappresentata pare con buon esito, è perduto il testo; della seconda esiste un solo manoscritto che l'autrice studia con grande attenzione, soffermandosi sulle invenzioni del drammaturgo e sulle varianti introdotte rispetto alla fonte biblica; della terza, ispirata al Libro di Giuditta 4-14, esistono tre copie manoscritte e ben due edizioni novecentesche (una delle quali però in traduzione italiana): qui la dettagliata analisi rivela una sostanziale fedeltà al modello veterotestamentario, con alcune notazioni curiose sul protagonismo femminile, raro se non eccezionale nella drammaturgia gesuitica.

Segue poi l'analisi attenta della trilogia cristologica messinese (Christus Nascens, Christus Patiens e Christus Iudex, altrimenti noto come De Ultimo Dei Iudici) di cui esistono abbondanti testimonianze testuali, anche se le datazioni non sono sempre sicure. Il primo lavoro è un atto unico, una specie di "ecloga" alquanto statica ma con alcune brevi scene visionarie di un qualche interesse dal punto di vista dell'allestimento, riconducibile forse a modelli più antichi del teatro sacro. Christus patiens è invece una tragedia in cinque atti e un prologo, dominata dalla parola spesso monologante e scarna di azioni; colpisce, nel momento della rappresentazione del Calvario, il prevalere della rappresentazione del Male rispetto a ogni forma di speranza redentrice, secondo uno schema retorico che è riscontrabile in tutta la produzione del Tuccio, a cominciare dal primato scenico di Golia rispetto a David già nel primo lavoro citato. Come scrive l'autrice "Sulla scena del Golgota gli spettatori non assistono al miracolo della resurrezione (...) come recita la didascalia finale, dopo che è già stato tolto dalla croce e consegnato al pianto di Maria e degli altri fedeli, il corpo del Cristo viene sollevato per essere seppellito, dopodiché cala il sipario e il teatro rimane vuoto" (p. 112).

Un lungo capitolo è dedicato a Christus Iudex, la più famosa delle tragedie del Tuccio, non a caso trasmessa a noi da un alto numero di manoscritti (con due versioni differenti destinate rispettivamente alla rapresentazione messinese del 1569 e a quella romana del 1573), più volte tradotta in varie lingue e rappresentata nel corso dei secoli, fedelmente o adattata, in versi o in prosa. In questa tragedia ö la più studiata dai letterati se non dai teatrologi ö la messa in scena della lotta fra Bene e Male registra un affollamento di suggestioni sceniche: dalle azioni belliche, alle scene di massa, agli esercizi scenotecnici e ginnici proposti a attori e macchinisti chiamati a metterli in scena. Soprattutto la versione romana pare incline a sottolinearle, probabilmente in funzione di un pubblico più scaltrito e esigente in materia. Naturalmente è la mise en éspace del Male (come il Vice del teatro pre-shakespeariano e shakespeariano) quella che più ci attrae e che ci fa sentire - dietro al latino monumentale del nostro Autore - una veemente ansia di emozioni e di conflitti drammatici. Quel tanto di teatro che la scena laica spesso non seppe osare.

Dopo la dettagliata analisi di quel fortunato testo Mirella Saulini offre alcune riflessioni sintetiche e conclusive assai utili a chi voglia inquadrare teoricamente questa drammaturgia. Una riguarda l'uso della musica e della vocalità (in particolare quella corale) come strumento decisivo della comunicazione e della 'suasione' retorica, un'altra si riferisce ai fondamenti teorici che stanno alla base delle composizioni tucciane, un'ultima infine trasferisce le considerazioni svolte sulle opere teatrali all'altra principale 'professione' del padre messinese, quella oratoria.

La drammaturgia dei padri gesuiti (vedi al riguardo Giovanna Zanlonghi, Teatri di formazione e Bruna Filippi, Il teatro degli argomenti) ebbe un'importanza fondamentale nella costruzione del dramma barocco recitato e cantato e dellâopera italiana; le regole pedagogiche e performative stabilite e messe in pratica dai loro collegi, in un misto di educazione atletica, coreutica, militare, musicale e teatrale, hanno segnato almeno tre secoli di storia non solo europea. La lettura e l'analisi dellâopera di questo siciliano, teatrante per pochi anni, ma estensore, con altri, della Ratio studiorum, è dunque un passaggio obbligato per chi vuole conoscere la storia del teatro e il teatro della storia.

di Siro Ferrone


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