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Françoise Jost

Realtà/Finzione. L'impero del falso


Milano, Il Castoro cinema, 2003, pp. 132, euro 13,50
ISBN 88-8033-238-4
Prima uscita, con Attore/divo di F. Pitassio, della nuova collana 'Le dighe' edita da Castoro cinema, il volume di Jost si propone di indagare il territorio di frontiera tra vero e falso nell'universo dei media visivi. Dunque il testo cerca di capire la natura del confine che separa il documentario dal cinema di finzione, ma anche il grande schermo e la visione televisiva o l'immagine analogica dalla figurazione digitale, nell'intento di superare le suddivisioni tradizionali e di 'allargare il campo dei possibili'.

Nella prima parte del volume l'autore s'interroga sullo statuto dell''impero del falso' che vede oggi dominare il cinema e la televisione. La prima questione da porre è, secondo Jost, da dove provenga la finzione: la falsità è insita nell'immagine stessa (come voleva già Platone) in quanto riproduzione, oppure risiede nel suo statuto di racconto (è l'opinione, tra gli altri, di Christian Metz) oppure ancora nello sguardo dello spettatore su di essa? E ancora: nel quadro del cinema e dei nuovi media ö dalla TV a internet ö la distinzione tra vero e fittizio è valida sempre e in assoluto, o deve essere ripensata?

Jost suggerisce di non vedere la realtà e la finzione come mondi inconciliabili e in conflitto tra loro, bensì come universi contigui tra i quali gli scambi non sono infrequenti: ciò che conta è dare allo spettatore gli strumenti adatti per interpretare l'immagine e il suo grado di reale. Per orientarsi all'interno delle serie d'immagini che cercano d'ingannare lo spettatore promettendo uno statuto di verità - è il caso della real tv o di film come The Blair Witch Project -, che si pongono cioè come presunte testimonianze veritiere di avvenimenti realmente accaduti, Jost propone una nuova distinzione, mutuata dalla studiosa Käte Hamburger, tra 'finzione' e 'finta' (quest'ultimo termine è la traduzione italiana del francese feintise e del tedesco das Fingiersein). Se la finzione crea consapevolmente un mondo parallelo al nostro, cui si chiede non tanto la verosimiglianza quanto la coerenza interna (si pensi agli universi inesistenti eppure assolutamente logici dei film di fantascienza), la finta 'si spaccia per la realtà': ''il concetto di finta indica che qualcosa è addotto, inautentico, imitato... mentre quello del fittizio designa il modo di essere di ciò che non è reale: dell'illusione, dell'apparenza, del sogno, del gioco'' (p. 117). Jost vede quindi come centrale la posizione dello spettatore: ciò che conta è il diverso grado di consapevolezza che chi guarda possiede nei confronti dello statuto, di verità o menzogna, delle immagini che gli vengono proposte. In altri termini, è fondamentale il sapere se ci si trova di fronte a una 'finzione' o a una 'finta': se tale coscienza viene a mancare e lo spettatore abdica al suo ruolo critico, l''impero del falso' potrebbe estendere i suoi confini all'infinito.

La seconda parte del volume, come vuole la struttura della collana, è dedicata a una messa a punto delle acquisizioni teoriche sul tema - si citano soprattutto i lavori della Hamburger (Die Logik der Dichtung, Stuttgart, Ernst Klett, 1957), di T. Pavel (Mondi di invenzione [1986] Torino, Einaudi, 1992) e di J. R. Searle (Expression and Meaning, Cambridge, Cambrdge Univ. Press, 1979) - e a un piccolo corpus di testi. Completa il saggio una buona bibliografia

di Chiara Tognolotti


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