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Mariano D'Amora

Respect for actors.
Il Group Theatre e la sua influenza sul teatro americano


Roma, Bulzoni, 2002, pp.142, euro 10,00
ISBN 88-8319-750-X
Il Novecento è stato il secolo in cui l'attore di scuola ha prevalso, nel bene e nel male, sull'antico comico di mestiere. Molte sono state le esperienze emblematiche, i circoli di piccole ''confraternite'' di giovani animati dalla volontà di cambiare il mondo (dalla piccola realtà del palcoscenico il contagio di una percezione diversa delle cose avrebbe dovuto allargarsi via via al pubblico, alla città, alla nazione); un fermento di idee, speranze, tentativi che costituisce uno dei soggetti di studio più estesi e complessi della storia teatrale.

Se però guardiamo a quanto lo spettatore ingenuo di cinema e teatro (non dico neppure la persona sanamente refrattaria a simili interessi) conosce di questo affacendarsi di individui, tra difficoltà economiche e persecuzioni politiche, rileviamo facilmente che l'ignoranza è pressochè totale (forse qualcuno, non giovanissimo, rammenta ancora Brecht). Con una sola eccezione: l'Actor Studio e il 'Metodo' di Lee Strasberg, contrapposto polemicamente all'intellettualismo delle altre scuole da giornalisti à la page, praticoni di scuole di teatro, spettatori tradizionalisti (ma senza il coraggio di affermarlo apertamente) ecc.

Una piaga epocale, diciamolo chiaramente, che costringe a subire l'esaltazione di stilemi recitativi 'introspettivi' che, per parafrasare The untouchables sono 'tutti sudore e turpiloquio' e che ha come unica ricaduta positiva per la cultura generale del pubblico la menzione di Stanislavskij come 'maestro' di Strasberg (il che fa peraltro temere che molti siano a questo punto convinti che il grande regista russo insegnasse in America).

Il pregio di questo piccolo libro è di aiutare a fare giustizia di questa vulgata cialtrona e vagamente reazionaria, dando un notevole contributo alla storicizzazione dell'esperienza di Strasberg e dei suoi compagni di strada. L'autore, che ha studiato presso il 'Lee Strasberg Theatre Institute' e ha frequentato lo stesso Actor's Studio, ha avuto l'occasione di conoscere personalmente testimoni diretti dell'attività di S. e di altri che condividevano la sua provenienza, e di consultare fonti originali sui primordi dell'attività di questo gruppo di giovani.

Da questa esperienza ha tratto lo spunto per il saggio dedicato all'attività del Group Theatre, il 'collettivo' costituito da S., Harold Clurman e Cheryl Crawford all'inizio degli anni trenta, e agli sviluppi successivi del 'lavoro sull'attore' proposti da S. e dai suoi 'rivali' Stella Adler, Robert Lewis e Sanford Meisner. E, sorpresa (?), i giovani intellettuali americani che fondano il Group assomigliano molto ai loro corrispettivi europei nel bisogno di sradicarsi dal vecchio mondo e costituire una comunità che, attraverso il teatro, doveva cambiare la vita, parlando alla gente comune delle cose importanti (la disoccupazione, lo sfruttamento, la diseguaglianza, la violenza contro il più debole).

Strasberg e gli altri cessano così di essere dei tecnocrati divulgatori di una sorta di taylorismo recitativo (scusate, ma è quello a cui mi fanno pensare certe descrizioni del 'metodo'·) per essere restituiti alla giusta statura di personalità creative difficili e complesse, che hanno elaborato un proprio percorso originale partendo dalle icone (Stanislaskvij, conosciuto attraverso il filtro dei suoi ex-allievi emigrati negli States, ma anche la Duse ammirata nell'ultima tournèe americana) e non da dei dogmi; esemplare in questo senso l'occasione del contatto diretto con Stanislavskij, che spinge Strasberg a rivendicare la propria autonomia dal russo, ormai lontano dallâapproccio introspettivo degli anni delle messinscene cechoviane, e Stella Adler al contrario a elaborare un proprio metodo prendendo spunto proprio dal lavoro sulle azioni fisiche elaborato e sviluppato da Stanislavskij nella maturità.

Va ridefinita, rispetto alle semplificazioni da rotocalco, anche l'influenza di questi pedagoghi sugli attori che hanno lavorato con loro. Da un lato occorre ridimensionarla, perché non furono demiurghi che plasmavano ad libitum anime vergini per costruire spettacoli perfetti, ma persone reali, con tratti caratteriali spesso decisamente irritanti, che stabilirono con altri adulti dalla personalità spiccata rapporti spesso provvisori e che a volte si concludevano o con clamorose rotture o con realizzazioni infelici che non ottenevano l'approvazione del pubblico e della critica.

Ma proprio questa umana imperfezione, questo salutare confronto tra intelligenze che affrontano un problema volendo giungere autonomamente alla soluzione, è stata occasione di arricchimento e crescita per gli attori che hanno lavorato con gli ex membri del Group Theatre diventando in seguito alcuni tra i volti più conosciuti e apprezzati del teatro americano e del cinema mondiale. La relazione fra docente e discente è fruttuosa se c'è un vero scambio con i suoi inevitabili momenti di dialettica e al limite di scontro, e gli allievi migliori di un maestro sono spesso quelli che lo 'tradiscono' (come fecero Mejerchol'd e Vachtangov con Stanislavskij) e non gli altri che si sclerotizzano nella ripetizione passiva del 'verbo'.

di Paolo Albonetti


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