drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Antonin Artaud

Del meraviglioso


Roma, minimum fax, 2001, pp. 147, euro 10,33
ISBN 88-87765-33-2
Meritevole traduzione delle pagine dedicate al cinema apparse nelle Ôuvres complètes di Artaud (Paris, Gallimard, 1978), il volume raccoglie materiali eterogenei dedicati a quella che Ricciotto Canudo definiva, nello stesso giro di anni, la ''settima arte''. Ai diversi soggetti cinematografici, dal celebre La coquille et le clergyman tradotto in immagini da Germaine Dulac ai progetti, meno noti, che non trovarono mai la via dello schermo, seguono interventi su film, autori e temi tipici del fermento cinematografico dell'entre-deux-guerres, un corpus consistente di lettere e due interviste. In appendice, un soggetto attribuito all'autore con qualche incertezza e una filmografia delle pellicole interpretate da Artaud come attore.

Le prime riflessioni artaudiane sul cinema, alla metà degli anni Venti, riflettono per molti aspetti i temi che all'epoca animavano il dibattito intellettuale, in particolare riguardo a quella ricerca della qualità ultima dell'arte cinematografica che si coagulava attorno al termine, tanto discusso quanto vago e indefinito, di ''fotogenia'', e che corre in gran parte tra le pagine degli scritti di Louis Delluc e Jean Epstein. Artaud, per parte sua, definisce la virtù cinematografica come ''velenosa'' ed ''eccitante'', essenza in grado di sovvertire l'ordine del pensiero ordinato e razionale e di portare alla luce la vita occulta di oggetti inerti. Il cinema appare nelle sue parole come la rivelazione di un ''imponderabile'', di una ''liberazione delle forze oscure del pensiero'': l'immagine possiede qualità magiche che partecipano ''della vibrazione stessa e della stessa origine incosciente, profonda, del pensiero'', in contrapposizione al ''pensiero chiaro, usato fino alla nausea'' di cui fa uso la logica comune.

In un breve intervento del 1933, La vecchiaia precoce del cinema, però, la posizione di Artaud cambia - forse in seguito alla delusione provocata dalla visione del film della Dulac cui si accennava in apertura. Qui il cinema sembra non possedere più quell'afflato capace di dar vita all'universo inerte di cristalli e minerali: al contrario lo schermo ci presenta un mondo ''incompiuto e univoco'', in cui l'immodificabilità delle immagini, una volta fissate sulla pellicola, fa sì che il cinema perda il contatto col ''centro della vita'' e raffiguri soltanto un mondo morto, irrimediabilmente alieno dal pulsare vitale dell'essere: ''Non si rifà la vita. Onde viventi, inscritte in un numero di vibrazioni fissate per sempre, sono onde ormai morte. Il mondo del cinema è un mondo chiuso, senza relazione con l'esistenza'' (p. 80). Il cinema è solo una presa di possesso parziale, ''stratificata e congelata'', dell'esistenza; niente di più lontano dall'acuta, sofferta vitalità del teatro della crudeltà, espressione di un ''appetito di vita, di rigore cosmico, di necessità implacabile, nel significato gnostico di turbine di vita che squarcia le tenebre, nel senso di quel dolore senza la cui ineluttabile necessità la vita non potrebbe sussistere'' (Antonin Artaud, Seconda lettera sulla crudeltà, in Id., Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 1968, p. 217).

di Chiara Tognolotti


Copertina del volume

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013