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Silvio d'Amico

Cronache 1914/1955

A cura di Alessandro d'Amico e Lina Vito.

Primo volume: tomo primo 1914-1918, pp. 278; tomo secondo 1919-1920, pp. 536; tomo terzo 1921, pp. 750 s.i.p., Palermo, Edizioni Novecento, 2001; Secondo volume:Secondo volume: tomo primo 1922-1923*, pp. 308; tomo secondo 1923**-1925, pp. 560; tomo terzo
ISBN 88-37-3037 50
Era cominciata con l'editore Bulzoni l'impegnativa impresa, concepita da Alessandro d'Amico, di raccogliere una vastissima scelta degli scritti giornalistici pubblicati dal padre Silvio, il più grande critico e organizzatore di cultura teatrale del Novecento italiano. Un volume di 654 pagine era apparso nel 1994, dedicato appunto agli anni 1914-1921 (il titolo era La vita del teatro. Cronache, polemiche e note varie. I. 1914-1921. Gli anni di guerra e della crisi), con una prefazione di Giorgio Prosperi e un apparato critico curato dallo stesso Alessandro d'Amico e Lina Vito. Allora era previsto un insieme di sei volumi. L'impresa si arrestò al primo di questi.

La nuova impresa si presenta fin dall'inizio diversa per tipologie editoriali. Intanto i volumi sono solo cinque, anche se l'arco cronologico considerato (1914-1955) è lo stesso; un sesto volume conterrà una bibliografia completa di tutti gli scritti di teatro di d'Amico e un indice dei nomi di persona, dei titoli di commedie e delle compagnie. Nella nuova veste editoriale, ciascun volume (di colore diverso) viene suddiviso in tre tomi più agili e di formato minore, raccolti da un cofanetto cartonato. L'antologia si apre, come già era avvenuto in quella laterziana, con la conferenza Esame di coscienza del cronista di teatro detto critico drammatico che d'Amico lesse nel 1942.

Durante la sua vita d'Amico aveva ripubblicato pochissimi scritti di giornalistici nel libro Palcoscenico del dopoguerra (1945-1952), Roma, ERI, 1953 (comprendente circa duecento recensioni lette alla radio nel secondo dopoguerra); dopo la sua morte, tra il 1963 e il 1964, erano apparsi, a cura del figlio Alessandro e di Eugenio Ferdinando Palmieri, due volumi intitolati Cronache del teatro. 1914-1955 presso l'editore Laterza. Troppo poco per chi, in oltre quarant'anni di attività, aveva collaborato a tanti periodici: "L'Idea Nazionale" dal 1914 al 1926, "La Tribuna" dal 1926 al 1941, "Il Giornale d'Italia" dal 1941 al 1943, "Il Tempo" dal 1945 al 1955. A questi scritti vanno aggiunti quelli apparsi su periodici quali "La Festa" (1923-28), "La Fiera Letteraria" (dicembre 1925-febbraio 1926), "Nuova Antologia" (1934-46), "L'Illustrazione Italiana" (1947-48 e 1952-55), "L'Approdo" (1952-54).

Anche se queste ultime collaborazioni non figureranno nei cinque volumi previsti dai curatori, la scelta dagli articoli apparsi sui quattro quotidiani - una volta completata la pubblicazione - appare più che sufficiente a tracciare il profilo, ora problematico ora descrittivo, della storia teatrale italiana. A inquadrare bene l'avventura critica e umana di d'Amico interviene per ogni volume una bella introduzione di Gianfranco Pedullà, storico e studioso di teatro oltre che regista militante, il quale riesce a contestualizzare gli interventi del grande critico con il supporto di osservazioni colte e documentate sulla realtà culturale, politica e artistica coeva ad ogni fase giornalistica proposta. Grazie a lui, oltre che alle note di Lina Vito, l'antologia personale diventa lo scandaglio di una storia collettiva, per il momento documentata fino al 1927, laddove si ferma l'ultimo tomo pubblicato.

Colpisce, lungo le pagine ormai antiche di d'Amico, il ricorrente richiamo alla "responsabilità", un tema questo che sarebbe stato ripreso, con sfumature diverse, da un altro cattolico militante, Mario Apollonio, nel secondo dopoguerra. Responsabilità per un uomo di teatro significa, secondo d'Amico, soprattutto impegno pedagogico per una riforma estetica della recitazione e, quindi, del gusto del pubblico. Di questi significati si colora il suo sogno di un "teatro d'arte". Scrive infatti il 21 febbraio 1918:

"Il teatro d'arte, adesso come adesso, non può avere che un fine di cultura (…): ossia (…) rifare l'educazione artistica del pubblico e degli attori". 

La pedagogia implicata è tuttavia più estetica che morale, se nello stesso scritto egli precisa che non si tratta "di far posto nel repertorio a opere aventi fini direttamente educativi, didattici".

Mai d'Amico trasforma la sua passione didattica in rigidità intellettuale. Il sogno di riforma è sempre aperto alle ragioni del pubblico, non si chiude mai in un autosufficiente avanguardismo:

"L'opera di teatro in tanto ha un senso, in quanto si rivolge a un gruppo di spettatori, e cioè di critici: senza di questi, quell'opera non avrebbe praticamente motivo d'esistere."

Così scrive nell'Esame di coscienza del cronista di teatro detto critico drammatico e, più avanti - prendendo spunto dal costume di molti critici di allora di recensire non lo spettacolo vero e proprio ma le prove generali per poter anticipare l'uscita dell'articolo sul giornale - precisa prima di tutto che

"chiunque abbia una vaga idea di ciò ch'è il teatro, sa ch'esso consiste essenzialmente nella reazione d'un determinato pubblico in presenza d'un determinato spettacolo", per poi ribadire che il vero pubblico è

"il pubblico pagante, i cui umori, sentimenti, consensi e dissensi non hanno nulla di comune con quelli che può avere, e cautamente manifestare, il piccolo numero di esperti, di snob e di indifferenti intervenuti alla prova".

D'altra parte, nello stesso articolo, evita di cadere nell'errore opposto, quello in cui cade

"il giornalista, il cronista, il critico che si è acquistata, come si dice, 'grande influenza sul pubblico', col semplice sistema di dar sempre ragione ai suoi lettori".

Protagonista del progetto di riforma non doveva essere, per d'Amico, il critico. Nei primi anni della sua militanza egli delinea una figura di demiurgo che sta a metà tra il dramaturg alla tedesca e il conseiller dramatique alla francese; in seguito la medesima funzione verrà assegnata, con i dovuti adeguamenti, al nuovo artefice "regista". Importante è tuttavia, qualunque sia il protagonista del nuovo corso progettato (il "teatro d'arte"), "sottrarne la direzione agli attori", allontanando il sistema italiano da quella "scuola del palcoscenico" che per d'Amico "è fatta apposta per ammazzare qualunque criterio interpretativo". Infatti,

"Sempre, da che mondo è mondo, in teatro s'ebbe l'arte soltanto quando l'autore o l'uomo di cultura dominò, e l'attore si attenne il più possibile alla sua parte d'esecutore" (citazioni sempre del 18 febbraio 1921).

Eppure, nonostante questa diffidenza 'armata' nei confronti della tradizione attoriale, d'Amico non smetterà mai, in queste critiche come in quelle più tarde, di osservare con cura, minuzia analitica, e anche amore, il lavoro degli attori, grandi e piccoli. Le recensioni dedicate a Zacconi, Ruggeri e altri, sono veri e propri capolavori di ascolto e osservazione. Nelle sue pagine affiorano capacità percettive che noi abbiamo perduto, divenuti sordi o sordastri a causa della nostra pigrizia e della debolezza degli artisti osservati. E anche incrocia lo studio dei contemporanei viventi con riflessioni storiche rivolte al passato della nostra tradizione, impostando a grandi linee una storia della recitazione che resta peraltro ancora tutta da scrivere (particolarmente felice l'intervento su Dante e gli attori che risale al 5 ottobre 1920). L'alternarsi dello sguardo tra passato e presente dà vita a uno strabismo necessario per ogni storico e studioso del teatro.

Se si raccolgono e riordinano, tra questi primi articoli, quelli consacrati agli attori (medaglioni, necrologi, recensioni, cronache) si scoprono le premesse di libri più organici come Maschere (1921) e Tramonto del grande attore (1929), e ci si accorge anche che è del 1918, e non del 1923, come si credeva, il primo schizzo preparatorio per il ritratto di Ruggeri che si completerà appunto nel Tramonto. Ma lo stesso vale anche per gli abbozzi dedicati a Maria Melato, alle due Grammatica, a Gandusio, a Musco e alla Duse, tanto per citare i più celebri e i più riusciti. Ritagliando e incollando questi frammenti sotto il nome degli attori, si otterrà, una voce dopo l'altra, un dizionario ragionato dei nostri più grandi interpreti. A dimostrazione che la ricchezza di questa compilation è davvero infinita.

Siro Ferrone


Copertina del I volume

cast indice del volume


 

Copertina del II volume
Copertina del II volume




 
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