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Alberto Severi

Il morbo di Pardini


Santa Croce sull'Arno-Milano, Il Grandevetro-Jaca Book, 2003, pp. 181, euro 11,00
ISBN 88-16-28242-8
Non capita di frequente che un testo teatrale diventi racconto o romanzo. In genere succede il contrario. Nel caso di Alberto Severi (o Pardini, dietro questo nome si nasconde in realtà una sorta di alter ego dell'autore) l'operazione ottiene il risultato di svelare lâesistenza di un talento narrativo dietro quello dialogico e drammaturgico che avevamo già conosciuto.

In questo volumetto l'autore di commedie e drammi trascrive in forma di racconto testi che già avevano visto la scena: Place des Vosges (2001) diventa il capitolo quinto dell'attuale ''composizione''; Aracne (2000) e la relativa Nota dell'Autore si trasformano nei capitoli sesto e settimo; il monologo Bruno professor Giordano, eretico (2001), pubblicato da ''Drammaturgia'', assume le vesti del capitolo ottavo; un dramma mai rappresentato per intero (Zona giorno) fornisce l'ossatura prevalente dell'opera dando vita ai capitoli secondo, terzo, quarto e nono. Diversa origine ha invece il capitolo primo (Complici), nato come sceneggiatura per un cortometraggio. Dunque dallo spettacolo al libro.

Complici è il risultato migliore dell'operazione di trapianto compiuta da Severi-Pardini. Un folgorante, in apparenza minimalista, e in definitiva tragico, apologo della nostra disumanità quotidiana: in una mediocre e trafelata giornata di ordinario consumismo l'unica risposta alla violenza gratuita è la violenza ''innocente'' di un bambino e della sua pistola giocattolo. Dietro il filtro di un'ironia garbata lo scrittore fa trasparire uno scetticismo (o pessimismo) senza vie d'uscita.

Anche i capitoli che seguono - sebbene il filo che dovrebbe tenerli uniti appaia di colore diseguale, troppo leggero, e a volte si strappi - lasciano intravedere un analogo coerente punto di vista. Il lettore viene preso nella trappola di una ragnatela di battute, botta-e-risposta, deliri, talvolta folgoranti, spesso irresistibili, ma l'intrattenimento ha sempre un retrogusto amaro. E' questo il pregio maggiore che si deve registrare nel passaggio dalla forma drammaturgica a quella narrativa: la presenza dichiarata dell'io narrante consente a Severi di lasciar trasparire meglio il suo spleen, quel tanto di dandysmo anglo-fiorentino, rivisto alla luce di Woody Allen, che riesce ad allontanare i personaggi meglio di quanto non possa avvenire in scena (anche perché lì talvolta gli attori - mi pare - fraintendono).

L'allontanamento del materiale umano e delle storie consente a chi legge di assumere uno sguardo da strabico. Un po' ci si immerge nel flusso felice delle battute, un po' le si ascoltano in un alone di irrealtà. La scrittura di Severi svolge le funzioni di regista e datore luci. Il gioco del dialogato appare così un ''passatempo'' disperato, un modo per ingannare il tempo e le proprie storie private. Mediocri burattini, che annaspano, inciampano, si affannano (se la cavino oppure no), sono i personaggi di Severi, antieroi piccoloborghesi. Non mi convince invece il sottolineato precipitare nella catastrofe finale di alcuni episodi, il dolore del vivere essendo già finemente descritto e rappresentato dalle mezze tinte comiche in cui lo scrittore è bravo nel miscelare intelligenza e pietà.

Dalla lettura - se non si sapesse l'origine scenica del libro - si esce convinti di avere incontrato un novellista di talento, da cui attendersi anche prove maggiori. Ma si può trarre ancora una volta la conclusione che tante volte abbiamo tratto, che non esiste una demarcazione sicura tra drammaturgia e narrativa, anzi che un buon narratore deve, per forza, avere alle spalle un solido talento drammaturgico.

Siro Ferrone


Copertina del volume

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Valzer di Guerra. Tre Commedie 

Undici atti unici


 
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