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Edoardo Erba

''Maratona di New York'' ed altri testi
''Buone notizie''
''Venditori''
''Dejavu''
''Senza Hitler''

Introduzione di Franco Quadri

Milano, Ubulibri, 2002, pp. 184, euro 16,50
ISBN 88 7748220-6

A parte Curva cieca (1992, pubblicato da Ricordi), il libro raccoglie i testi migliori di questo intelligente drammaturgo (qualche volta attore e regista) che ha cominciato a scrivere in maniera significativa e con successo negli anni Novanta. Sono opere teatrali per pochi attori (un po' più affollato è Venditori, premiato nel 1998 con l'award Enrico Maria Salerno) che adoperano una lingua parlata media senza macchie gergali o dialettali.

Ai facili espedienti linguistici che solleticano l'epidermide del pubblico Erba preferisce i rebus. Ci offre situazioni e rapporti tra personaggi che, presentati all'inizio come nebulosi, grazie a un dialogo reticente e sospeso, si sciolgono poi, ma senza arrivare a un definitivo chiarimento. Piccoli enigmi radicati nel quotidiano che poi trascolorano in un mistero onirico. Come se lo spettatore-lettore si svegliasse da un lungo sonno e impiegasse almeno la metà del tempo del dramma per capire dove si trova, salvo poi smarrirsi nel finale quando un nuovo sonno-sogno riparte. Può capitare - ed è l'espediente drammaturgico chiave di Erba - che la situazione descritta con il linguaggio del minimalismo realistico (in partenza) sia in verità l'ambiente del sogno e che quanto viene 'arredato' con il linguaggio fantastico sia invece la condizione 'vera' dei suoi personaggi: fantasmi, revenants , morti che ci guardano da un aldilà angoscioso. E questo abile capovolgimento finisce per daretensione a tutta la 'storia' inscenata.

Maratona di New York presenta due uomini che corrono-parlano-corrono (discorrono) evocando un passato che poi si scopre terminare in uno scontro mortale. Geniale l'intuizione di fare correre surplace in scena i due attori, costringendo i loro fiati a uno sforzo crescente e necessario. La finzione è lentamente svelata e riportata alla sua verità fisica. L'enigma della morte è magistralmente fatto carne. Un analogo 'coma vigile' sembra avvolgere gli altri testi. Anche se infastidiscono (quando ci sono) i pur misurati effetti simbolisti (Buone notizie) oppure i prevedibiloi espedienti dell'intreccio (Dejavu e Senza Hitler), raramente il ritmo drammatico di Erba si inceppa. La sua danza sul filo minimalista è sempre sostenuta dall'umorismo.

Nel caso del dramma dedicato a un immaginario Hitler, pittore sfigato che vive con Eva Braun in un dopoguerra senza guerra e senza nazismo, e tuttavia in un'Europa non molto diversa dall'attuale, c'è l'eco di una science fiction alla Philip K. Dick (i cui riflessi cinematografici sono stati visti anche alla recente Mostra di Venezia in Mrs. mEiTLmeIHr di Graham Rose-GB). Erba trova battute brillanti e anche azioni umoristiche, ma non convince. Il finale (arriva anche Anna Frank a farsi ammazzare dal mancato führer), che in genere gli serve a sciogliere e riannodare il rebus e l'angoscia, questa volta è didattico e irrigidisce in un teorema di simboli le inquietudini (l'orrore del nazismo quotidiano) che il testo aveva fatto trasparire qua e là.


Siro Ferrone


Un'immagine dallo spettacolo ''Maratona di New York'' nell'edizione andata in scena a Fontainbleau nel 1998

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