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Da Caligari a Good Bye, Lenin!
Storia e cinema in Germania
A cura di Matteo Galli

Firenze, Le Lettere, 2004, pp. 638, euro 38,00
ISBN 88-7166-8537

Il volume, curato da Matteo Galli, direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell'Università di Ferrara, si propone l'ambizioso obiettivo di indagare il complesso rapporto tra il cinema tedesco e la storia della Germania dagli anni Venti ad oggi e, allo stesso tempo, di tracciare una storia, o meglio un "riepilogo diacronico", del cinema tedesco attraverso exempla.

Come illustra Galli nell'introduzione, lo scopo è in realtà di triplice natura: documentare i modi in cui il cinema ha "riflettuto" sulla Storia ("la Storia nel cinema"); ripercorrere, seppur solo orientativamente, lo sviluppo dell'arte cinematografica in Germania ("la storia del cinema"); e, infine, illustrare la "funzione" del cinema nei diversi "periodi" attraversati dalla società tedesca nel ventesimo secolo ("il cinema nella storia"). E si può dire subito che la ricca raccolta di saggi che costituisce il volume rimane fedele agli intenti e si presenta come il risultato di uno scambio proficuo tra germanistica e critica cinematografica e la dimostrazione che un assunto apparentemente "scontato" quale quello dello strettissimo legame tra cinema e storia in Germania può ancora costituire la base di studi di grande originalità, complessità e interesse.

I saggi, trenta in tutto, scritti sia da storici del cinema che da germanisti, sono disposti in ordine cronologico relativamente al film di volta in volta trattato. Si inizia con il contributo di Leonardo Gandini dedicato a Madame Dubarry di Lubitsch (1919), in cui l'autore, individuando nel rapporto dialettico tra individuo e collettività uno dei nuclei centrali del film, ne sottolinea la stretta interdipendenza con la situazione politico sociale della Weimarer Republik. Allo stesso anno risale il film analizzato da Francesco Pitassio, Il gabinetto del dottor Caligari, di Wiene. Pitassio si concentra in modo decisamente acuto ed originale su alcuni aspetti del film ancora quasi ignorati dalla critica mettendone in evidenza lo stretto legame con i profondi cambiamenti nelle strategie mediali e comunicative che si verificarono nel primo dopoguerra ed ebbero uno straordinario influsso sulla società, la cultura ei diversi ambiti artisitici.

Menschen am Sonntag
Menschen am Sonntag, 1930

Tra gli altri saggi dedicati al cinema degli anni Venti e Trenta si segnalano quello di Alessandro Zironi su I Nibelunghi di Lang (1924), volto a definire la posizione di Lang nei confronti della ricezione nibelungica; il contributo di Alberto Boschi, La guerra neo-oggettiva, incentrato sulla rappresentazione della prima guerra mondiale nel cinema tedesco ed in particolare sul film Westfront 1918 di Pabst (1930); e il saggio di Elena Dagrada, in cui l'autrice tenta di sfatare le numerose "leggende" sorte intorno a Menschen am Sonntag di Siodmak (1930) e di offrirne nuovi spunti interpretativi. Di particolare interesse e rilievo i saggi di Alessandro Fambrini e Leonardo Quaresima dedicati alla complessa problematica del "cinema nella Storia", in cui si prendono in esame due film divenuti veri e propri manifesti politici: Kuhle Wampe di Dudow (1932) e Der Sieg des Glaubens di Leni Riefenstahl (1933).

Tre saggi sono dedicati al cinema del Terzo Reich e sono seguiti da due contributi incentrati rispettivamente sul Trümmerfilm e sul cosiddetto Papas Kino. Nel primo, di Mario Rubino si dà un’interessante ed accurata analisi del primo film tedesco del dopoguerra Gli assassini sono fra noi di Staudte (1946), mentre nel secondo Stefania Sbarra analizza La ragazza Rosmarie di Thiele (1959), film che ebbe all’epoca un enorme successo di pubblico e che Sbarra interpreta come un affresco satirico della società della BRD nel periodo del cosiddetto "miracolo economico". Solo due sono i contributi sul cinema della DDR, e in particolare sui suoi due principali registi, Beyer e Wolf, i cui film vengono analizzati rispettivamente da Fabrizio Cambi e Paolo Scotini.

Il cuore del volume è tutto incentrato sul periodo che va dal 1962 al 1992 nella BRD: è infatti in questo periodo che nasce e si sviluppa in Germania il cosiddetto "nuovo cinema" e che la cinematografia tedesca torna a giocare un ruolo decisivo a livello internazionale, parallelamente a quanto avvenuto negli anni Venti. Ai saggi dedicati alla fase iniziale di rinnovamento, rispettivamente su Nicht versöhnt di Straub-Huillet e a La ragazza senza storia di Kluge, due film che "avviano profonde riflessioni sulla storia tedesca", seguono sei contributi incentrati sul cinema nella seconda metà degli anni '70, periodo in cui la radicalizzazione del conflitto con la Rote Armee Fraktion nella Germania Federale diventa tale da influenzare in modo decisivo artisti e intellettuali, con evidenti conseguenze anche sull'arte cinematografica. Particolarmente interessante, in questo gruppo di saggi, è quello di Giovanni Spagnoletti, Riscatto e distruzione, un'analisi concisa e pregnante di Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder in cui si evidenziano non solo le modalità con cui il film riflette la profonda connessione tra "la Storia e lo spirito del proprio paese", ma anche il "ruolo" di questo film sul piano estetico stilistico nell'ambito della storia del cinema.

Sonnenallee, 1999
Sonnenallee, 1999

Da segnalare anche il contributo di Roberta Malagoli su David, l'unico film di Lilienthal dedicato alla storia tedesca, che l'autrice interpreta non tanto come un confronto diretto con il passato quanto come un "dialogo interno alla diaspora ebraica sull’anamnesi della Shoah e sull'identità ebraico-tedesca dopo il 1945". Tra i saggi successivi, sul cinema degli anni '80, si segnalano il contributo di Giaime Alonge su U-Boot 96 di Petersen (1986) e quello di Eva Banchelli su Il cielo sopra Berlino di Wenders. (1987). La parte dedicata al trentennio in cui nasce, si sviluppa e si esaurisce il "nuovo cinema tedesco" si conclude con l'originale contributo di Barnaba Maj che tratta in modo acuto e decisamente affascinante il film Heimat 2 (1992) di Reitz, il regista che, secondo Baj, riesce a "narrare, per la prima volta, il popolo tedesco in prima persona e nella prospettiva della quotidianità, senza nulla omettere e nulla concedere all'elemento romantico, che nella cultura tedesca si lega all'idea di popolo come unità mistica tra natura e storia".

Nei saggi finali si affronta il cinema successivo all'Unificazione di cui vengono analizzati tre film che presentano ciascuno diverse modalità di confronto con la storia tedesca. Gli interessanti contributi di Elena Agazzi su Sonnenallee di Haußmann (1999) e di Luca Renzi su Good bye, Lenin! (2003) affrontano il tema della Ostalgie, la nostalgia della Germania dell'Est, ed analizzano, nei rispettivi film, due diversi modi in cui il cinema occidentale ha riflettuto sulla DDR, sulla divisione della Germania e sulla successiva riunificazione. Il terrorismo è invece al centro del film Black Box BRD di Veiel (2001), di cui Matteo Galli presenta una analisi lucida ed efficace volta a evidenziare elementi di continuità e di rottura rispetto alla tradizione cinematografica tedesca sul terrorismo RAF.

Il volume, corposo ed impegnativo, sembra andare decisamente oltre gli intenti iniziali e riesce ad offrire non solo una ricca documentazione del rapporto tra storia e cinema in Germania ma anche un efficace spaccato della cultura e della società tedesca del ventesimo secolo.






Roberta Carnevale


Copertina

cast indice del volume


 
 



 


 



Il gabinetto del dottor Caligari, 1919
Il gabinetto del dottor Caligari, 1919



 



 



Kuhle Wampe, 1932
Kuhle Wampe, 1932

 

 

 

 



 

Der Sieg des Glaubens
Der Sieg des Glaubens, 1933
 

 




 




Black Box BRD, 2001
Black Box BRD, 2001

 

 


 

 

 

 
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