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Joanna Baillie

Witchcraft/Stregoneria

A cura di Valentina Poggi

Firenze, Aletheia, 2002, pp. 183, Euro 15,00
ISBN 88-85368-32-8
Intellettuale formatasi al passaggio tra razionalismo settecentesco e nuova sensibilità romantica, Joanna Baillie teorizzò "drammi della passione" in cui la disamina clinica delle emozioni dei personaggi (suo fratello fu un famoso medico), viste come prodotto di una elaborazione cerebrale, "passioni della mente", suscitasse una "curiosità empatica" nello spettatore, un piacere generato dalla commistione di comprensione intellettuale e partecipazione emotiva. Dopo un momento di gloria nel primo Ottocento, la Baillie venne rapidamente dimenticata e nell'introduzione alla sua ultima raccolta di lavori (1836), che comprende questo Witchcraft, appare consapevole di non potere più aspirare alla rappresentazione dei suoi drammi.

Il testo qui pubblicato fa facilmente capire cosa determinò la fortuna iniziale e il successivo declino dell'autrice. La drammaturga scozzese costruisce una tipica pièce larmoyante a lieto fine (nonostante la denomini tragedia) che accumula, fino a diventare inverosimile, una serie di tratti romanzeschi tipici del genere: la bella fanciulla ingiustamente perseguitata dalla perfida antagonista; il padre accusato per un delitto non commesso e creduto morto; il giovane focoso, innamorato della fanciulla, che soffre come lei a causa della fortuna avversa; il pregiudizio sociale e la superstizione; infine la "location" fosca e romantica arricchita da presenze misteriose.

Un guazzabuglio che richiederebbe, per uno sviluppo credibile, i tempi lunghi della narrazione e che invece viene risolto senza oltrepassare eccessivamente le unità aristoteliche, grazie all'impiego di una girandola di "sbottonature" finali (quattro!). Per chi ignora il significato di questo vecchio lemma del gergo teatrale, la "sbottonatura" consiste nell'introdurre sulla scena un personaggio importante, o quantomeno latore di una verità nascosta, che si palesa improvvisamente imponendo d'autorità di essere ascoltato e conducendo la trama allo scioglimento e al lieto fine. In Italia il ricorso a questa soluzione era la "firma" del fecondo Camillo Federici, uno degli autori teatrali "di consumo" più frequentato dalle compagnie di prosa di ogni ordine del primo Ottocento, e che è resistito con onore nel repertorio delle "minime" popolari fino alla loro scomparsa nel nostro secondo dopoguerra.

E infatti solo un pubblico popolare, da "arena" diurna, poteva appassionarsi, nell'Ottocento delle industrie, dei treni, dei piroscafi e dei conflitti di classe, a questo drammone. La borghesia trionfante preferisce il dramma realistico "di società", o la riproposta dei capolavori del passato (Shakespeare in primo luogo) che mettano in scena personaggi di ben altro spessore delle marionette modellate sulle Lines of business (ruoli) della Baillie. Padri teneri e dignitosi, madri tenere, innamorati focosi, attrici giovani disperate ma che perdonano tuttiˇ e l'antagonista femminile, la heavy woman, che (forse per adattarsi meglio all'organico della singola compagnia) combina tratti della nostra Seconda donna (è straniera, cinica, intrigante) con tratti da Primattrice (si produce in frequenti "tirate" tragiche).

Bisogna però dire che la Baillie sembra ammiccare a un altro pubblico, ben diverso sia da quello popolare che da quello borghese medio. Infatti i connoisseurs, gli appassionati del genere, possono divertirsi con le "citazioni" della Baillie: nel villaggio scozzese scorrazzano per la brughiera tre streghe (che invece di "fair is foul, and foul is fair" cantano "to the right, to the right, to the right we wheel", ma il ritmo è molto simile); la "cattiva" si chiama Annabella, come l'incestuosa criminale protagonista di 'Tis pity she's a whore di John Ford (non ci sono fratelli di mezzo, ma è furiosa perchè il cugino non la corrisponde); la "malvagia", per causare la rovina della sua rivale, spinge un servo ignaro a trafugare un drappo di seta che fa ritrovare nella stanza di una bambina affetta da maleficio (a parte il tema della magia, non vi viene in mente un certo fazzoletto?); ancora Annabella, per essere rassicurata sulla riuscita dei suoi neri propositi, non trova niente di meglio che prendere come confidente la capo-strega Grizeld (e qui si allude a un certo usurpatore scozzese).

Una tale accumulazione di prestiti non può che sembrare ironica. E infatti le tre streghe non sono altro che due povere contadine e una pazza scappata dal manicomio, e il "regno" a cui aspira la maliarda non è che un paesucolo popolato da contadini sgrammaticati (la Baillie si diverte anche a mettere a contrasto, in varie scene comico-realistiche, il rozzo dialetto degli highlanders con la dizione pettegola e affettata della cameriera di Annabella, che viene dalla città); i funzionari locali, anche se parlano un po' meglio, sono altrettanto - se non ancor più - ignoranti del resto della popolazione.

In questo caleidoscopio di marionette e macchiette umoristiche un solo personaggio riesce a raggiungere una vera intensità tragica: è Grizeld, la pazza, ossessionata dall'immagine del marito che è stato impiccato. Nel suo delirio si crea veramente una realtà magica, lei vive in un mondo dove la corte infernale cammina sulla terra e la corda della forca, trasfigurata in un diadema di fiamma, è l'emblema che attesta la resurrezione del suo amato sposo come principe dei demoni. é un'immagine di una stupefacente modernità psicologica, che anticipa (voglio precisare che la coincidenza appare fortuita: Massimo Bontempelli sicuramente ignorava l'esistenza di Stregoneria) l'ossessione di Maria in La guardia alla luna.

L'edizione, tradotta e curata da Valentina Poggi, consente al lettore la consultazione del testo originale, stampato a fronte della versione italiana. Il volume fa parte della sezione Testi (diretta da Lilla Maria Crisafulli) della collana Scaffale romantico, curata dal Centro Interdisciplinare di Studi Romantici dell'Università di Bologna.

Paolo Albonetti


copertina del volume

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