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Mauro Gervasini

Cinema poliziesco francese


Recco, Le Mani, 2003, pp. 215, euro 15,00
ISBN 88-8012-261-4
Il "polar" non come variante in minore del film poliziesco hollywoodiano, ma letto nei suoi caratteri specifici all'interno della storia del genere e della storia del cinema francese: questa la premessa da cui parte la trattazione, attenta e sistematica, di Mauro Gervasini. L'intreccio tra genere letterario e narrazione cinematografica fa da filo rosso al volume: l'autore accosta, di volta in volta, le emergenze della letteratura noir alle opere apparse sul grande schermo, che spesso ne rappresentano la traduzione, in un percorso che attraversa molti dei momenti e delle immagini più suggestivi della cinematografia francese.

Si parte dagli anni Dieci del Fantômas dei romanzi di Souvestre e Allain e del serial di Louis Feuillade, con René Navarre che dà corpo all'imprendibile criminale; si passa agli anni Trenta del commissario Maigret, nato nelle pagine di Simenon e portato sullo schermo, tra gli altri, da Jean Renoir (La nuit du carrefour, 1932) e Julien Duvivier (La tête d'un homme, 1932), per arrivare alla grande stagione del "realismo poetico" e della sua icona, il volto segnato e malinconico di Jean Gabin, protagonista di Le jour se lève (Carné, 1939), La belle équipe (Duvivier, 1936), Pépé le Moko (ancora Duvivier, 1936). Si attraversa poi la stagione cupa dei film realizzati dalla casa franco-tedesca Continental negli anni di guerra e di occupazione nazista (tra tutti, Le corbeau di Clouzot, 1943) fino all'exploit letterario della Série Noire pubblicata da Gallimard, fondata e diretta da Marcel Duhamel, il cui scopo dichiarato era "[rappresentare] l'azione, la violenza - sotto tutte le sue forme, specie le più spregevoli - pestaggi e massacri" e "la passione e l'odio, senza alcuna pietà". In questo clima macabro, a tratti grandguignolesco, appaiono sullo schermo grandi polar, divisi tra sequenze d'azione e riflessioni malinconiche sull'amarezza dell'esistere, come Touchez pas au grisbi! (1953) di Jacques Becker, Du rififi chez les hommes (Dassin, 1955) e i magnifici e inquietanti Le salaire de la peur e Les diaboliques (Clouzot, rispettivamente 1953 e 1954). 

 

Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg in ''A bout de soufle'' (1960)
Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg in ''A bout de soufle'' (1960)


La stagione della modernità, aperta da Le trou di Becker (1960), appartiene alla Nouvelle Vague, che s'impadronisce del genere e si diverte a giocare con le regole della narrazione frantumandole, come fanno Godard, in À bout de souffle (1960), e Truffaut, in Tirez sur le pianiste (1960). Gervasini si sofferma poi sull'opera di Melville, dal primo Le silence de la mer (1947) a Le doulos (1962) e Le samouraï (1967) fino a Un flic (1972), filmografia che ruota tutta intorno al genere noir reinventandolo dall'interno e traducendolo in una straordinaria asciuttezza narrativa e stilistica. Il volume si chiude infine sugli anni dai Settanta a oggi, nei quali, se il poliziesco letterario ha saputo rinnovarsi e trovare un nuovo pubblico - dal neo-polar impegnato di Jean-Patrick Manchette (dal suo Nada il film omonimo di Chabrol, 1974) agli struggenti e impietosi racconti del marsigliese Jean-Claude Izzo - il polar cinematografico è rimasto sostanzialmente sottotono, non riuscendo più a replicare i capolavori delle grandi stagioni trascorse.

Emerge qua e là nelle pagine del volume il fascino sottile dei paesaggi, che non si riducono quasi mai, nel noir, a semplice quadro di fondo dell'azione: dalla Parigi di Fantômas, ma anche di Godard e Becker, al Sud di Toni (Renoir, 1934) e che punteggia le pagine delle avventure del detective Fabio Montale narrato da Izzo, alla provincia cerimoniosa e macabra di Clouzot e Chabrol, gli ambienti del polar colorano il film di sfumature torbide e oscure assumendo a tratti il ruolo di protagonisti: un tema sotterraneo e affascinante che avrebbe meritato forse una trattazione più ampia, come in ombra rimane la componente stilistica dei film che l'autore illustra. I primi piani dei film degli anni Trenta come le lunghe sequenze del Becker di Grisbi e la straordinaria sperimentazione visiva e sonora di Le trou, che lavora sulla semplificazione dell'immagine e sull'eliminazione della colonna sonora, ridotta ai suoni aspri e discordanti provocati dal cozzare degli strumenti contro le pietre, ma anche i piani sequenza asciutti e scabri di Melville, avrebbero meritato qualcosa di più che brevi accenni, in un volume che possiede in ogni caso il merito di dare un buono e documentato quadro di riferimento del genere, in una trattazione agile e scorrevole. Buona la bibliografia.

Chiara Tognolotti


copertina del volume

cast indice del volume


 



 
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