La tesi è ardita, gli strumenti di analisi ampi e complessi. Il saggio di Geoff King, Lecturer in film and television studies alla Brunel University di Londra, tempestivamente tradotto da Einaudi a distanza di due anni dalla pubblicazione in lingua inglese, affronta la Nuova Hollywood in termini stilistici, industriali e storico sociali, sostenendo lindispensabile compenetrazione delle tre prospettive per interpretarne correttamente il funzionamento. Fin qui, King si muove nel solco della prospettiva storiografica corrente. Invece, considerando la produzione hollywoodiana compresa fra la fine degli anni Sessanta e oggi come un unico macrosegmento diviso in due "versioni", lo studioso opta per una linea interpretativa definita dalla continuità piuttosto che segnata da differenze sostanziali e ciò comporta la dimostrazione continua dellassunto che fra la Hollywood Reinassance di Easy Rider e Il laureato e il corporate blockbuster degli anni Ottanta-Novanta come Lo squalo o Godzilla ci siano più tratti affini che sostanziali difformità (stilistiche, industriali, storico sociali).
Detto diversamente, secondo King la Nuova Hollywood di Coppola, Scorsese e Altman appare una "prima versione" di quella, oggi dominante, di Spielberg, Lucas e degli action heroes perché due ideologie contrapposte si sono avvicendate pur operando allinterno dello stesso contesto industriale: è infatti innegabile che le Major abbiano continuato a dominare il mercato cinematografico statunitense dopo aver superato la crisi degli anni Cinquanta.
Lanno chiave per King resta il 1948, quando la nota sentenza antitrust contro la Paramount minò alle radici il sistema dellintegrazione verticale degli studios e impose una complessa riorganizzazione, vanificata però nella sostanza dal fatto che la legge "trascurò un punto cruciale, sottraendo loro il controllo dellesercizio ma lasciando la distribuzione nelle loro mani (…). Oggi i grandi studios hanno due ruoli primari: uno è la distribuzione, laltro il finanziamento".
I primi due capitoli, rispettivamente dedicati alla Reinassance e alla Hollywood delle concentrazioni economiche, corredati da dati puntuali desunti da fonti statistiche, sono i migliori del volume: la perlustrazione dei meccanismi industriali del cinema hollywoodiano è decisiva e pressoché incontrovertibile. Sul capitolo riservato allautorialità della Nuova Hollywood il giudizio è differente: partendo dalla convinzione che il cinema commerciale americano impedisca di considerare il regista autore dellopera (ma non erano analoghi i presupposti anche ai tempi di Welles e Hitchcock?), King nega a Spielberg lo statuto di autore basandosi su unanalisi stilistica di E.T. che può lasciare sconcertati, ad esempio quando scrive che "gli interessi tematici che si attribuiscono a Spielberg possono anche essere visti da prospettive sociali, storiche, culturali o ideologiche", dal momento che unaffermazione del genere potrebbe essere estesa a qualunque altro autore e applicarsi a qualunque film. È invece particolarmente interessante la parte riservata al "business dellautorialità" che, aprendo la strada al fenomeno del "regista come celebrità", garante cioè in prima persona del progetto cinematografico, ha posto le basi per due avventure industriali straordinarie, quella fallimentare di Coppola (con il "sogno lungo un giorno" degli Zoetrope Studios) e quella vincente di Spielberg (Dreamworks è la nuova major del secondo millennio).
Nei capitoli centrali si allarga ulteriormente lo spettro dellanalisi che viene estesa ai generi, al potere delle star e al fenomeno della narrazione contrapposta allo spettacolo allinterno del film, decisivo per decretare, secondo molti studiosi, lavvento di una nuova forma del cinema hollywoodiano che subordina lintreccio alle azioni spettacolari sancendo un significativo depotenziamento della centralità narrativa. King preferisce affrontare in maniera problematica i risultati delle ricerche più aggiornate di cui dà puntualmente conto (si veda la monumentale bibliografia): per i generi, applica la tesi del maggiore specialista, Rick Altman, dimostrando che è proprio del sistema il costituirsi per filoni e cicli al cui interno, fin dallepoca classica, operano continue contaminazioni: perciò ritiene che la Nuova Hollywood non presenti particolari tratti di innovazione in tal senso. Quanto al divismo, fra le righe sembra riconoscere alla star contemporanea un nuovo status perché in grado di esercitare una forma di controllo della propria immagine impensabile allepoca dello studio system. Ma è al tema della centralità narrativa che dedica il maggior impegno argomentativo: il cosiddetto "profilo a montagne russe" che contraddistingue i momenti spettacolari del blockbuster hollywoodiano, secondo King non affossa la narrazione né la subordina, semmai la compenetra come mai era accaduto prima, e comunque nega che le produzioni spettacolari dei corporate blockbuster "rappresentino una netta rottura dallo stile classico e di transizione a quello postclassico". "Le differenze – afferma – sono importanti ma lo sono anche i numerosi concreti elementi di continuità". Chiude il saggio un capitolo riservato ai rapporti con la televisione affrontati dalla prospettiva stilistica dei formati che comprende una pertinente comparazione fra Spartacus di Kubrick e Il gladiatore di Ridley Scott.
In linea generale, King si dimostra molto acuto nel tratteggiare il complesso panorama dellindustria hollywoodiana passata e presente (le corporation mediatiche hanno interessi tentacolari e globalizzati che si estendono dalle tv al mercato discografico, dalleditoria ai videogiochi) mentre lanalisi del contesto culturale resta fatalmente insufficiente in assenza della distanza necessaria ad elaborare un più approfondito giudizio storico. Che si sposi o meno la tesi della continuità tanto accanitamente difesa dallo studioso, il saggio resta un punto di riferimento imprescindibile per lo studio dellargomento trattato.
Cristina Jandelli
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