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L'eredità di Diego Carpitella.
Etnomusicologia, antropologia e ricerca storica nel Salento e nell'area mediterranea.

A cura di Maurizio Agamennone e Gino L. Di Mitri

Nardò, Besa Editrice, 2003, pp. 421, euro 20
ISBN 88-497-0217-5
In ricordo e nel segno di una grande personalità della cultura italiana del secolo scorso, è stato dato alle stampe il volume L'eredità di Diego Carpitella, edito da Besa di Nardò (Lecce) e curato da Maurizio Agamennone e Gino L. Di Mitri, ove si raccolgono gli atti di un autorevole convegno internazionale, tenutosi a Galatina, in provincia di Lecce, dal 21 al 23 giugno 2002, a cura della locale amministrazione comunale e con il patrocinio di alcune università italiane e straniere, fra le quali Lecce, Venezia, Ginevra, Parigi. I due coordinatori scientifici riunirono alcuni fra i più autorevoli etnomusicologi, storici ed antropologi europei – fra cui molti allievi e amici di Carpitella – i quali presentano contributi originali relativi a ricerche, spesso ancora in progress, nel Salento ed in area mediterranea. Il taglio non è meramente elogiativo o agiografico, bensì propositivo, con uno sguardo rivolto al futuro delle discipline appena citate nel solco del magistero, delle intuizioni personali, dei molteplici interessi sviluppati da Carpitella, dagli anni cinquanta sino alla prematura morte, nel 1990.

La figura dell'etnomusicologo calabrese, noto per aver partecipato alla 'mitica' ricognizione etnografica di Ernesto De Martino nel giugno 1959 a Galatina - quindi per il conseguente saggio L'esorcismo coreutico-musicale del tarantismo, inserito nel fondamentale volume demartiniano La terra del rimorso (Milano, Il Saggiatore, 1961) - si articolò, in effetti, su interessi diversi, per certi versi caleidoscopici nel comporre il quadro di una complessa personalità, dalla lucida curiosità intellettuale, che caratterizzò una fase pionieristica di cui egli fu principale protagonista, dell'etnomusicologia italiana come dell'antropologia visuale, della didattica come della critica musicale, per fermarsi ai suoi interessi più noti.

Il direttore scientifico Maurizio Agamennone, allievo del Maestro, professore associato presso l'Università di Firenze e già docente presso l'ateneo leccese, riflette sulla storia professionale ed umana di Carpitella nel suo contributo introduttivo, il più ampio e strutturato fin'ora apparso sull'argomento. Con una scansione non diacronica ma tematica, egli rileva i tratti di estrema originalità creativa e rigore scientifico della complessa personalità carpitelliana, quadrando il cerchio, tra l'altro, anche della propria esperienza scientifica, professionale, umana, scegliendo il Salento, ed anzi proprio Galatina: "Un luogo in cui la storia si è davvero impegnata ad imprimere segni profondi", come scrive nella sua riflessione (p. 32), per riannodare i fili che lo legano all'etnomusicologo scomparso e, insieme, alla terra che li vide entrambi protagonisti ed attivi, a circa quarant'anni di distanza l'uno dall'altro, con condizioni ambientali, antropologiche, sociali profondamente mutate e, tuttavia, fra loro correlate.

In questo prospettiva occorre ricordare, quale esempio di una presenza non meramente accademica e tuttavia fondante, l'ideazione e direzione artistica, da parte di Agamennone, delle prime edizioni della "Notte della Taranta" di Melpignano, ove storia e presente, riferimenti ancestrali e pratiche della vita contemporanea, si fondevano per ritrovare e rinnovare una marca culturale identitaria locale. Anche in questi interventi sul terreno, declinati all'analisi etnoantropologica in cui il focus è, ancora una volta, la musica neofolk vista come espressione della contemporaneità, Maurizio Agamennone è continuatore di Diego Carpitella, il quale auspicava un'etnomusicologia rigorosa ma scevra da uno sterile sapere libresco, che intervenisse nel sociale, fra la gente, con scopi pedagogici e però anche di rinnovamento dei repertori, mediante la rilevazione, l'analisi ma anche la proposizione di un'ibridazione delle diverse tradizioni musicali e prassi esecutive in una prospettiva concretamente interculturale (vedi R. Tucci, Etnomusicologia, giornali e palcoscenici: Diego Carpitella critico musicale e promotore di cultura, nel volume che qui si recensisce, pp. 41 –51) .

Da ascrivere allo stesso curatore è anche il corposo ed estremamente analitico indice dei nomi, strumento fondamentale per un utilizzo integrale, consapevole ed organico della grande massa di informazioni che un volume come questo racchiude. Non è ovviamente possibile, in questa sede, riassumere i venticinque interventi pubblicati, spesso molto articolati, con descrizioni etnografiche, tabelle, trascrizioni in notazione musicale. Oltre ai contributi che mirano a definire in maniera strettamente personale, seguendo spesso il profilo della memoria che il relatore ne conserva, la personalità di Diego Carpitella – fra questi quelli di Pierluigi Petrobelli, Alfredo Ancora, Agostino Ziino, Pietro G. Arcangeli – è possibile citarne solo alcuni fra quelli che appaiono di particolarmente ed immediato interesse scientifico.

Fra questi, è di rilievo il saggio storico-antropologico di Eugenio Imbriani sulla spedizione di De Martino, perché definisce caratteristiche tecniche ma anche concettuali della riflessione dell'etnologo, intimamente correlate con le trasformazioni della cultura contadina, fino ad influire sui modi dell'attuale 'neo-tarantismo'. Lo storico Gino L. Di Mitri, anch'egli coordinatore del convegno galatinese, presenta un inedito saggio settecentesco, che segna l'incipit degli studi antropologici e musicologici in area scandinava, redatto dal matematico svedese Harald Vallerius. Franco Signore narra di un'interessante indagine sul terreno, ancora in corso, volta ad accertare memorie e saperi residuali sul tarantismo in un'area del Salento non frequentata dalle esplorazioni del passato. Lo storico Peregrine Horden, dell'Università di Londra, porta un po' di scompiglio nelle certezze accademiche, descrivendo la sua particolare visione della storia delle terapie musicali nel Mediterraneo, i cui tratti distintivi e caratterizzanti sono, a suo parere, non le continuità e le correlazioni ma le discontinuità storiche. Un contributo comparativo, e decisivo, sui dati etnomusicologici emergenti dall'intera bibliografia dei testimoni diretti di pratiche tarantistiche, è riscontrabile nella comunicazione di Francesco M. Attanasi, Il tarantismo in musica: preliminari storici per un'identificazione musicologia, di cui si attendono gli ulteriori, interessanti sviluppi in un saggio di prossima pubblicazione.

Il maggior etnomusicologo africanista, Simha Arom del CNRS francese, insieme con il sociologo Denis-Constant Martin del CERI-Sciences Po di Parigi, riflette sulle modalità creative e sulle suggestioni esotiche della world music, anche in relazione ai riflessi commercial-economici indotti. L'intervento di Daniele Durante, infine, costituisce un'interessante documentazione etnografica 'dall'interno', nella particolare visione e percezione di un musicista d'area 'neo-popolare' nei suoi rapporti con altri esecutori in situazioni performative post-moderne. Il volume sull'eredità carpitelliana evita accuratamente la nostalgica rievocazione – che proprio a Carpitella sarebbe apparsa come noiosamente sterile – e appare invece proiettato verso gli ulteriori sviluppi degli studi musicologici, demo-etno-antropologici e storici, costituendo un riferimento irrinunciabile per chiunque, in futuro, vorrà operare nella ricerca d'area in questi ambiti disciplinari.

Giovanni Fornaro

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