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Maurizio Grande

Il cinema in profondità di campo

A cura di R. De Gaetano

Roma, Bulzoni, 2003, pp. 440, euro 25,00
ISBN 88-8319-836-0
Disegnare la mappa della riflessione di Maurizio Grande inquadrandola nel contesto degli studi di teoria del cinema in Italia e in Francia dagli anni Settanta in poi: questo l'itinerario del volume che, curato con dedizione e scrupolo filologico da Roberto De Gaetano, ripropone buona parte degli scritti sul cinema dello studioso scomparso da qualche anno. Ordinati per grandi sezioni tematiche, i saggi si snodano lungo una direttrice che va, in sintesi, da Hjemslev a Deleuze: seguiamo così il pensiero di Grande muovere dalla semiotica alla filosofia, attraversando territori e autori quali Peirce, Lotman, Barthes, Ejzenstejn, per abbandonare progressivamente le rigidità dello strutturalismo in favore di altri e più eterogenei modelli teorici.

Così le riflessioni di Grande si concentrano, negli anni Settanta, su temi che germogliano dal Garroni di Semiotica ed estetica (1968) e Progetto di semiotica (1972): come succede, ad esempio, in L'icona cinematografica (riprodotto nella sezione I del libro), in cui lo studioso intreccia i modelli proposti da Peirce e Gombrich nel tentativo complesso di costruire un modello generale di semiotica cinematografica su base strutturalista. Sono, queste, pagine di forte densità concettuale, che talvolta si chiudono nel rigore della costruzione teorica e che, invece, acquistano respiro ed efficacia quando la scrittura esce dall'architettura astratta per usare gli strumenti della semiotica come utensili per leggere concretamente il film: è quanto accade in Le temperature del racconto cinematografico, in cui gli schemi di marca strutturalista prendono corpo nella lettura del cinema di Marco Ferreri.

Nel pensiero di Grande interviene poi la semiotica della cultura di Lotman, che lo conduce a lavorare sui testi e sulle pratiche di lettura: è il passaggio definitivo alla "post-semiotica", per stare alla definizione proposta da Francesco Casetti, ovvero a una riflessione che apre codici e temi dello strutturalismo a campi d'indagine più variegati, eterogenei e problematici. Due divengono allora, nella produzione saggistica degli anni Ottanta, gli autori di riferimento per Grande: Sergej Ejzenstejn (di cui si pubblicano le Opere scelte, curate da P. Montani, nel corso del decennio) e Gilles Deleuze (L'immagine-movimento esce in Italia nel 1984, L'immagine-tempo nel 1989). Tramite questi due poli, che orientano l'intero orizzonte della teoria del cinema in Italia, il pensiero di Grande si trasforma in una riflessione dinamica e proteiforme, testimoniata dai testi raccolti nelle sezioni II, VII e IX.

Il coagularsi del pensiero attorno a questi due punti di riferimento costituisce l'originalità del pensiero di Grande perché lo pone all'intersezione di due tradizioni ermeneutiche spesso opposte tra loro: da un lato il campo razionalista, raccolto attorno all'interpretazione del pensiero di Ejzenstejn e al primato della "forma" della rappresentazione, logicamente definita e geometricamente delimitata; dall'altro lato il territorio, meno rigido e normativo, della tradizione di studi che trova radici nel pensiero filosofico di Bergson e viva soprattutto in Francia: una tradizione più asistematica e meno razionale, che vede il cinema, con Deleuze, come superamento e dissolvimento della forma della rappresentazione e del principio d'identità che la sostiene verso un'immagine che non è più costruzione definita ma "campo di forze" magmatico e mutazione continua di "strati di realtà".

Ma il fascino del pensiero di Grande nasce sovente, oltre che dai saggi più ponderosi, da interventi più rapidi e leggeri: come in L'interpolazione tra cinema e pittura, in cui pochi e illuminanti tratti analizzano l'inquadratura del film di Antonioni in quanto intersezione tra figura cinematografica e immagine pittorica; o come nei contributi dedicati al discorso critico, in cui emerge con forza la necessità di una presa di posizione del critico-spettatore di fronte all'appiattimento culturale della società contemporanea, che mescola con indifferenza valori e disvalori in un métissage privo di qualsiasi spessore culturale. Grande rivendica allora, nell'esercizio della critica - ed è questa una delle eredità più importanti che lo studioso ha lasciato - l'imprescindibilità di una scelta e la necessità di schierarsi, con onestà intellettuale, secondo una scala di valori chiara e precisa: "La nostra società allinea pezzo dopo pezzo, immagine dopo immagine, cliché culturale dopo cliché culturale, senza alcuna organizzazione assiologica dei valori, dei beni, dei discorsi. [...] Io credo che il critico debba partire dal presupposto che il tipo di "riduzione" o di "ricostruzione interpretativa" che il critico fa dello spettacolo comporta sempre più una selezione dei punti di vista e una scelta di campo teorica, umana e sociale, che non è né preponderante né unica: solo plausibile e palusibilmente motivata".

Chiara Tognolotti


copertina

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