Patriottico, familiare, equino
Certamente è un’opera in cui manca qualcosa: un senso d’incompletezza si avverte, e non è un caso se il direttore che negli ultimi decenni ha offerto i contributi più significativo alla causa del Verdi quarantottesco – Riccardo Muti – si sia finora tenuto lontano dalla Battaglia. Forse, qui, quello che è uno dei proverbiali pregi verdiani (la sintesi incalzante, la capacità di sfrondare il superfluo per arrivare dritto al cuore dell’effetto teatrale) si è trasformato in limite: con almeno un’altra scena, il materiale drammatico si sarebbe sviluppato più compiutamente. D’altronde è proprio la drammaturgia del libretto di Salvadore Cammarano ad apparire bifasica, con un versante storico-politico e uno intimo-privato che non si fondono (e forse neppure intendono farlo), accompagnando di volta in volta lo spettatore ora nelle lotte della Lega Lombarda contro l’invasore Federico Barbarossa, ora nei meandri del triangolo amoroso dove affetto coniugale, amicizia virile e passione ineludibile si scontrano romanticissimamente. Qui dovrebbe entrare in gioco il regista: ma Valentina Carrasco, che qualche anno fa a Roma offrì una lettura esemplare di quel tardivo Verdi patriottico che sono I vespri siciliani, nella Battaglia di Legnano che ha concluso il Festival Verdi di Parma non trova spunti altrettanto ermeneutici.
In entrambi gli spettacoli, resta chiara la volontà della Carrasco di raccontare senza retorica la Storia e il dolore, la politica e i sentimenti. Ma mentre quei Vespri si traducevano in un racconto decontestualizzato e un’ambientazione mentale, questa Battaglia gioca più banalmente – anche sul fronte dei costumi di Silvia Aymonino – la carta diacronica (la guerra come orrore perenne), concentrandosi peraltro su un momento storico preciso che, tuttavia, non è né il dodicesimo secolo del Barbarossa né il ’48 verdiano. Siamo nella Prima Guerra Mondiale (conflitto, per inciso, con cui l’Italia tentò di risolvere molte delle questioni lasciate aperte dal Risorgimento a cominciare da quella dalmata, ma tale liaison metastorica non viene sviluppata dalla regia) e il sipario si alza sul filmato del primo piano di una pupilla umida su un muso bianco. È quella di un cavallo: animale, notoriamente, oltremodo impiegato sui fronti del ’15-’18. Ed è un’autentica mattanza equina quella cui assistiamo in questa messinscena: involontari collaboratori militari (ma gioverà ricordare che pure i muli vennero assai utilizzati nel traino di carri e cannoni), màrtiri inconsapevoli, i cavalli – sembra volerci dire la Carrasco – sono le vere vittime di guerra al pari dei bambini e delle donne. Anche perché storicamente (e dopo la Grande Guerra, con il progredire della tecnologia, non sarebbe più accaduto) sono i cavalli ad avere accompagnato l’uomo nelle sue imprese belliche, a partire dalle grandi battaglie equestri dell’antichità.
Ne scaturisce uno spettacolo pacifista, animalista, suggestivo nella dialettica tra immagini filmate (molte le riproduzioni di quadri a soggetto guerresco-equino) e finzione teatrale (i tanti cavalli di legno, o le loro teste mozzate, schierati sul palco), all’occasione perfino ironico e aggraziato (le chiome delle ancelle di Lida che fanno da pendant alle code dei quadrupedi): ma anche pretestuoso, fondamentalmente, e dal Konzept debole. Né vale scomodare, per le scene, un nome illustre come Margherita Palli quando di scenografia in senso stretto – con un allestimento siffatto – non è il caso di parlare, il palcoscenico restando quasi nudo, cantanti e cavalli esclusi. Poco approfondita nella gestualità degli interpreti, con scontate citazioni cinematografiche – La corazzata Potëmkin, Il padrino – e un momento francamente prosaico e spoetizzante (Arrigo imprigionato che, per raggiungere i compagni di battaglia, anziché gettarsi dalla finestra rompe la cancellata con un martello), la regia della Carrasco dà insomma l’idea di non credere fino in fondo a quest’opera: preferendo affidarsi ora alla trovata momentanea, ora all’ombrello della political correctness.
Per differenti motivi anche Diego Ceretta, direttore tra i più quotati dell’ultimissima generazione, non addiviene a una lettura del tutto convincente. Ceretta ha ventotto anni, dunque non gli si può richiedere quella profondità drammatica e quel senso storicistico – la capacità di storicizzare il melodramma che si affronta, di evidenziarne la cultura e il momento “politico” da cui deriva – che avevano consentito a Gui e Gavazzeni di (ri)sdoganare La battaglia di Legnano. Semmai, dimostra un certo scavo stilistico: è una concertazione, la sua, che sottolinea l’influenza dell’opera francese (Verdi in quel periodo viveva a Parigi), il tentativo di creare un grand-opéra – lo “storico” e il “privato”, appunto – in formato Bignami, certi sviluppi sinfonici e certe meticolosità (i temi spesso riproposti, ma sempre con qualche modifica melodica o armonica) che non erano ancora moneta corrente per il Verdi di quegli anni.
Gli mancano però sia la capacità di valorizzare adeguatamente la parola scenica (sebbene potesse contare su un terzetto protagonistico esemplare o per accento, nel caso di soprano e baritono, o per dizione, nel caso di baritono e tenore) sia quel senso di fusione ininterrotta di pezzi concatenati che per Verdi non era wagnerismo ante litteram, ma il modo di esprimere musicalmente la sovrapposizione dei diversi stati d’animo. Stando così le cose, cadono quasi completamente i due atti più “compattati” (il secondo e il quarto); non risulta troppo avvertibile, sempre nel secondo atto, l’innovazione verdiana di aver fatto del duetto tra Arrigo e Rolando una pagina dove i due personaggi non dialogano tra loro, ma si rivolgono agli astanti; e la natura esaltata, piuttosto che dimessa, di Lida – forse il più caleidoscopico ruolo femminile di Verdi prima della Trilogia – emerge grazie al fraseggio di Marina Rebeka, ma non all’accompagnamento del direttore, che si lascia sfuggire quanto di morbosamente cantilenante, quasi chopiniano, viene racchiuso in questo personaggio.
La battaglia di Legnano
Cast & credits
Titolo
La battaglia di Legnano |
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Sotto titolo
Opera in quattro atti |
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Anno
2024 |
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Data rappresentazione
20 ottobre 2024 |
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Città rappresentazione
Parma |
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Luogo rappresentazione
Teatro Regio di Parma |
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Evento
Festival Verdi 2024 |
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Titolo testo d'origine
La bataille de Toulouse di Joseph Méry |
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Libretto
Salvatore Cammarano |
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Regia
Valentina Carrasco |
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Interpreti
Riccardo Fassi (Federico Barbarossa) Marina Rebeka (Lida) Antonio Poli (Arrigo) Vladimir Stoyanov (Rolando) Alessio Verna (Marcovaldo) Emil Abdullaiev* (Il podestā di Como / I Console di Milano) Bo Yang (II Console) Arlene Miatto Albeldas* (Imelda) Anzor Pilia* (Uno Scudiero di Arrigo / Un Araldo) * Allievi e giā allievi dell'Accademia Verdiana |
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Produzione
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma in coproduzione con Teatro Comunale di Bologna |
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Scenografia
Margherita Palli |
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Costumi
Silvia Aymonino |
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Luci
Marco Filibeck |
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Musiche
Giuseppe Verdi |
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Orchestra
Orchestra del Teatro comunale di Bologna |
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Direzione d'orchestra
Diego Ceretta |
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Coro
Coro del Teatro comunale di Bologna |
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Maestro del coro
Gea Garatti Ansini |
Trama
A Milano, nel 1176. Arrigo e Rolando, guerrieri della Lega Lombarda, si ritrovano per difendere la cittā dal Barbarossa. Lida, un tempo amante di Arrigo, da lei creduto morto, e ora moglie di Rolando, teme Marcovaldo, un prigioniero germanico che tenta di insidiarla. La gioia e la commozione della donna nel rivedere insieme al marito l?amante di un tempo si mutano presto in dolore quando Arrigo, sordo a ogni spiegazione, la accusa segretamente di averlo tradito.
Atto secondo. BarbarossaRolando e Arrigo, ambasciatori della Lega a Como, tentano inutilmente di convincere i cittadini a unirsi a loro. Alle sprezzanti minacce del Barbarossa, i due non replicano: solo la guerra farā valere le ragioni dei contendenti.
Atto terzo. L'infamiaMarcovaldo intercetta una lettera di Lida ad Arrigo (nella quale ella gli chiede, in nome dell?antico amore, di non unirsi ai Cavalieri della Morte e di vivere per affetto verso la madre) e la consegna a Rolando, che accusa la moglie e l?amico di tradimento. Quando Rolando si allontana chiudendo a chiave la porta, Arrigo, per non patire l?infamia della diserzione, č costretto a fuggire saltando dalla finestra per potersi unire ai soldati.
Atto quarto. Morire per la patria!La battaglia č vinta e Barbarossa stesso č caduto per mano di Arrigo. Mentre il popolo esulta, giunge Arrigo morente scortato da Rolando e dai cavalieri. In punto di morte, l?uomo proclama l?innocenza di Lida e chiede all?amico di un tempo di riavere la sua stima; di fronte alla sinceritā di Arrigo e alle preghiere della moglie, Rolando, commosso, porge la destra all?amico, che spira baciando il Carroccio.