Die to Reborn
La calda giornata del 28 agosto al Lido di Venezia, inaugurata con Maria di Pablo Larraín, ha visto come secondo film in Concorso El Jockey (Kill The Jockey) di Luis Ortega.
Classe 1980, ex enfant prodige che a soli diciannove anni esordisce alla regia con Caja Negra (1999) guadagnandosi un posto d'onore tra i cineasti argentini, per poi tornare agli occhi del pubblico internazionale con El ángel (2018) in competizione a Cannes nella sezione Un certain Regard, Ortega partecipa quest'anno per la prima volta all'81ª Mostra del cinema di Venezia. Nella crew del film spicca in primis il direttore della fotografia Timo Salminen, storico fedelissimo collaboratore dell'inconfondibile universo creato insieme al regista finlandese Aki Kaurismäki. Non passa certo inosservato il taglio deciso e netto di Salminen che fin dalle prime inquadrature buca lo schermo con i suoi sgargianti colori attutiti da una patina sabbiosa, in cui facce di uomini duri e piegati dalla vita campeggiano (sempre) al centro del campo.
El Jockey è una complessa opera pluristratificata che sembra avvilupparsi invece che risolversi con il procedere del racconto. Quest'ultimo, il racconto, è godibilmente esile: un giovanissimo e formidabile fantino di Buenos Aires, Remo Manfredini (Nahuel Pérez Biscayart), è già sull'orlo della fine della sua celebre carriera per via della dipendenza da ogni tipo di sostanza stupefacente (a partire dalla chetamina usata per i cavalli). I continui insuccessi spingono il direttore della sua scuderia, Sirena (Daniel Gimenez Cacho), uno strano padrino filantropo e allo stesso tempo spietato, a dargli un'ultima possibilità per riscattarsi: Mishima, il formidabile cavallo giapponese pagato a peso d'oro, arriverà per essere cavalcato da Manfredini verso la vittoria. È l'ultima chance anche per riguadagnarsi l'amore della sua compagna in dolce attesa (Ursula Corberó), la quale però come clausola alza la posta: per tornare ad amarlo dovrebbe morire per nascere nuovamente.
Nonostante la decisiva corsa, Manfredini non riesce a rimanere sobrio e al suo risveglio in ospedale le condizioni “non sono compatibili con la vita”, come annuncia la dottoressa che informa la fidanzata. Incredibilmente Remo si risveglia dal coma e inizia un erratico viaggio per le strade di Buenos Aires, in una mise a dir poco improbabile (il turbante per comprimere le lesioni cerebrali finisce per assomigliare a un copricapo degno di una regina dell'antico Egitto, in perfetto contrasto con la pelliccia da donna e una borsetta da passeggio). L'abito sembra fare il monaco e Remo adotta atteggiamenti sempre più femminili, compiacendosi del suo volto colorato dagli ombretti trovati in borsa e rinunciando a un'occasione di cambio d'abito con indumenti maschili.
Accanto al vagabondare di Remo, a tratti dal sapore di nouvelle vague (Manfredini si ferma addirittura a davanti a una vetrina di cappelli, come la Cléo di Varda), si innesca la gangster story da strapazzo, dopo che Sirena, nello stesso (quasi) ufficio de Il padrino – Parte I, ordina ai suoi scagnozzi di riportargli Remo, vivo o morto. Il celebre fantino adesso però è quasi impossibile da trovare, si perde nelle strade della metropoli sudamericana, popolate dai “veri” fantasmi di quella città: barboni, malati, poveri e orfani abbandonati a sé stessi, in balìa del mare dell'invisibilità (lo stesso di Caja Negra). Remo osserva questo mondo con un nuovo sguardo (letteralmente, dopo il coma le sue pupille sono anisocoriche, hanno due dimensioni diverse), ci passa accanto, si avvicina, si lascia aiutare: solo con loro è al sicuro. Sfuggito alle grinfie dei suoi persecutori, scopre una nuova parte di sé e nasce, davvero, a nuova vita.
El Jockey è un'inaspettata sorpresa di questo festival: un'opera matura di Luis Ortega che saggiamente si lascia ispirare dalle rigide inquadrature di Salminen, esaltate dal soggetto originale (tratto dal mistico romanzo The Star Rover di Jack London, 1915) cui sono applicate e da un fortuito incontro con un clochard. Impreziosito da un convincente gusto surrealista (folgorante è a questo proposito il primo piano del volto paffuto di un neonato su cui cammina una formica che finisce in una narice, a cui si accodano le inquadrature sulle varie deformazioni del corpo umano) che va di pari passo con un grottesco straniante di stampo polanskiano. Con Polanski e la sua Venere in pelliccia (2013) dialoga anche la trasformazione di Manfredini, che avviene sotto i nostri occhi ma senza accorgercene. E ancora quella sensazione di impending doom da Inquilino del terzo piano (1976) a cui strizza l'occhio con il copricapo egiziano, per poi virare bruscamente per bucare (ancora) lo schermo con personaggi colorati e istrionici degni del primo Almodóvar.
Infine, Biscayart si rivela l'interprete perfetto, riuscendo a cambiare forma come un liquido con il contenitore, un vero Zelig con volto picassiano, la fisicità minuta e magnetica dell'Al Pacino di Scarface e dotato della magrezza delle figure di Schiele, che ben si adatta a quel tocco di realismo magico in cui il finale del film sconfina.
Con El Jockey si esce dalla sala perplessi ed eccitati dalla consapevolezza di aver assistito alla nascita di qualcosa (e qualcuno) di nuovo.
El Jockey
Cast & credits
Titolo
El Jockey |
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Origine
Argentina, Messico, Spagna, Danimarca, Usa |
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Durata
97’ |
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Data rappresentazione
29 agosto 2024 |
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Città rappresentazione
Venezia |
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Prima rappresentazione
29 agosto 2024 |
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Colore | |
Interpreti
Nahuel Pérez Biscayart Úrsula Corberó Daniel Giménez Cacho Mariana Di Girolamo Daniel Fanego Osmar Núñez Luis Ziembrowski |
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Produzione
Rei Pictures, El Despacho, Infinity Hill, Exile, Warner Music Entertainment |
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Costumi
Beatriz Di Benedetto |
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Sceneggiatura
Luis Ortega, Rodolfo Palacios, Fabián Casas |
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Montaggio
Rosario Suárez, Yibrán Asuad |
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Fotografia
Timo Salminen |
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Suono
Guido Berenblum, Javier Umpiérrez, Claus Lynge |
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Musiche
Sune Rose Wagner |
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Lingue disponibili
Spagnolo |
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Note
Effetti visivi: Esben Syberg, Lega Pugliese |