Rarità e sorprese al Rossini Opera Festival di Pesaro 2024

di Paolo Gallarati

Data di pubblicazione su web 23/08/2024

Rarità e sorprese al Rossini Opera Festival di Pesaro 2024

Creato nel 1980 per riscoprire la produzione dimenticata di Rossini, il festival di Pesaro, città proclamata quest'anno capitale della cultura italiana, ripresenta periodicamente opere difficili da vedere in altri teatri come, quest'anno, Bianca e Falliero (1819), Ermione (1819) e l'Equivoco stravagante (1812). Le prime due, composte in quello straordinario 1819 che vide pure la nascita della Donna del lago e di Edoardo e Cristina, mostrano con quale audacia sperimentale Rossini, maestro dell'opera buffa, sapesse affrontare e risolvere l'espressione del tragico con soluzioni nuove e audacemente anticipatrici. 

Bianca e Falliero, meravigliosamente diretta nell'Auditorium Scavolini da Roberto Abbado con l'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, attinge nel primo atto al tipico formulario dello stile serio rossiniano. Solo il duetto dei protagonisti esprime in modo commosso e originale il dramma degli affetti. Ma nel finale centrale c'è una svolta. La vicenda si fa severa, le situazioni tragiche: una tinta fosca si distende sulla musica, un empito febbrile agita il coro. Così, nel secondo atto, il belcanto acrobatico diventa inquietudine, scossa, delirio, lasciando ai momenti di stupore, lenti e assorti, una sorprendente funzione di contrasto. È una sorta di espressionismo belcantistico, in cui l'arte del gorgheggio si trasforma in un saettante sfogo di passionalità. Naturalmente, tutto va tenuto su di un piano di rigoroso controllo formale, senza esagerazioni veristiche: il soprano Jessica Pratt, una Bianca dalla voce bella e pura, il tenore Dmitry Korchak, incisivo e spavaldo Contareno e il mezzosoprano Aya Wakizono, dotata di tecnica sopraffina seppure con voce poco corposa nella parte di Falliero, conoscono questa regola e la rispettano, rendendo l'ascolto sempre gradevole.


Jessica Pratt in Bianca e Falliero
© Amati Bacciardi

Sotto la guida del regista Jean-Louis Grinda hanno recitato molto bene, ma è incredibile come un uomo di teatro che si preoccupi scrupolosamente dei cantanti-attori, sia nei momenti dinamici, sia in quelli statici del melodramma, abbandoni poi scene e costumi alla pura casualità: anonime e dimesse le prime, bruttissimi i secondi, in una confusa mescolanza di antico impersonale e moderno prosaico, senza nessuna attenzione al fisico degli attori, neppure a quello impegnativo di Jessica Pratt. 

Verificato l'empito drammatico del secondo atto di Bianca e Falliero, è stato bello ritrovarlo, potenziato, in Ermione, «azione tragica in due atti» (si noti la definizione) di Leone Tottola, incentrata sui furori, le escandescenze, i tormenti, la pervicacia, le malinconie e la rabbia della protagonista, innamorata rifiutata e vendicativa. Rossini affonda le mani in questo materiale, lo plasma con una libertà di forme e un'originalità di invenzione musicale che dovettero sconcertare il pubblico del tempo, causando la caduta dell'opera.


Aya Wakizono in Bianca e Falliero
© Amati Bacciardi

Ermione è un lavoro d'“avanguardia”, asciutto, severo, ossessivamente incentrato sui tormenti della protagonista, sempre impegnata in invettive rese con una vocalità furente che Rossini, come si sa, voleva sempre controllata da un ideale di bellezza sonora. Musica e dramma richiedono concentrazione sul fuoco centrale: il contrario di quanto ha fatto il regista Johannes Erath, trasformando la rappresentazione in un carnevale di invenzioni a ruota libera, basate su alcuni stereotipi cui i registi attingono ormai automaticamente, senza troppa attenzione a ciò che mettono in scena. Uno è l'uso dei simboli: qui c'è un ragazzo con in mano una lunga freccia luminosa che si aggira fastidiosamente tra i personaggi simboleggiando, probabilmente, Cupido. Un altro è riempire la scena di qualsiasi oggetto o persona atto a movimentarla: lunghe tavole con tovaglie bianche, su cui individui non meglio identificati saltano, si contorcono, si accasciano, dormono ecc. Lo spettatore li guarda, cerca di capire chi sono, cosa fanno, che cosa c'entrano, e la sua attenzione oscilla continuamente tra i cantanti e lo sfondo. La comunicazione tra palcoscenico e pubblico risulta così indebolita. 

Un terzo stereotipo è l'uso delle comparse: una quantità di gente circonda i personaggi, ma non quelli cui essi si rivolgono nel dialogo, che sono sovente assai lontani tra loro e costretti a cantare rivolti al pubblico. Le invenzioni figurative, infatti, sono continue e non così significative da aggiungere qualcosa alla vicenda, se non in senso decorativo. Un ultimo stereotipo, più invadente di tutti, è quello di far muovere i personaggi al ritmo della musica come se fosse un balletto, al punto di coreografare, con gesti più o meno insulsi, persino gli interventi strumentali dei recitativi. Ridicolo, tanto più che tutto si svolge sotto la tutela delle frecce luminose di Cupido che gironzola sul palcoscenico e moltiplica sullo sfondo la sua silhouette. In tutto questo roteare di immagini ci si chiedeva: dov'è la severità tragica di Ermione, dove l'originalità dell'opera rispetto al resto della produzione seria di Rossini? E la sua compattezza narrativa? Sparite.


Victoria Yarovaya in Ermione
© Amati Bacciardi

L'esecuzione musicale di questa strana partitura ha goduto delle cure scrupolose del direttore Michele Mariotti che, come sempre, ha diretto l'Orchestra della Rai in modo magistrale. Anastasia Bartoli (Ermione) ha un gran temperamento drammatico e una voce che sfora molto negli acuti e richiede ancora attenzione per irrobustire il registro medio-basso; il tenore Enea Scala (Pirro), eccessivamente esagitato nel canto e approssimativo nelle colorature, ha lasciato all'intramontabile Juan Diego Florez (Oreste) il compito di tenere alto l'onore dello stile rossiniano ossia quel controllo della forma e della tecnica sull'espressione imposto dall'estetica del bel-canto. Buona anche l'Andromaca di Victoria Yarovaya.


Pietro Adaíni, Patricia Calvache, Matteo Macchioni in L'equivoco stravagante
© Amati Bacciardi

Tra le due opere serie, il ROF ha offerto nel Teatro Rossini quel prodigio di arguzia e di precocità che è l'Equivoco stravagante, composto da Rossini ventenne con un'ebbrezza comica che l'esecuzione diretta da Michele Spotti con la Filarmonica Gioachino Rossini e uno strepitoso Nicola Alaimo (Gamberotto), accanto a Maria Barakova (Ernestina) e Carles Pachon (Buralicchio), hanno reso sovente irresistibile. La regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier puntava sul comico-grottesco, con un profluvio di buffonerie, a cominciare dai nasi finti, applicati al volto di tutti. Alcune trovate registiche erano forse esagerate, ma lo spettacolo vantava un pregio divenuto oggi una vera rarità: faceva capire chiaramente al pubblico che cosa succede nell'azione dell'opera.



Cast & Credits




Una scena dello spettacolo visto al Rossini Opera Festival 2024
© Amati Bacciardi