Bellezze diverse

di Paolo Patrizi

Data di pubblicazione su web 03/06/2024

Tosca

«Recondita armonia di bellezze diverse» canta Mario Cavaradossi, contemplando il ritratto della Marchesa Attavanti con la sua chioma bionda e i suoi occhi azzurri, ma – simultaneamente – ripensando agli occhi e ai capelli neri dell'amata Floria Tosca. E del tutto diverse, a costo di un'armonia talmente recondita da apparire disarmonica, sono le bellezze che veicola il Cavaradossi portato in scena a Monaco da Kornél Mundruczó rispetto a quelle di cui si fa portatore il personaggio pucciniano: qui, appunto, l'eterna suggestione di chi crea una figura dipinta, là un cineasta che restituisce (o trasfigura) la realtà attraverso l'immagine filmata.

 

Puccini di solito racconta ambienti precisi, come scenario geografico, ma fondamentalmente pretestuosi e tesi a trasportarci in un “altrove”: il Far West riletto con occhi europei della Fanciulla, la Parigi operettizzata e “viennesizzata” della Rondine, la Cina buona per tutte le latitudini di Turandot. L'unica vistosa eccezione è proprio Tosca: d'inequivocabile precisione topografica romana (primo atto in Sant'Andrea della Valle, secondo a Palazzo Farnese, terzo a Castel Sant'Angelo) e altrettanto esplicita nell'epoca di ambientazione: si parla – come fatto recentissimo – della vittoria di Napoleone a Marengo, dunque la manciata di ore in cui si consuma la vicenda reca la data del 14 giugno 1800, o al massimo d'un paio di giorni dopo.

 

Naturalmente a teatro ogni tipo di finzione e rilettura è, in punto di diritto, consentita. Una delle Tosche non solo più originali, ma più calzanti, fu quella realizzata da Jonathan Miller a Firenze, che trasportava la vicenda nella Roma del 1943 occupata dalle forze tedesche. Anche la discrasia tra quanto evocato dal libretto («la spenta Repubblica Romana», la regina Maria Carolina, appunto Napoleone…) e ciò che si vede in scena non costituisce in sé un problema, ma rientra nei taciti codici della civiltà dello spettacolo. Resta solo da verificare, di volta in volta, l'appropriatezza dell'operazione. Mundruczó catapulta Tosca nei nostri anni di piombo, 1975 per la precisione: l'anno delle riprese di Salò o le 120 giornate di Sodoma e dell'uccisione di Pasolini. Cavaradossi è appunto un'evocazione pasoliniana: non a tutto tondo, ovviamente (difficile pensare che il tenore Charles Castronovo qui incarni, oltre a un regista, pure un poeta, un drammaturgo e un intellettuale), ma quanto basta per farci capire che si tratta di un film-maker sul set di quella che si annuncia la sua opera più “estrema”. Sebbene – con gustoso gioco metaoperistico – quando il ciak viene battuto non si legge il titolo Salò, ma Don Giovanni.



Un momento dello spettacolo
© W. Hoesl


Nel frattempo la Storia incombe. E Storia – nell'Italia di allora – significa Democrazia Cristiana e strategia della tensione, terrorismo e Brigate Rosse. Sicché il patriota Angelotti, rocambolescamente fuggito da Castel Sant'Angelo, diventa appunto un brigatista evaso dal carcere che si rifugia sul set dell'amico Cavaradossi/Pasolini; e Scarpia, naturalmente, è la quintessenza del più turpe funzionario democristiano, con il formidabile – attorialmente non meno che vocalmente – Ludovic Tézier in occhiali spessi e completo scuro che sembra uscire non tanto dal cinema politico-poetico pasoliniano, quanto da quello ideologico-grottesco di Elio Petri e Gian Maria Volonté. Quanto a Tosca, è l'unico personaggio cui Mundruczó conserva lo status previsto da Puccini: una cantante lirica. Dunque, la donna con cui la vita artistica di Pasolini forse più intensamente s'intrecciò: Maria Callas. Ed Eleonora Buratto fa la sua entrata in scena – foulard in testa, occhialoni scuri – quasi clonando la Callas nei suoi anni del jet-set con Onassis.

 

L'allestimento, nella sua disadorna e talvolta antiestetica modernità, è in realtà sontuoso: per la nuova produzione pucciniana nell'anno del centenario la Bayerische Staatsoper ha fatto le cose in grande. Ne scaturisce uno spettacolo con varie incongruità e probabilmente “sbagliato”, ma senza cali di tensione e con momenti di ottimo teatro. L'anello meno persuasivo del Konzept è proprio il transfert tra Cavaradossi e Pasolini, che – da intellettuale di sinistra autenticamente libero – non fu mai un simpatizzante delle Brigate Rosse. Tuttavia, si fa veicolo dei due squarci più poetici d'una regia che altrove invece occhieggia molto allo stridulo e allo splatter: quel magico preludio strumental-vocale, con la voce bianca del pastorello fuori scena, che è l'alba romana su cui si apre il terzo atto (e converrà ricordare che le scenografie di Monika Pormale evitano di rievocare qualsiasi luogo della capitale) viene illustrato proiettando sequenze mute del maggiore tra i lasciti “romani” di Pasolini, l'Anna Magnani di Mamma Roma; mentre il brano più iconico dell'opera – E lucevan le stelle, dove Cavaradossi canta il suo addio alla vita – viene contrappuntato dalla proiezione di ulteriori estratti filmici pasoliniani, come se qui il personaggio, prima di morire, volesse riesplorare il proprio percorso cinematografico. Ed è l'occasione di altri primi piani femminili campeggianti a tutto schermo: ancora la Magnani (e la Callas di Medea, naturalmente), ma pure la Silvana Mangano di Teorema.



Un momento dello spettacolo
© W. Hoesl


Se questi passaggi trasognati rimandano al Mundruczó uomo di cinema, quelli più disturbanti riportano al Mundruczó uomo di teatro: il Te Deum risolto in un brutale pestaggio, dove le comparse seminude di quel film sovversivo e comunista che si sta girando vengono manganellate senza pietà dalla polizia; la tortura di Cavaradossi “a vista” anziché dietro le quinte (la scena, con gran coup de théâtre, diventa improvvisamente a due piani: in alto il bon ton del salottino di Scarpia, sotto la stanza dei supplizi); mentre il suicidio di Tosca dagli spalti di Castel Sant'Angelo – che qui ovviamente non si vede – si traduce in un enorme schizzo di sangue che invade il palcoscenico. Pure l'uccisione di Scarpia assurge a una visualità insospettabile: assassinato il mostro, con la sottoveste ancora imbrattata, Tosca avanza al proscenio replicata da altre donne svestite e insanguinate come lei. Una teoria di femmine stuprate, che, come la protagonista, rivendicano il loro diritto all'assassinio. E, in tanto zigzagare di sollecitazioni visive, resta spazio pure per qualche flash satirico: come quelle massaggiatrici con il loro lettino portatile al cospetto di Scarpia (ovvio riferimento alla propensione dei potenti ad affidarsi al sesso mercenario), che puniscono l'improvvido Spoletta stendendolo sul letto e infliggendogli un massaggio che più doloroso non si può. 



Un momento dello spettacolo
© W. Hoesl


Curatissima la recitazione di ogni ruolo, a cominciare appunto da Spoletta: braccio armato dei politici, ma confinato nella categoria di peones, proprio su un suo moto di rabbia – per la polizia il suicidio di Tosca è una sconfitta più dell'uccisione di Scarpia – si chiude lo spettacolo: e concentrare l'ultima immagine su un comprimario è ulteriore conferma che ci troviamo davanti a una regia di cui si potrà dire tutto, fuorché sia banale. Tansel Akzeybek ne fa un cammeo memorabile (peccato che, dal podio, Andrea Battistoni non valorizzi adeguatamente il suo racconto del secondo atto), ma pure lo Sciarrone di Christian Rieger e il carceriere di Pawel Horodyski sono due personaggini ben modellati. Milan Siljanov è un sonoro Angelotti, mentre Martin Snell fa del sagrestano non la solita macchietta, bensì un autentico deuteragonista. Si tratti di una trovata del regista o un suggerimento del cantante stesso, replica – nell'acconciatura e nella mimica – l'incarnazione di Italo Tajo, forse il più grande interprete del sagrestano nel secolo scorso; e questo strizzare l'occhio all'antico è una piacevole sorpresa, in una messinscena così programmaticamente antitradizionale.

 

Resta il terzetto protagonistico. Il meno a fuoco è proprio Cavaradossi, perché quella di Castronovo è vocalità estroversa ma fragile, e i volumi spesso eccedenti tenuti dalla direzione di Battistoni lo spingono a forzare trascurando sfumature e “pianissimi”. La Buratto non convince appieno nelle taglienti asperità vocali dello scontro con Scarpia, mentre è del tutto a suo agio nelle frasi lunghe e legate del primo atto e di Vissi d'arte: dunque successo garantito, giustamente. Tra i due grandi filoni in cui, per lunga tradizione, si è sostanziata la storia interpretativa di Scarpia (da un lato quello più declamatorio e scavato nella parola, dall'altro quello più rotondo e “cantato”), Tézier s'inserisce nel primo gruppo: in tale prospettiva nessuno oggi riesce a eguagliarlo, e può dirsi a tutti gli effetti l'erede di Tito Gobbi. Quanto a Battistoni, non solo eccede in sonorità, ma si compiace di un'agogica fin troppo “a strappi”. Tuttavia – si sa – l'orchestra della Bayerische Staatsoper brilla di luce propria.


Tosca

Cast & Credits

Trama



Un momento dello spettacolo messo
in scena al Bayerische Staatsoper di Monaco
© W. Hoesl


Cast & credits

Titolo 
Tosca
Sotto titolo 
Melodramma in tre atti
Data rappresentazione 
26 maggio 2024
Città rappresentazione 
Monaco
Luogo rappresentazione 
Bayerische Staatsoper
Prima rappresentazione 
20 maggio 2024
Libretto 
Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Regia 
Kornél Mundruczó
Interpreti 
Eleonora Buratto (Floria Tosca)
Charles Castronovo (Mario Cavaradossi)
Ludovic Tézier (Il barone Scarpia)
Milan Siljanov (Cesare Angelotti)
Martin Snell (Il sagrestano)
Tansel Akzeybek (Spoletta)
Christian Rieger (Sciarrone)
Pawel Horodyski (Il carceriere)
Solista dei Tölzer Knabenchors (La voce di un pastorello)
Scenografia 
Monika Pormale
Costumi 
Monika Pormale
Luci 
Felice Ross
Musiche 
Giacomo Puccini
Orchestra 
Orchestra della Bayerische Staatsoper
Direzione d'orchestra 
Andrea Battistoni
Coro 
Coro e piccoli cantori della Bayerische Staatsoper
Maestro del coro 
Christoph Hell
Note 
Video: Rūdolfs Baltiņš; Drammaturgia: Kata Wėber e Malte Krasting;

Trama

ATTO I

Angelotti, già console della Repubblica e per questo prigioniero politico, riesce a evadere da Castel Sant'Angelo e trova rifugio nella Chiesa di Sant'Andrea Della Valle. Sua sorella, la Marchesa Attavanti, gli ha lasciato la chiave della cappella di famiglia, ove egli trova nascondiglio.

Arriva il sagrestano per ripulire i pennelli del pittore Mario Cavaradossi, impegnato nella realizzazione di un affresco raffigurante la Madonna. Il pittore entra poco dopo per rimettersi al lavoro. Quando toglie il telo dal suo affresco, il sagrestano ha un sobbalzo: nell'effige della Madonna riconosce un volto già visto. Cavaradossi confessa di essersi ispirato ad una devota della chiesa, non sapendo che si tratta proprio della Marchesa Attavanti.
Continua a dipingere il quadro guardando, di tanto in tanto, una foto della sua amata Floria Tosca. 

Pur se inquieto, il sagrestano fa per uscire, quando nota che il paniere con il pranzo di Cavaradossi è ancora intatto; pensa ad un digiuno di penitenza, ma il pittore lo rassicura dicendo di non aver appetito.
Angelotti, pensando di esser rimasto solo, esce dal nascondiglio. Incontra però Cavaradossi, suo vecchio amico e anch'egli simpatizzante per Napoleone Bonaparte. I due vengono interotti bruscamente dall'arrivo di Tosca; Angelotti è costretto a nascondersi frettolosamente, non prima di aver preso il paniere di Cavaradossi.

Floria Tosca, cantante e amante di Cavaradossi è per sua indole molto gelosa. Ha sentito il suo amato parlare con qualcuno e teme la presenza di un'altra donna. Dopo essere stata rassicurata dal Cavaradossi di essere l'unica donna da lui amata, lo invita a passare la serata insieme nella villa del pittore. Prima di uscire però, riconosce nello sguardo della Madonna gli occhi della Marchesa Attavanti; di nuovo viene presa da un'impeto di gelosia, e di nuovo Cavaradossi le proclama il suo unico e incondizionato amore.

Allontanatasi Tosca, Angelotti può uscire di nuovo dal suo nascondiglio. Racconta che la sorella ha nascosto nella cappella per lui delle vesti femminili; aspetterà il tramonto per fuggire dalla caccia del barone Scarpia. Cavaradossi consiglia all'amico di recarsi subito alla sua villa e - in caso di pericolo - nascondersi nel pozzo. Un colpo di cannone sparato da Castel Sant'Angelo annuncia che la fuga di Angelotti è stata scoperta. Questi è dunque costretto alla fuga.

Entra il sagrestano circondato da una folla di chierici e confratelli, tutti festosi per la notizia dell'imminente (e presunta) sconfitta di Napoleone da parte degli austriaci.
Li interrompe bruscamente Scarpia, accompagnato da Spoletta, giunto nella chiesa per ricercar il fuggitivo. Trova il paniere vuoto e un ventaglio femminile con lo stemma Attavanti. Riconoscendo alfine il volto della Marchesa nell'effige della madonna, capisce che il piano di fuga di Angelotti è stato ordito con la complicità di Cavaradossi.

Tosca torna in chiesa per annunciare al suo amato un cambio di programma: dovrà presenziare ad un concerto a Palazzo Farnese quella sera stessa, quindi non potrà recarsi alla sua villa. Il barone Scarpia utilizza il ventaglio per instillare il dubbio nella mente di Tosca. Ella riconosce lo stemma sul ventaglio e crede che Cavaradossi abbia una relazione con la Marchesa; corre quindi alla villa del pittore per poter cogliere i due sul fatto.
Scarpia la fa seguire da Spoletta e da alcuni poliziotti. Il suo scopo è duplice: avere per sè Floria Tosca e catturare Angelotti.

ATTO II

Interno di Palazzo Farnese, camera di Scarpia al piano superiore; dalla finestra provengono le note del concerto e - di lì a poco -  la voce inconfondibile di Tosca. Il capo della polizia è in compagnia del gendarme Sciarrone.
Spoletta entra trascinando con sè Cavaradossi. Nella villa infatti vi era solo quest'ultimo, nessuna traccia del fuggitivo Angelotti. Scarpia cerca di fargli confessare l'ubicazione del suo amico, senza però riuscirvi.

Tosca entra nella stanza; vedendo Cavaradossi gli fa un cenno per fargli intendere d'aver capito tutta la situazione. Lui la implora di non dire nulla.
Cavaradossi viene portato nella camera di tortura mentre Scarpia, rimasto solo con Tosca, cerca di farle rivelare il nascondiglio di Angelotti. Per convincerla a parlare le fa sentire le urla di dolore di Cavaradossi, provenienti dalla stanza attigua.
Solo allora Tosca capisce cosa sta succedendo al suo amato. Cerca di resistere, sopportando le urla strazianti del pittore, finchè non cede: urla a Scarpia che Angelotti è nascosto nel pozzo del giardino.
Cavaradossi, sanguinante e fisicamente provato, viene condotto da Tosca, mentre Spoletta va a catturare Angelotti.

Irrompe nella stanza Sciarrone con una notizia preoccupante dal fronte: quella che sembrava essere una sconfitta pesante per Napoleone, in realtà si è trasformata in una vittoria decisiva. L'esercito austriaco è stato sconfitto a Marengo.
Cavaradossi ritrova le forze e urla alla vittoria, facendosi beffe di Scarpia. Quest'ultimo non tollera l'affronto del rivale e lo condanna a morte.

Rimasto di nuovo solo con Tosca, Scarpia le dice che potrebbe esserci un modo per salvare Cavaradossi: ella dovrà concedersi a lui.
Tosca rifiuta sdegnata la proposta, ma il barone alfine la convince, complice anche l'imminenza dell'esecuzione capitale.
Spoletta ritorna con la notizia della morte di Angelotti: il fuggiasco, pur di non farsi catturare, si è tolto la vita.
Sugellato il patto con Tosca, il barone finge di accordarsi con Spoletta per una finta fucilazione di Cavaradossi: in questo modo il pittore avrebbe salva la vita e il barone manterrebbe il suo rruolo di capo della polizia.
Tosca, non capendo l'inganno del barone, chiede inoltre un salvacondotto per poter fuggire da Roma con il suo amato. Scarpia le consegna il documento e chiede a Tosca di rispettare il patto; in tutta risposta lei prende un coltello dalla tavola imbandita e lo pugnala, uccidendolo. 

ATTO III

Dalla sua cella di reclusione, Mario Cavaradossi chiede al suo carceriere di poter scrivere un'ultima lettera alla sua amata Tosca.
Mentre si strugge per trovare le parole adatte, Tosca fa il suo ingresso nella cella accompagnata da Spoletta (il quale ancora non è a conoscenza della morte di Scarpia). Quando i due amanti restano soli, Tosca confessa il suo crimine e mostra a Cavaradossi il salvacondotto firmato da Scarpia prima di morire.
Tutto ciò che dovrà fare Cavaradossi è cadere quando i soldati spareranno con i loro fucili caricati a salve. Tosca infatti non immagina che la messa in scena della finta fucilazione sia in realtà un inganno perpetrato da Scarpia per approfittare di lei.

Cavaradossi viene portato sul ponte di Castel Sant'Angelo per essere fucilato; quando i soldati sparano lui cade a terra.
Tosca attende che i soldati se ne siano andati, prima di accorrere verso il suo amato e aiutarlo a rialzarsi; solo allora capisce che, quella che avrebbe dovuto essere una simulazione, in realtà è stata una vera fucilazione.

Dalle stanze di Castel Sant'Angelo si odono le urla di Spoletta e dei soldati che hanno trovato il corpo di Scarpia.
Si recano in fretta sul ponte per arrestare Tosca. Lei sale sul parapetto del ponte e si getta nel vuoto, non prima di aver lanciato un'ultima maledizione a Scarpia.