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Una rondine non fa primavera

di Vincenzo Borghetti
  La rondine
Data di pubblicazione su web 30/04/2024  

La Scala ha deciso di dare il suo primo contributo al centenario della morte di Giacomo Puccini (1858-1924) portando in scena una delle sue opere meno fortunate, e in assoluto quella più assente nella storia del teatro milanese. La rondine ha avuto una genesi complicata: la commissione del Carltheater di Vienna (1913) chiedeva all’autore un’operetta; Puccini è attratto dall’idea di qualcosa di “leggero” (un Rosenkavalier più coerente, scrive in una lettera), ma non si piega ai dialoghi parlati. Poi ci si mette la Grande Guerra, e il progetto iniziale cambia forma, teatro, città – la “prima” sarà a Monte Carlo nel marzo 1917. Cambia il pubblico, che ormai, in mezzo al disastro, di quella “leggerezza” sofisticata di fine-secolo non vuole più molto saperne. Poi ci si mettono le eterne insicurezze dell’autore che, come spesso suo solito, scrive, riscrive, ripensa, taglia, restaura, cambia di nuovo, e alla fine di questa Rondine restano tre versioni ufficiali tra loro molto diverse. Tutte splendide dal punto di vista musicale quanto irrisolte da quello drammatico (il primo atto per esempio rivela poco dell’antefatto e non mette davvero in moto una macchina narrativa). Il pubblico si appassiona solo a qualche singolo pezzo (il famoso “Sogno di Doretta”, l’aria iniziata prima dal tenore ma poi tutta del soprano); i teatri più o meno la ignorano presto tutti, ricordandosene solo di tanto in tanto. Con questa produzione La Rondine torna infatti alla Scala per la terza volta (le precedenti nel 1940 e nel 1994), come non si è verificato per nessuna delle altre opere di Puccini, da Manon Lescaut in poi.


Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano

In realtà non si tratta di un ritorno vero e proprio: la Scala porta per la prima volta in scena La Rondine in una “quarta” versione, quella ricostruita dal musicologo Ditlev Rindom sulla base del materiale autografo di Puccini – ritenuto a lungo perduto – e che presenta numerose stratificazioni e novità rispetto a quanto in genere si ascolta: diversa è la storia (soprattutto come si arriva alla separazione dei due amanti), diversa è in molti punti l’orchestrazione, c’è musica in più (il “Sogno di Doretta” ha una strofa aggiuntiva per il tenore), ce n’è in meno (la parte del baritono appare ridimensionata). Insomma, un’autentica “primizia”, una di quelle che giustificano la sua presentazione per le celebrazioni di un centenario.

Poi però arrivano i problemi che alla Scala quest’anno sono sinonimo di “regie”. La stagione 2023/24 ha finora visto una serie di fallimenti, iniziati con l’insipido Don Carlo di Lluís Pasqual inaugurale, proseguiti con l’insulso Simon Boccanegra di Daniele Abbado e il disastroso Guillaume Tell di Chiara Muti. Le eccezioni, clamorose sia per qualità proprie sia per il grigiore circostante, sono state Médée di Damiano Michieletto, Il ratto dal serraglio di Giorgio Strehler, Cavalleria/Pagliacci di Mario Martone: di queste solo Médée è una nuova produzione, mentre le altre sono collaudatissimi classici antichi (il Ratto di Strehler è del 1965) e moderni (il dittico di Martone del 2011); davvero troppo poco per un teatro come La Scala.


Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano

La Rondine di Irina Brook (regia) non raggiunge i vertici negativi del Boccanegra o del Tell, certo però non si distingue come uno spettacolo davvero riuscito. La differenza rispetto ai due allestimenti che l’hanno preceduta sta tutta nell’eleganza visiva d’impianto. I costumi e le scene (entrambi di Patrick Kinmonth), le luci (Marco Filibeck) funzionano molto bene nell’ambientare la vicenda, con alcune trovate davvero felici (i ballerini in salopettes da fumetto o le ballerine-fanciulle “fiore” nel primo atto, le nuotatrici nel terzo). Manca tuttavia un lavoro sul testo e sulla vicenda. La regia di Brook si esaurisce tutta nell’idea di base: fare di Magda da ricca mantenuta una soubrette di varietà, spostando l’azione nel dietro le quinte di un teatro. Poi però la storia prosegue, si sviluppa, si complica, e la scelta del metateatro diventa solo un intralcio che Brook non mostra di risolvere: se tutto è una recita non si capisce come e perché alla fine Magda sia costretta a rinunciare per davvero all’amore di Ruggero. Da nessuna parte si coglie il lato oscuro della vicenda, la crudeltà delle convenzioni sociali che regolano un’esistenza dorata come quella dei protagonisti, impedendo loro ogni speranza di felicità. Il Rosenkavalier coerente che Puccini in effetti crea con la sua Rondine perde nello spettacolo di Brook tutta l’amarezza, che si nasconde dietro la patina da operetta e che nonostante le vicissitudini e trasformazioni l’opera conserva, e che la musica raffinata e “leggera” di Puccini mette allo scoperto in modo particolarmente doloroso.


Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano

Ancora una volta la parte musicale è tutt’altra cosa rispetto a quella visiva. A partire dalla direzione di Riccardo Chailly che con questa Rondine ritrova la sua forma migliore. Chailly pone l’orchestra in primo piano, ma non per sovrastare la scena, ma come elemento narrativo al pari dei personaggi sulla scena. Ed è un’orchestra che brilla per sfumature, per colori cangianti, capace di generare tensioni mai esagerate, in una concertazione tutta giocata su trasparenze, su dinamiche lievi che si alternano a brevi deflagrazioni. Il tutto con un piglio “leggero”, che però sa lasciare spazio a squarci di lirismo lenti e pacati, come nello struggente finale.


Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano

Superba Mariangela Sicilia nel ruolo di Magda: la sua è una voce non ampia, ma generosa di armonici e sicura nei registri, piegata a restituire tutta la complessità del personaggio, grazie alla capacità dell’interprete di rendere in modo perfetto la malinconia tra le pieghe del suo canto. Matteo Lippi rende con delicatezza il personaggio di Ruggero mettendo al suo servizio una tecnica solida (voce timbrata e fraseggio elegante): il suo ruolo di provinciale buono è forse il più difficile dell’intera opera, e la regia rinunciataria di Brook certo non lo ha sostenuto nella caratterizzazione. Giovanni Sala canta con la stessa disinvoltura con cui recita e si disimpegna bene nel ruolo brillante di Prunier, che gli chiede ampi passaggi di registro dal grave all’acuto. Bene Rosalia Cid (Lisette), soubrette spigliata nella recitazione, dalla voce forse troppo piccola per una sala come quella della Scala. Un lusso Pietro Spagnoli nei panni Rambaldo, che in questa versione ha una parte ridotta rispetto alle altre: è sempre un piacere sentire un baritono attento alla linea anche nel canto di conversazione delle opere pucciniane. Molto bene il resto del cast – nella Rondine i personaggi secondari sono particolarmente numerosi – e, ovviamente, il coro, come sempre preparato splendidamente da Alberto Malazzi.


La rondine
Commedia lirica in tre atti


cast cast & credits
 
trama trama



Un momento dello spettacolo messo
in scena al Teatro alla Scala di Milano
© Brescia e Amisano


 
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