La Scala ha deciso di dare il suo primo contributo al
centenario della morte di Giacomo Puccini (1858-1924) portando in scena una
delle sue opere meno fortunate, e in assoluto quella più assente nella storia
del teatro milanese. La rondine ha avuto una genesi complicata: la
commissione del Carltheater di Vienna (1913) chiedeva allautore unoperetta;
Puccini è attratto dallidea di qualcosa di “leggero” (un Rosenkavalier
più coerente, scrive in una lettera), ma non si piega ai dialoghi parlati. Poi
ci si mette la Grande Guerra, e il progetto iniziale cambia forma, teatro,
città – la “prima” sarà a Monte Carlo nel marzo 1917. Cambia il pubblico, che
ormai, in mezzo al disastro, di quella “leggerezza” sofisticata di fine-secolo non vuole più molto saperne. Poi ci si
mettono le eterne insicurezze dellautore che, come spesso suo solito, scrive,
riscrive, ripensa, taglia, restaura, cambia di nuovo, e alla fine di questa Rondine
restano tre versioni ufficiali tra loro molto diverse. Tutte splendide dal
punto di vista musicale quanto irrisolte da quello drammatico (il primo atto
per esempio rivela poco dellantefatto e non mette davvero in moto una macchina
narrativa). Il pubblico si appassiona solo a qualche singolo pezzo (il famoso
“Sogno di Doretta”, laria iniziata prima dal tenore ma poi tutta del soprano);
i teatri più o meno la ignorano presto tutti, ricordandosene solo di tanto in
tanto. Con questa produzione La Rondine torna infatti alla Scala per la
terza volta (le precedenti nel 1940 e nel 1994), come non si è verificato per
nessuna delle altre opere di Puccini, da Manon Lescaut in poi.
Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano
In realtà non si tratta di un ritorno vero e proprio: la
Scala porta per la prima volta in scena La Rondine in una “quarta”
versione, quella ricostruita dal musicologo Ditlev Rindom sulla base del
materiale autografo di Puccini – ritenuto a lungo perduto – e che presenta
numerose stratificazioni e novità rispetto a quanto in genere si ascolta:
diversa è la storia (soprattutto come si arriva alla separazione dei due
amanti), diversa è in molti punti lorchestrazione, cè musica in più (il
“Sogno di Doretta” ha una strofa aggiuntiva per il tenore), ce nè in meno (la
parte del baritono appare ridimensionata). Insomma, unautentica “primizia”,
una di quelle che giustificano la sua presentazione per le celebrazioni di un
centenario.
Poi però arrivano i problemi che alla Scala questanno
sono sinonimo di “regie”. La stagione 2023/24 ha finora visto una serie di
fallimenti, iniziati con linsipido Don Carlo di Lluís Pasqual
inaugurale, proseguiti con linsulso Simon Boccanegra di Daniele Abbado
e il disastroso Guillaume Tell di Chiara Muti. Le eccezioni, clamorose
sia per qualità proprie sia per il grigiore circostante, sono state Médée
di Damiano Michieletto, Il ratto dal serraglio di Giorgio
Strehler, Cavalleria/Pagliacci di Mario Martone: di queste solo Médée
è una nuova produzione, mentre le altre sono collaudatissimi classici antichi
(il Ratto di Strehler è del 1965) e moderni (il dittico di Martone del
2011); davvero troppo poco per un teatro come La
Scala. Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano
La Rondine di Irina Brook
(regia) non raggiunge i vertici negativi del Boccanegra o del Tell,
certo però non si distingue come uno spettacolo davvero riuscito. La differenza
rispetto ai due allestimenti che lhanno preceduta sta tutta nelleleganza
visiva dimpianto. I costumi e le scene (entrambi di Patrick Kinmonth), le luci
(Marco Filibeck) funzionano molto bene nellambientare la vicenda, con alcune
trovate davvero felici (i ballerini in salopettes da fumetto o le
ballerine-fanciulle “fiore” nel primo atto, le nuotatrici nel terzo). Manca
tuttavia un lavoro sul testo e sulla vicenda. La regia di Brook si esaurisce
tutta nellidea di base: fare di Magda da ricca mantenuta una soubrette
di varietà, spostando lazione nel dietro le quinte di un teatro. Poi però la
storia prosegue, si sviluppa, si complica, e la scelta del metateatro diventa
solo un intralcio che Brook non mostra di risolvere: se tutto è una recita non
si capisce come e perché alla fine Magda sia costretta a rinunciare per davvero
allamore di Ruggero. Da nessuna parte si coglie il lato oscuro della vicenda,
la crudeltà delle convenzioni sociali che regolano unesistenza dorata come
quella dei protagonisti, impedendo loro ogni speranza di felicità. Il Rosenkavalier
coerente che Puccini in effetti crea con la sua Rondine perde nello
spettacolo di Brook tutta lamarezza, che si
nasconde dietro la patina da operetta e che nonostante le vicissitudini e
trasformazioni lopera conserva, e che la musica raffinata e “leggera” di
Puccini mette allo scoperto in modo particolarmente doloroso.
Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano
Ancora una volta la parte musicale è tuttaltra cosa
rispetto a quella visiva. A partire dalla direzione di Riccardo Chailly che con
questa Rondine ritrova la sua forma migliore. Chailly pone lorchestra
in primo piano, ma non per sovrastare la scena, ma come elemento narrativo al
pari dei personaggi sulla scena. Ed è unorchestra che brilla per sfumature,
per colori cangianti, capace di generare tensioni mai esagerate, in una
concertazione tutta giocata su trasparenze, su dinamiche lievi che si alternano
a brevi deflagrazioni. Il tutto con un piglio “leggero”, che però sa lasciare
spazio a squarci di lirismo lenti e pacati, come nello struggente finale. Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano
Superba Mariangela Sicilia nel
ruolo di Magda: la sua è una voce non ampia, ma generosa di armonici e sicura
nei registri, piegata a restituire tutta la complessità del personaggio, grazie
alla capacità dellinterprete di rendere in modo perfetto la malinconia tra le
pieghe del suo canto. Matteo Lippi rende con delicatezza il personaggio di
Ruggero mettendo al suo servizio una tecnica solida (voce timbrata e fraseggio
elegante): il suo ruolo di provinciale buono è forse il più difficile
dellintera opera, e la regia rinunciataria di Brook certo non lo ha sostenuto
nella caratterizzazione. Giovanni Sala canta con la stessa disinvoltura con cui
recita e si disimpegna bene nel ruolo brillante di Prunier, che gli chiede ampi
passaggi di registro dal grave allacuto. Bene Rosalia Cid (Lisette), soubrette
spigliata nella recitazione, dalla voce forse troppo piccola per una sala come
quella della Scala. Un lusso Pietro Spagnoli nei panni Rambaldo, che in questa
versione ha una parte ridotta rispetto alle altre: è sempre un piacere sentire
un baritono attento alla linea anche nel canto di conversazione delle opere
pucciniane. Molto bene il resto del cast – nella Rondine i personaggi
secondari sono particolarmente numerosi – e, ovviamente, il coro, come sempre
preparato splendidamente da Alberto Malazzi.
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