Un grido di pace?

di Vincenzo Borghetti

Data di pubblicazione su web 15/02/2024

Simon Boccanegra

La politica costituisce spesso uno dei temi centrali nelle opere di Giuseppe Verdi. Proprio queste opere non stanno vivendo un periodo felice alla Scala. Sia il Don Carlo inaugurale, sia Simon Boccanegra, l'ultima nuova produzione, portano in scena storie che invitano a interrogarsi sul potere, sulla sua conquista e il suo mantenimento, sul difficile rapporto tra ambizione personale e bene comune, tra ragion di Stato e felicità individuale, tra potere laico e religioso, tra Realpolitik e il bisogno di tutelare gli affetti privati. In entrambi i casi gli spettacoli hanno preferito evitare di farsi domande su questi argomenti. 

Il Don Carlo di Lluís Pasqual si nascondeva dietro un allestimento fastoso e inerte; il Simon Boccanegra di Daniele Abbado (regia) fa lo stesso con scelte visive di tipo opposto. Qui gli spazi sono vuoti, le pareti squadrate e grigie (scene dello stesso Abbado e di Angelo Linzalata), la collocazione cronologica incerta: si vedono sullo sfondo gli alberi di velieri; alcuni dei protagonisti indossano costumi astrattamente medievali, altri ottocenteschi; il popolo veste abiti come nei quadri “socialisti” di Pellizza da Volpedo (costumi di Nanà Cecchi).


Una scena dello spettacolo
© Brescia e Amisano 

Senza un lavoro significativo sulla recitazione e sui movimenti delle masse, non bastano un paio di riferimenti al Quarto stato per costruire una riflessione sulle malvagità del mondo, o per rappresentare in modo convincente il destino tragico di un leader politico, dei suoi avversari, di un padre, di una figlia, di un paese lacerato da conflitti. Il tutto è così statico e i pochi movimenti talmente casuali che l'azione sulla scena diventa irrilevante rispetto alla vicenda rappresentata, e si assiste di fatto (di nuovo) a un concerto in costume. Ed è ironico (oltre che francamente triste) che a essere così anestetizzati nei loro contenuti più scomodi siano proprio Simon Boccanegra e Don Carlo, due delle opere-chiave degli anni più chiaramente politici della Scala all'epoca della direzione di Claudio Abbado, in due spettacoli leggendari rispettivamente di Giorgio Strehler (Simon Boccanegra, 1971) e Luca Ronconi (Don Carlo, 1977), e che ciò si verifichi in un momento storico come quello presente – e proprio nei giorni in cui anche al Festival di Sanremo di certi argomenti (almeno) si parla. 

Sul versante musicale le cose sono per fortuna diverse. Lorenzo Viotti (direttore) è alla sua prima prova verdiana alla Scala. All'inizio la sua è la direzione di chi vuole mostrare di aver studiato bene la partitura: tempi comodi e attenzione a ogni dettaglio. Poi si rilassa, e la lettura ne guadagna in ampiezza di respiro e potenza espressiva. Viotti fa suonare l'orchestra di Verdi come quella di un poema sinfonico tardo-romantico, rivelando così tutta l'arte del Verdi orchestratore, seguito a meraviglia dai complessi della Scala – che peccato quelle sbavature delle trombe della banda sul palco!


Una scena dello spettacolo
© Brescia e Amisano 

La direzione di Viotti ha avuto effetti notevoli sulla prova di Luca Salsi, che si rivela uno splendido Boccanegra, capace di tornire con insolita finezza le frasi cantabili e di scolpire le parti declamate (che piacevole sorpresa, e che differenza rispetto al marchese di Posa dell'inaugurazione!). Eleonora Buratto ha una voce sontuosa e tutta la nobiltà di accento che il personaggio di Amelia/Maria richiede. È in genere un'interprete appassionata e si resta col desiderio di sapere quale sarebbe stata la sua resa con una regia definibile come tale. 

Roberto De Candia è perfetto come Paolo Albiani. Charles Castronovo (Gabriele Adorno) inizia in sordina, ma la sua è una prova in crescendo che letteralmente sboccia nell'aria e nel duetto con Amelia/Maria del secondo atto. L'elemento debole della compagnia è il basso Ain Anger. La sua voce dal timbro ruvido è sì potente, ma manca il legato che il ruolo di Jacopo Fiesco pure richiede (alla prima ci sono state contestazioni). Come sempre alla Scala molto bene tutti i comprimari. Ottimo il Coro, preparato da Alberto Malazzi.


Simon Boccanegra

Cast & Credits

Trama



Un momento dello spettacolo
visto l'11 febbraio 2024
al Teatro alla Scala di Milano
© Brescia e Amisano


Cast & credits

Titolo 
Simon Boccanegra
Sotto titolo 
Melodramma in un prologo e tre atti
Durata 
2 ore e 54 min. incluso intervallo
Data rappresentazione 
11 febbraio 2024
Città rappresentazione 
Milano
Luogo rappresentazione 
Teatro alla Scala
Prima rappresentazione 
1° febbraio 2024
Libretto 
Francesco Maria Piave e Arrigo Boito
Regia 
Daniele Abbado
Interpreti 
Luca Salsi (Simon Boccanegra)
Ain Anger (Jacopo Fiesco)
Roberto De Candia (Paolo Albiani)
Andrea Pellegrini (Pietro)
Eleonora Buratto (Amelia (Maria))
Charles Castronovo (Gabriele Adorno)
Haiyang Guo (Capitano dei Balestrieri)
Laura Lolita Peresivana (Ancella di Amelia)
Produzione 
Nuova produzione Teatro alla Scala
Scenografia 
Daniele Abbado e Angelo Linzalata
Costumi 
Nanà Cecchi
Movimenti scenici 
Simona Bucci
Luci 
Alessandro Carletti
Musiche 
Giuseppe Verdi
Orchestra 
Orchestra del Teatro alla Scala
Direzione d'orchestra 
Lorenzo Viotti
Coro 
Coro del Teatro alla Scala
Maestro del coro 
Alberto Malazzi

Trama

Prologo

Genova, XIV secolo. Grazie alle manovre di Pietro e Paolo, il plebeo Simon Boccanegra, già corsaro, viene eletto doge. Maria, da cui ha avuto una figlia, è tenuta rinchiusa dal padre Jacopo Fiesco, ostile al loro amore. La bambina, affidata a una nutrice, scompare e Maria muore.
 
Atto I

Sono passati venticinque anni. Jacopo ha allevato Amelia, salvata da un orfanotrofio. La giovane è amata da Gabriele Adorno, ma Simone vorrebbe darla in sposa al fido Paolo. Grazie a un medaglione con l’effigie di Maria custodito da Amelia, il doge riconosce nella fanciulla la figlia perduta. Gabriele viene arrestato con l’accusa di aver ucciso un pretendente della giovane che cercava di rapirla e, sospettando che il mandante sia Paolo, il doge lo esorta a maledire il vero colpevole.
 
Atto II

Convinto da Paolo dell’esistenza di un legame impuro tra Simone e Amelia, Gabriele tenta di uccidere il doge, il quale, salvatosi, gli svela di essere il padre della fanciulla e acconsente alla loro unione. Paolo, intanto, ha segretamente versato nella tazza di Simone un veleno dall’effetto lento e mortale.
 
Atto III

Contro il doge si scatena la rivolta dei guelfi genovesi, ma Gabriele riesce a pacificare gli animi. Paolo è condotto al patibolo. Simone, ormai morente, benedice le nozze di Amelia con Gabriele e spira dopo aver proclamato il giovane nuovo doge di Genova.