Sala affollatissima al Teatro
della Pergola per lultimo lavoro di Gabriele
Lavia che, dopo Il berretto a sonagli
di Pirandello, ha scelto di ridar
vita a un testo goldoniano semidimenticato. Rappresentato per la prima volta
l11 ottobre 1760 nel veneziano Teatro di San Luca, Un curioso accidente ha in effetti avuto rare riprese recenti, nonostante
la buona fortuna scenica ottocentesca protrattasi fino al primo decennio del secolo
scorso.
Già prima dellinizio dello
spettacolo, il lavoro di Lavia mostra però di volersi tenere lontano da
unoperazione di innocua spolverata: mentre il pubblico prende posto in sala,
il sipario è già sollevato; una decina di spettatori prende posto direttamente sul
palcoscenico, su due piccole file di poltroncine rosse sistemate di sbieco sul
lato sinistro, identiche a quelle della platea. Tutto lascia pensare che,
qualunque sia la creatura che prenderà vita in scena, non vorrà restarvi assorta
nella sua rappresentazione ma sarà pronta a traboccare platealmente e anche un
po a vantarsene, come sembra borbottare fra le pesanti pieghe il grande drappo
rosso sullo sfondo che pittorescamente pende obliquo dallalto, invade come un
torrente la scena e si riversa al di là della ribalta. Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini
Il resto della scenografia,
realizzata da Alessandro Camera, si
accorda a questa impronta di straniamento: due pianoforti verticali a sinistra,
uno specchio da camerino circondato da lampadine (non tutte funzionanti, come
sottolinea lo stesso Lavia al pubblico) e una piccola toilette a destra,
unaltalena al centro, una corona di faretti moderni che osservano dallalto. Unatmosfera
lievemente allucinata e in rovina, come sottolinea lo stesso regista nellintervista
di Angela Consagra contenuta nel
programma di sala: «La scenografia sopravvive ma è tutta rotta, come se il
teatro che noi vogliamo fare fosse ferito e crollato».
Lo spettacolo inizia confermando
tutti i sospetti sul suo carattere particolare: la troupe irrompe al completo
totalmente vestita di nero e cantando; Lavia apre le danze e da esperto
imbonitore dà carne umana alla prefazione (Lautore
a chi legge) scritta dallo stesso Goldoni.
Lavviso al lettore stampato prende in scena il sapore di un prologo che, aggirando
il rischio di diventare una lezione un po supponente, dà qualche breve
informazione sul Caffè della Sultana in piazza San Marco a Venezia – presso il
quale lautore sarebbe venuto a conoscenza del fatto poi trasformato in
commedia – e sul contesto storico generale (la guerra dei Sette anni). Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini
Lintreccio si annoda e si scioglie
con delicatezza e nel segno di una grandissima ironia, che brilla ovunque: nella
rappresentazione dello zelo paternalistico e ingenuo di Monsieur Filliberto
(Lavia); nelle occhiate severe e nei rimbrotti trattenuti a fatica da sua
figlia, Madamigella Giannina (Federica
Di Martino) indirizzati al suo segreto amante, il tenente francese Monsieur
de la Cotterie (Simone Toni); negli
spasmi damore di Madamigella Costanza (Beatrice
Ceccherini); nei modi burberi di suo padre, Monsieur Riccardo (Andrea Nicolini). Lavia sceglie di
colorare espressionisticamente, fin quasi a forzarlo, il comico goldoniano e lo
fa con una rete di moine mimiche che, condivisa da tutti gli attori, sembra sia
parodiare gli usi settecenteschi sia mettere morbidamente alla berlina lo
stesso testo: è una nuvola di virgolettato gestuale sospesa sulle teste degli
attori (danzato da polsi e mani che si avvitano o si allungano innaturalmente) che
avvolge e stropiccia continuamente le battute. In questa direzione si collocano
anche le movenze ora elettriche ora dinoccolate dello stralunatissimo Monsieur
de la Cotterie (e del bravissimo Simone Toni che lo interpreta e che spicca
subito, specialmente nel primo atto), le riverenze affettate oltre misura delle
due madamigelle rivali Giannina e Costanza, lo scatarrare insistente di
Monsieur Riccardo.
Il testo di Goldoni diventa per
Lavia il trampolino sul quale far saltare, a turno o tutti insieme, i suoi
attori e le sue attrici per farli restare perennemente a mezzaria, sospesi in
un tempo altro, di assoluta
leggerezza. Leggerezza nutrita dal sottofondo pianistico perpetuo e delicato (quello
delle musiche eseguite in scena dallo stesso Andrea Nicolini, personaggio e
contemporaneamente presenza extradiegetica) che punteggia lazione, prendendo
negli attimi più concitati il sopravvento e rovesciando a volte tutto quasi in slapstick comedy. Leggerezza che non
lascia indenni i costumi di Andrea
Viotti, pensati quasi per sineddoche: delle robe e roboni che di
settecentesco conservano solo le forme, larve versicolori. Leggerezza che
giustifica lunica manomissione vistosa alloriginale: linserimento fugace ma
deffetto di un Arlecchino, di cui dà una prova convincente Lorenzo Volpe. Leggerezza che trova la
sua incarnazione scenica più esplicita nel lasciarsi andare del ricco mercante
olandese Monsieur Filliberto al divertimento dellaltalena e che sembra fare
locchiolino a quella celebre dipinta da Fragonard
nel 1767. Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini
Applausi a scena aperta più che
meritati: Lavia gioca e ama far vedere quanto gioca e si diverte, facendo di Un curioso accidente uno spettacolo
dalla civetteria affettuosa senza essere arrogante nonché un grande omaggio al
teatro italiano e a uno dei suoi più celebri autori.
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