Die Zauberflöte come Bildungsroman

di Riccardo Cenci

Data di pubblicazione su web 23/01/2024

Die Zauberflöte

La pluralità semantica del mozartiano Zauberflöte, la cui tensione etica e trascendente origina dalla singolare mescolanza fra simbologie massoniche ed elementi farseschi, ne definisce il carattere di indubbio capolavoro; una creazione in cui densità di pensiero e naturalezza espositiva vivono in perfetto equilibrio. L'allestimento presentato al Teatro dell'Opera di Roma, pensato da Damiano Michieletto alcuni anni or sono per la Fenice di Venezia, non rende pienamente giustizia a tali caratteristiche. Se l'idea dell'aula scolastica, allegoria di un percorso di formazione e di crescita, non è peregrina, la sua realizzazione scenica mortifica le molteplici istanze del testo e della musica.


Un momento dello spettacolo
©Fabrizio Sansoni

Sin dall'ouverture una enorme lavagna domina lo spazio; molteplici proiezioni la animano, calcoli matematici e modelli da laboratorio anatomico, fino al serpente che minaccia la vita di Tamino. Le tre damigelle appaiono abbigliate come suore, a simboleggiare il becero dogmatismo religioso, al quale si contrappone la libertà di pensiero. Papageno abbandona le sue vesti piumate trasformandosi in un bidello con tanto di scopa, il che sciupa il mistero del personaggio. Il pannello scorrevole della lavagna mostra il mondo dell'oscurità, una camera da letto nella quale la Regina della Notte coltiva la propria isteria.

Tamino e Pamina appaiono come due scolaretti, mentre Monostatos è un bulletto seguito dalla sua piccola gang. I tre genietti guidano i protagonisti nella foresta simbolica come minatori nelle caverne, con il caschetto luminoso in testa. Gli incanti dello strumento magico si esplicano in una sorta di festa scolastica, con i palloncini e i mimi che indossano maschere dalle fattezze animalesche. Alla fine del primo atto l'aula si apre in un bosco nebbioso, ed è forse il momento di maggiore suggestione, popolato da un'umanità smarrita. Lo spettacolo, nel complesso, non è fra le migliori creazioni di Michieletto. Non si comprende, ad esempio, perché gli alberi scompaiano proprio quando Papageno, afflitto dalla solitudine, vorrebbe impiccarsi a un ramo.


Un momento dello spettacolo
©Fabrizio Sansoni

In generale l'aula scolastica è luogo fin troppo grigio e monotono per ospitare le molteplici implicazioni della fiaba. L'estrema semplificazione avvilisce le dinamiche fra terreno e ultraterreno, il contrato fra luce e tenebra, la “caleidoscopica varietà dei quadri scenici”, per citare Paumgartner. Ciò non toglie che l'allestimento sia costruito e realizzato con maestria, grazie all'apporto di Paolo Fantin (scene), di Carla Teti (costumi) e di Alessandro Carletti (luci). Apprezzabili anche i video curati da Rocafilm/Roland Horvath. La direzione di Michele Spotti è piuttosto squilibrata, rigida e povera di sfumature. Ne risentono la compiutezza dell'arco narrativo e la commozione di alcuni momenti sublimi, come l'aria di Pamina.


Un momento dello spettacolo
©Fabrizio Sansoni

Le cose vanno meglio dal punto di vista vocale. Su tutti il Sarastro profondo, ieratico e autorevole di John Relyea, che già avevamo avuto occasione di lodare nel recente Mefistofele, titolo che ha aperto la stagione. Gatell è un Tamino collaudato, sensibile nell'espressione e duttile nel fraseggio. Gli sta accanto la Pamina ben cantata di Emöke Baráth, anche se nell'aria “Ach, ich fühl's” avrebbe potuto attingere a esiti di più toccante malinconia. Scenicamente disinvolto e, come di consueto, musicalmente ineccepibile Markus Werba nei panni di Papageno. Efficace la Regina della Notte di Aleksandra Olczyk, anche se non impeccabile nelle colorature. Attorialmente vivace ma vocalmente inconsistente il Monostatos di Marcello Nardis, mentre Marian Suleiman si disimpegna egregiamente nella breve apparizione di Papagena. Buono infine l'oratore di Zachary Altman. Apprezzabile il resto del cast, ovvero le tre damigelle, i tre genietti e gli armigeri. Recita comunque salutata da applausi piuttosto convinti.

Die Zauberflöte

Cast & Credits

Trama



Un momento dello spettacolo messo
in scena al Teatro dell'Opera di Roma
©Fabrizio Sansoni

Cast & credits

Titolo 
Die Zauberflöte
Sotto titolo 
Singspiel in due atti
Durata 
2 ore e 50 minuti circa. Atto I 65'; intervallo 25'; Atto II 75'
Città rappresentazione 
Roma
Luogo rappresentazione 
Teatro dell'Opera
Prima rappresentazione 
Theater auf der Wieden, Vienna, 30 settembre 1791
Autori 
Wolfgang Amadeus Mozart
Libretto 
Emanuel Schikaneder
Regia 
Damiano Michieletto
Interpreti 
Juan Francisco Gatell / Cameron Becker 14, 17, 19 (Tamino)
Zachary Altman (L'oratore)
Markus Werba / Äneas Humm 14, 17, 19 (Papageno)
Emőke Baráth / Maria Laura Iacobellis 14, 17, 19 (Pamina)
Aleksandra Olczyk / Aigul Khismatullina 14, 17, 19, 21 (Regina della notte)
John Relyea / Simon Lim 14, 17, 19 (Sarastro)
Caterina Di Tonno / Mariam Suleiman 16, 17, 18, 19, 20, 21 (Papagena)
Marcello Nardis (Monostatos)
Arturo Espinosa (diplomato “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera) (Primo sacerdote / Secondo armigero)
Nicola Straniero (dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera) (Secondo sacerdote / Primo armigero)
Ania Jeruc (Prima dama)
Valentina Gargano (dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera) (Seconda dama)
Adriana Di Paola (Terza dama)
Scenografia 
Paolo Fantin
Costumi 
Carta Teti
Luci 
Alessandro Carletti
Orchestra 
Orchestra del Teatro dell'Opera
Direzione d'orchestra 
Michele Spotti
Coro 
Coro del teatro dell'Opera, con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell'Opera
Maestro del coro 
Ciro Visco
Note 
Video: Rocafilm/Roland Horvath. Allestimento Teatro La Fenice di Venezia, in coproduzione con Teatro del Maggio Musicale fiorentino.

Trama

Atto I

Il principe Tamino, vestito da cacciatore, è inseguito in un boschetto da un terribile serpente. Sopraffatto dall’emozione, cade svenuto. Da un tempio escono tre damigelle armate d’elmo e lancia, che subito uccidono il rettile mostruoso: prima di allontanarsi in fretta per avvertire Astrifiammante, la potente Regina della Notte, della missione compiuta, si soffermano a contemplare il bel volto del giovane. Ripresi i sensi e visto il serpente morto, Tamino crede di dover la sua salvezza a una curiosa creatura appena comparsa: è Papageno, un vagabondo tutto coperto di penne, che suona uno zufolo. Il suo compito è catturare uccelli e portarli alle tre damigelle, perché possano consegnarli alla loro sovrana. L’uccellatore lascia intendere di essere il salvatore, ma è subito punito per la bugia dalle tre damigelle ricomparse, che gli chiudono la bocca con un lucchetto d’oro.

Tamino riceve dalle dame il ritratto della figlia di Astrifiammante e rimane folgorato dalla bellezza della giovane. Quando apprende che la fanciulla, di nome Pamina, è stata rapita dal malvagio tiranno Sarastro, non ha esitazioni e si offre di salvarla. D’improvviso il bosco si squarcia, e dall’oscurità emerge la Regina della Notte, col suo manto punteggiato di stelle: ella promette a Tamino la mano della figlia, se riuscirà a liberarla. Per aiutarlo nell’impresa, le damigelle porgono al principe un flauto d’oro, dotato di poteri magici, poi liberano Papageno dal lucchetto, gli regalano dei magici campanelli e gli ingiungono di seguire Tamino fino al castello di Sarastro.

Pamina ha tentato di fuggire per sottrarsi alle insistenze del moro Monostato, capo delle guardie di Sarastro, ma è stata subito ripresa e ricondotta con la forza nel palazzo. Alla vista di Papageno coperto di piume, Monostato si spaventa e fugge; anche Papageno, che non aveva mai visto un uomo con la pelle scura, dapprima scappa, ma poi toma indietro e riconosciuta in Pamina la fanciulla del ritratto, le rivela che un principe l’ama e intende salvarla e la convince ad andare via con lui. Tra i due giovani nasce immediatamente un’amicizia.

Tamino percorre un sentiero, guidato da tre geni seduti su un piccolo vascello volante. Arriva così al tempio di Iside: due porte sono chiuse, quelle della Ragione e della Natura, mentre dalla terza, quella della Sapienza, si affaccia un sacerdote, l’Oratore, il quale pacatamente spiega a Tamino che Sarastro, per giusti motivi, è stato indotto a sottrarre Pamina all’influenza della madre.

Rassicurato che la sua amata è viva, Tamino si abbandona alla gioia e, per ringraziare gli Dei, suona, per la prima volta, il suo flauto: gli animali del bosco, affascinati dal bellissimo suono, lo circondano quieti. Anche Papageno che scorta Pamina, risponde al flauto col suo zufolo: i due si cercano a lungo nel bosco, ma non si trovano. Monostato e gli schiavi, riacciuffati i fuggitivi, rimangono come ipnotizzati dai campanelli magici e si allontanano. Di ritorno da una battuta di caccia, arriva Sarastro col suo corteo. Nulla fa pensare a lui come a un tiranno malvagio, la sua gente lo acclama. Pamina gli chiede perdono della fuga e ne spiega i motivi. Sarastro si dichiara pronto a concederla in sposa a un cavaliere degno di lei, ma ribadisce che non potrà mai lasciarla tornare dalla madre. All’improvviso ricompare Monostato con Tamino, che ha scoperto presso il tempio; i due giovani, che non si sono ancora mai visti, si riconoscono e si gettano l’uno tra le braccia dell’altro, mentre il capo delle guardie, che ha chiesto una ricompensa per il suo operato, viene invece frustato per aver tentato di concupire la prigioniera. Sarastro ordina che Tamino sia condotto al tempio e Papageno lo segue. Un grande destino attende i due innamorati.


Atto II

Sarastro spiega ai suoi sacerdoti quale fine l’ha spinto a rapire Pamina e a proteggere Tamino: l’unione tra i due giovani, se dimostreranno di essere degni della missione alla quale li hanno destinati gli Dei, potrà rendere vani i progetti della Regina della Notte per impossessarsi del suo regno e del suo tempio, riportando l’armonia fra il regno della Notte e il regno del Sole. Tutti approvano e pregano Iside e Osiride. Due sacerdoti accompagnano Tamino e Papageno verso le prove dell’iniziazione.

Tamino e Papageno incappucciati si preparano, saldo nel suo proposito il principe, colto da improvvisi terrori l’uccellatore, che vorrebbe ardentemente trovare una fidanzata, la sua Papagena. La prima prova che li aspetta è il silenzio. Rimasti soli, i due sono avvicinati dalle tre damigelle della Regina della Notte, che invano cercano di dissuaderli dall’impresa, raccontando di inganni compiuti da Sarastro e dai suoi. Ma Tamino non si cura di loro, e il viaggio prosegue.

Monostato si avvicina furtivamente a Pamina addormentata sotto un pergolato di fiori e rose e cerca di baciarla. Sopraggiunge Astrifiammante e la fanciulla, disperata perché crede di essere stata abbandonata da Tamino, si getta nelle sue braccia cercando consolazione. Astrifiammante racconta allora la sua storia. Un tempo il padre di Pamina regnava sul Sole e sulla Notte, nell’armonia dell’universo. Poco prima di morire consegnò il Cerchio settemplice del sole, che dà il dominio, agli Iniziati di Sarastro, il quale ora lo custodisce sul suo petto. Per tornare in possesso del segno magico, la Regina ha ordito un piano, destinato a sfumare ora che Tamino si è consacrato agli Iniziati. Mette dunque nelle mani della figlia un pugnale, intimandole di uccidere Sarastro, ma Monostato, che ha sentito tutto, minaccia di rivelare l’intrigo. Sopraggiunge Sarastro, che caccia il moro e rassicura la fanciulla timorosa di una vendetta nei confronti della madre: alla giovane spiega dolcemente che nel suo regno esistono solo l’amore e il perdono, presupposto di felicità.

Tamino e Papageno continuano la loro prova. Compare una vecchia orrenda che dichiara di essere Papagena, si mette a parlare con lo sbigottito uccellatore e gli dice di essere fidanzata con lui, per poi scomparire con grande fragore di tuoni. Arrivano i tre geni che dal cielo calano cibi e bevande per rifocillare i due iniziati. Ora Sarastro, nel cuore del tempio, riunisce Tamino e Pamina per un addio. Per Tamino è giunto il momento di superare la grande prova, camminare sul fuoco ed entrare nell’acqua che lo sovrasterà, senza arrestarsi mai.

Papageno si consola con un bicchiere di vino rosso. In sogno gli appare nuovamente la vecchia, che dopo averlo comandato con minacce di sposarla, si trasforma nella bella e giovane Papagena. Di fronte al tempio i tre geni scorgono Pamina, stravolta, con il pugnale in mano. Si avvicinano e le parlano di Tamino e del suo amore per lei. Tamino si accinge a superare le prove del fuoco e dell’acqua: sopraggiunge Pamina, che lo abbraccia e insieme a lui si abbandona alla gioia. Al suono del flauto magico, attraverseranno il fuoco e l’acqua. Il popolo di Sarastro accorre a festeggiare i prediletti dagli Dei. Disperato perché non trova la sua Papagena, Papageno è in procinto di uccidersi. Anche questa volta accorrono i geni e gli consigliano di far suonare i campanelli magici. Come per incanto arriva Papagena, i due si abbracciano e fanno progetti sul loro futuro.

La Regina della Notte, con Monostato traditore e le tre damigelle, cerca di avvicinarsi nascostamente al tempio per introdursi e uccidere Sarastro. Ma la terra, scossa da un terremoto, si apre per inghiottirli.

Sarastro in trono, circondato dai sacerdoti, con Tamino e Pamina celebra la vittoria del Sole sulle tenebre.