La Storia, il caso e una tragedia d’amore senza fine
Il progetto del Gruppo Il Mulino di Amleto, iniziato nel 2022, evolve in rappresentazione compiuta e complessa, affascinante e sconvolgente, irrompendo nell'attualità con la sua poesia aspra fino all'insostenibile. In quattro lingue si esprimono gli attori di diverse provenienze, nell'intento di condividere ed esprimere una vicenda personale e corale dalle origini lontane e dai sentimenti universali. Quasi un incubo, fra storia e profezia, che prenda corpo dalla densità delle stratificazioni culturali e ambientali in personaggi unici, veri e fors'anche emblematici fino all'allegoria. Dal nucleo germinale dell'incontro amoroso fra due giovani (una studentessa araba, un ragazzo israeliano), la storia svolge destini contrastanti e alla radice di duri conflitti personali e familiari. La cronologia, dal 1967 al 2013, comprende l'intermezzo del massacro libanese di Sabra e Chatila (1982).
La durata dello spettacolo è maturata nella lunga gestazione, quale «strumento per entrare in un respiro narrativo emotivamente fortissimo» (Nota di regia), comprensivo di passato, presente e futuro, per cui alcuni personaggi richiedono d'essere doppiati nel ruolo giovanile. Alla forza delle pulsioni e passioni, risponde in scena un ampio controllo dei moventi della ricerca interiore sulle cause e gli effetti determinanti l'azione. Una scrittura inaudita per tensioni a volte al limite, gridate e incontenibili, intime al testo dell'autore libanese, assimilato dalla cultura francese. Ora il rapporto conflittuale fra Israele e Paesi arabi è attraversato con rigore storico e invenzione linguistica insolita, con il dominio del senso ritmico della drammatizzazione. La regia implicita nel testo emerge meglio dalla strutturazione critica e funzionale della versione italiana, resa con sensibilità dalla traduttrice-dramaturg (Monica Capuani) e dal disegno interpretativo che suscita una recitazione partecipata fino all'introspezione e con una coscienza vigile del riverbero sul pubblico. Una prova esente dal verismo documentario di maniera di tante produzioni di “scottante attualità”. Da grande fatica e slancio, sincerità e disponibilità a offrirsi al pubblico, nasce uno scambio autentico, una tensione al limite che punta alla sostanza comunicativa senza virtuosismi.
Un momento dello spettacolo
Sulla scena spoglia, il mezzo principale della rappresentazione consiste nella mobilità di un muro massiccio che, fatto ruotare dagli attori, scandisce le date della storia e delle interrelazioni più intime e misteriose dei protagonisti. Persone che s'incrociano e s'influenzano, sbagliano e soffrono, cercando l'identità e la propria realizzazione. Lo stesso muro rinvia battute e commenti, concomitanti con gli eventi. Al formarsi della giovane coppia, la storia sbocca nell'attentato – su un ponte fra Israele e Giordania – in cui resta vittima Eitan, di passaggio a Gerusalemme con l'amata Wahida. Nel tempo del coma riaffluisce il corso delle vicende della sua famiglia accorsa al suo capezzale. S'aprono allora episodi in flash-back, i primi contatti degli innamorati lontani da casa e la visita degli Zimmerman al figlio che vive a New York. La riunione di famiglia per conoscere la fidanzata rivela la situazione turbata, complicata da segreti e omissioni. In disparte, Wahida è pietra d'inciampo, oggetto di giudizio dei parenti che si scambiano accuse e sentenze di cui l'araba è ritenuta causa e responsabile. Quando si ritrovano in corsia a vegliare il ragazzo, quasi si ripete l'incontro americano.
A
sussulti avanza la rivelazione necessaria e sospesa, con scene di dolore,
rifiuto, compassione (stretta di mano fra Eitan e suo padre David) o con
l'accoglienza della nonna Leah, benedicente la nascita del nipote. E ancora
l'apparizione del “filosofo” Al Wazzân, figura di riferimento per la tesi che
la studentessa prepara sulla sua opera. Vengono in luce verità fondamentali e
terribili, finora taciute. Il seguito vede l'abbandono di Eitan da parte di
Wahida che s'avvia a riappropriarsi delle sue origini contestate e aborrite, ma
irrinunciabili. La separazione avviene per necessità, immersa in belle immagini
che deviando dal desiderio e dalla logica, riaffermano violenza e crudeltà
inevitabili. Il mare in risacca ribolle sullo sfondo per l'abbraccio dell'addio
più struggente, per l'uomo equivalente alla morte. E suo padre muore davvero.
Dopo una riconciliazione che riassume la sua fedeltà all'Israele dei
patriarchi, David sul letto ch'era del figlio, sintetizza paternità e
figliolanza inconciliabili, riconoscendosi erede della stirpe eternamente
nemica. Al Wazzân conclude epicamente con un racconto di uccelli e di pesci che
si confondono in una metamorfosi magica. Utopia alla quale Eitan sopravvive, ma
incapace di sfruttarne la dimensione salvifica.
Un momento dello spettacolo
I ruoli maggiori trovano interpreti maturi e come realmente usurati dall'assillo del reale. Così Leah di Irene Ivaldi insiste in rifiuto e distacco, prima di aprirsi a riconoscenza verso l'estraneità di Wahida. Aleksandar Čvjetković è il nonno Etgar, incappato nella paternità adottiva generatrice dell'innesto mostruoso, scarto genealogico inaccettabile. È lui, militare, a salvare il neonato e a denunciarlo suo all'anagrafe. Così è più grave l'“errore” per David (Elio D'Alessandro) e per la moglie Norah (Rebecca Rossetti) quando ne subiscono l'incombenza. David ne muore, dopo aver sofferto due volte, per la verità conosciuta e per la caduta delle certezze illusorie. È forse il maggiore testimone del paradosso che l'esistenza impone a chi ha creduto nel sogno ebraico, fra la Promessa e il suo traguardo escatologico, nel crogiolo di contraddizione che è Gerusalemme. Said Esserairi, ieratico catalizzatore di suggestioni, dà all'antico saggio voce mistica e profetica, riallacciandosi a visioni fantasiose e poetiche. Raffaele Musella presta l'età giovane a Etgar e incarna altre comparse. Barbara Mazzi interpreta Leah da giovane e la Soldatessa che interroga Wahida.
Sonorizzazione e musicalità di stridente, scomodo impatto; incastri visivi cinematografici e didascalie brechtiane completano l'effetto coinvolgente. Dilatazione di certi silenzi, più urgenti e laceranti delle grida spontanee, ritmano la partitura vocale, in un'opera forte e bella, da sentirsi come un classico del futuro e che serva a riaffermare il teatro quale luogo dove orrori e irrazionalità della Storia possano essere rappresentati e discussi.
Un momento dello spettacolo
Cast & credits
Titolo
Come gli uccelli |
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Anno
2023 |
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Durata
3 ore 5 min, con intervallo |
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Data rappresentazione
9 gennaio 2024 |
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Città rappresentazione
Genova |
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Luogo rappresentazione
Teatro Modena |
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Prima rappresentazione
10 ottobre 2023 (Teatro Astra, Torino) |
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Titolo originale
Tous des oiseaux |
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Autori
Wajdi Mouawad |
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Adattamento
Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi |
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Traduzione
Monica Capuani |
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Regia
Marco Lorenzi |
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Interpreti
Federico Palumeri (Eitan) Lucrezia Forni (Wahida) Barbara Mazzi (Eden, Leah giovane) Irene Vivaldi (Leah) Rebecca Rossetti (Norah, Infermiera) Aleksandar Čvjetković (Etgar) Elio D'Alessandro (David, Cameriere) Said Esserairi (Al Wazzân, filosofo) Raffaele Musella (Etgar giovane, Rabbino, Medico) |
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Produzione
A.M.A. Factory, ERT- Emilia Romagna Teatro, Elsinor, Teatro Nazionale di Genova; collaborazione di TPE - Teatro Piemonte Europa |
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Scenografia
Gregorio Zorla |
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Costumi
Gregorio Zorla |
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Suono
Massimiliano Bressan |
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Luci
Umberto Camponeschi |
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Musiche
Elio D’Alessandro |
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Note
Esecuzioni al pianoforte: Gianluca Angelillo Video: Full of Beans – Palma & Forte |