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Un melodramma sul ring della vita

di Gianni Poli
  Édith
Data di pubblicazione su web 21/12/2023  

Il Prologo aduna in palcoscenico tutti gli interpreti, subito testimoni del ricordo che la protagonista fa della propria vita, povera e tormentata, alla segretaria Marie. Un’infanzia d’indigenza, con una madre cantante di strada, che può nutrirla a stento. Tuttavia, precaria e vagabonda, con volontà e talento inizia una carriera per cui sarà acclamata e famosa.

L’amore appena sbocciato fra lei e il pugile Marcel Cerdan s’evidenzia dal primo contatto affettuoso delle due figure e dai fiori che l’uomo le ha offerto. L’avvincente ouverture sfocia nel dialogo al femminile, confidenze sulla voglia e il bisogno di amore che Édith manifesta in un a solo da applausi. Poi il sipario si alza sullo stadio di boxe dove Cerdan combatte contro Zole. Tensione, violenza; forza e pazienza, per la conquista del titolo mondiale ambito.  

Nel libretto, Guido Morra staglia a rime serrate i caratteri e gli ideali dei personaggi, in una sceneggiatura al contempo attuale e tradizionale. Del resto, aveva collaborato con Maurizio Fabrizio per il musical su Cerdan, Il grande campione, interpretato da Massimo Ranieri nel 2001. Funzionalmente cantabile, non sempre d’omogeneità poetica, fra metafora e dettagli concreti volti al realismo cinematografico, a rappresentare un mondo a parte che unisca l’arte e lo sport. Mentre sferra i suoi ganci, Marcel canta il suo sogno di bambino. All’assalto vincente, l’aria di Édith echeggia in clima di bohème e luci da music-hall. Ora nell’amante sorge gelosia per la moglie di Marcel; tanto che viene a turbarla in sogno Marinette e il loro scambio rabbioso di insulti è duetto corrusco, affronto radicale. Viene a contrappasso la tenerezza appassionata della coppia, conciliata dall’intimità d’uno spazio sereno e luminoso. L’intreccio delle voci, di slancio e apoteosi, vola sugli archi, le trombe e i corni: «Vivrò per l’eternità / il bacio che ti darò».

 Un momento dello spettacolo ©Teatro Carlo Felice
Un momento dello spettacolo 
©Teatro Carlo Felice

In palestra capita Corbo, faccendiere mafioso a proporre a Cerdan la combine per la prossima sfida con Jack La Motta. Il rifiuto è secco e irremovibile, pure di fronte alle minacce e a una lauta mazzetta. Musica concitata e d’angoscia chiude la crisi. Una lite con l’impresario rincara il disagio della cantante quando elude il contratto per seguire Marcel a Detroit. Così è suggellato il patto di coppia, la vocazione dell’una si rispecchia in quella dell’altro. Le voci si confrontano all’unisono nella scena-madre d’epilogo dell’Atto: «L’arte e l’amore / sei tu / per me».

L’incontro con lo sfidante ribalterà la sorte del campione perché si prolungherà drammaticamente e gli sarà fatale l’infortunio a una spalla. Nel coro tumultuoso dei tifosi – partecipi faziosi all’esito della gara – il duello corrisponde a scambi di battute cantate fra i rivali. Nei movimenti dilatati, al rallentatore, s’intensifica la suspense, mentre, a crudeltà verso lo sconfitto, s’aggiunge l’esaltazione del vincente. Il ritmo di basso continuo sostiene i commenti del coro e gli scambi dei pugili, illustrati dal video del match storico e dalle immagini di Édith in concerto. L’epica sequenza tende al realismo cinematografico, con cadute, crollo, getto della spugna e trionfo di La Motta. È naturale il registro malinconico del perdente che non si rassegna. Torna patetico il concertato negli ottoni e nei violini. Seppur sconfitto, l’eroe promette ancora lotta: «Amerò, combatterò per sempre», nell’aria apprezzata per l’energia generosa e la tenuta vocale.  

 Un momento dello spettacolo ©Teatro Carlo Felice
Un momento dello spettacolo
©Teatro Carlo Felice

In camerino a New York, Édith brinda ai successi forieri di contratti lucrosi, quando giunge la notizia del disastro aereo e della morte del suo uomo. Panico e strazio sono brevi, fra tragedia e ragione di contratto a sala esaurita. Anche se Fischer la esenterebbe, canterà comunque, sfidando la morte con la vitalità e l’arte, sublimando il dolore nel canto: «Fatemi cantare / non mi dite no / è quello che so fare. […] La mia vita è qui / il teatro è il mio ring». Nuovi elementi visivi arricchiscono lo spettacolo, finché l’ultima aria si fa cadenza con citazione pucciniana, prima che l’eroina svenga d’emozione. Ligio l’autore allo scopo di «suscitare in chi guarda e ascolta profonda empatia per l’autentica e sofferta umanità dei personaggi e delle storie […] la dolorosa voce di Édith, su un ostinato ritmo di bolero lento, quasi funebre, si accomiata dal suo perduto amore» (Programma, p. 24). Alla prestazione smagliante del soprano, s’adeguano il tenore Francesco Pio Galasso (Marcel), i baritoni Claudio Sgura (La Motta), Blagoj Nacoski (Fischer), Giovanni Battista Parodi (Corbo), con le assortite voci comprimarie e le comparse recitanti.

È durata due anni la storia vera, due ore e mezzo l’evocazione musicale, per un’opera coerente e riuscita nell’intento: «La musica che ho composto è senza dubbio legata ai forti sentimenti, ad una storia che fonde Eros e Thanatos e che mi piace definire “sentimentale”, perché quasi di stampo verista» (Programma, p. 80), ammette l’autore. Donato Renzetti, alla guida d’un organico strumentale ridotto, mostra conoscenza intima del compositore e del suo lavoro e riesce a smussare qualche esuberanza e a equilibrare volumi e sfumature.  

Produttiva la collaborazione con l’Accademia (diretta da Guido Fiorato), ricca di disponibilità e di risorse, valorizzata dalla regia di Elisabetta Courir. La calorosa risposta del pubblico alla “prima” non esime dall’esporre le perplessità sorte dalle scelte formali ed estetiche del progetto creativo, orientato dalla convenzione più assodata. Un po’ delude l’occasione mancata di fornire una partitura davvero contemporanea e nuova. Non in omaggio a gusti e mode pregiudiziali (quali atonalità o dodecafonia), ma in dedizione audace e gratuita a un’arte inesauribile nel potere d’invenzione e di bellezza espressiva.   



Édith



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Un momento dello spettacolo
©Teatro Carlo Felice


 
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