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Femminismo in commedia: una favola

di Gianni Poli
  Turandot
Data di pubblicazione su web 14/12/2023  

Gli attori si autopresentano nel loro personaggio, a volte plurimo, per rappresentare la “favola” di Carlo Gozzi, Turandot. Quando andò in scena la prima volta nel 1762, era in corso la tenzone fra l’autore fedele alla Commedia dell’Arte e il suo rivale, l’altro Carlo, riformista e cattivante un nuovo pubblico, più moderno e progressista. L’occasione odierna sarebbe propizia per vedere in azione una compagnia all’antica – formazione rara ormai sulle scene italiane – in un testo dalla teatralità godibile e a suo tempo esemplare. Il drammaturgo si ispirò a una novella in francese, traduzione di François Pétis de la Croix da una raccolta spacciata per “persiana” (Les Mille & un Jour, 1710), analoga a Le Mille e una notte. Dirò dopo dell’occasione mancata. 

Al Teatro Duse, la nitida, raffinata scena è chiusa fra due pareti ad angolo, una cortina leggera e luminosa, a sinistra e a destra, un fondale lucente con pannelli-porta. Le sedie sono l’arredo principale degli spazi deputati, il Serraglio e il Divano. Le luci calde di Aldo Mantovani regolano il cambio delle scene. L’ambientazione moderna è nei costumi di Sonia Marianni, con indizi stilizzati di varianti gerarchiche o di censo. La principessa, in abito lungo, di velluto nero, distinto e severo e gli altri notabili, d’elegante sobrietà. Le maschere, appena più modeste, semplici nei colori assortiti; sarà il linguaggio e il dialetto a farle riconoscere nelle provenienze (Venezia e Bergamo, Napoli e Sicilia) e nelle funzioni subalterne. Pantalone, segretario di Altoum (Andreapietro Anselmi), Tartaglia, cancelliere (Elsa Bossi), Brighella, capo dei paggi (Davide Lorino), e Truffaldino, capo degli eunuchi (Graziano Sirressi), che si esibisce anche come musico e cantore.


Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

L’adattamento, riduttivo, di Carlotta Corradi conserva gli snodi della trama e mostra come s’intreccino i vari legami fra i personaggi e quindi si riuniscano i loro destini in tante avventure. Acquista rilievo d’attualità il femminino della protagonista, che da timore e fuga passa a conscia valutazione problematica dei rapporti fra i sessi. Piacciono i molti elementi drammatici della commedia fantasiosa, resi persino virtuosistici nella versificazione e nella compresenza intrigante delle maschere e delle figure dal vero. Qualche lazzo s’insinua con discrezione, senza presunzione filologica, a memoria affettuosa del passato o del suo tramonto. 

Fra gli episodi, molte didascalie di raccordo sono recitate. Il propulsore d’azione parte dal rituale imposto da Turandot (e ratificato dal sovrano suo padre) di sottoporre i pretendenti a certi quesiti dalle conseguenze mortali se insoluti. Così Calaf, nell’incontro con Turandot, decide di affrontare la prova rischiosa, dalla quale Altoum cerca di dissuaderlo. «Amuri, amuri…», canta Truffaldino nell’esprimere il pericoloso sentimento, sincero ed esaltante per l’uomo, alla donna inviso. L’immediata soluzione dei tre indovinelli da parte di Calaf provoca la reazione della principessa, ma la rivalsa del temerario ottiene a sua volta di proporre la domanda sul suo nome sconosciuto. Lungo impegno richiede ancora la ricerca del nome sia per Turandot, sia per Adelma che ama l’uomo in segreto. Momenti salienti, prima dello scioglimento, la pantomima ben ritmata dalle maschere zelanti nell’estorcere il nome a Calaf addormentato, senza riuscirvi; il passaggio dal dramma, al comico e al patetico, nella vicenda parallela di Adelma, che gelosa suggerisce il nome a Turandot per impedirne le nozze.


Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

Occorre ricordare che Gozzi non creava la sua eroina futilmente capricciosa, ma avversaria del maschio per ferita psicologica. Ora il regista (forse attualizzandola troppo) la intende in lotta senziente al patriarcato, agli uomini che pretendono decidere in sua vece. È moderna perché, «portando dentro di sé l’eco di tutte le donne vissute prima di lei, di cui si fa la paladina e portavoce, Turandot nel XVIII secolo è una vera femminista. Allo stesso tempo ci pone davanti a un sentimento che non ha tempo e non ha sesso: la paura di amare, il timore di abbandonarsi a un sentimento così forte da farci perdere il controllo» (Programma di sala). 

Nello spettacolo – sta qui la sensazione dell’occasione perduta – profondità e veemenza vengono attutiti da una recitazione che smussa il verso, appiattisce la dizione in monotonia. Magari a prevenire il pericolo di enfasi liricheggiante, la passione nei protagonisti viene gelata e gli istinti smorzati. Gli attori si esprimono tutti coinvolti nell’uso del registro colloquiale, ma sommesso, quasi soffocato, riducendone l’udibilità negli “a parte”.


Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

Turandot di Lisa Lendaro mostra più distacco che crudeltà o perfidia. Nessun gusto nel circondarsi di mistero. Alquanto implausibile la svolta dall’amore negato, fino al lutto nella parata per le nozze, all’aprirsi poi con dedizione e nel bloccare l’impeto di Calaf quando rivolge a sé il pugnale. Nicola Pannelli, barbuto imperatore, spiega una voce sempre pacata e autorevole in un Altoum di superiore serenità e sensibilità paterna, pure equa nel consacrare il matrimonio. Deniz Özdoğan imprime sinuosi tormenti alla sua Adelma, finché nella disperazione, per punirsi, non passa a melodrammatica farsesca concitazione ripetendo il gesto suicida. Il Calaf di Luca Oldani, quasi incosciente delle origini nobili e del ruolo, s’accontenta di inetta ostinazione quando pronuncia versi forti ed eroici, che potrebbero farsi vettori d’un sentire esasperato, appunto estremo, scenicamente “meraviglioso”. Abile in metamorfosi è Elsa Bossi, in Tartaglia che non s’inceppa mai e in Schirina, madre della serva Zelima (Beatrice Fedi). Davide Lorino interpreta Barach, ex tutore di Calaf, amico fedele e discreto. Quando poi, vestito da Brighella, accompagna all’organo la voce di Truffaldino, è prodigo con tutti nel donare concordia e letizia.



Turandot
cast cast & credits
 



Un momento dello spettacolo visto al Teatro "Eleonora Duse" a Genova il 5 dicembre 2023
© Federico Pitto

 
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