Avvicinandosi, come di consueto,
alla ribalta per parlare con gli spettatori, Marco Paolini dichiara fin da
subito come Boomers, rappresentazione da lui recitata e scritta insieme
a Michela Signori, potrebbe risultare non del tutto comprensibile. Il tema,
oltre a riferirsi alla generazione dei «sopravvissuti», di quanti, cioè,
essendo anziani hanno qualche difficoltà ad
adeguare le proprie abitudini alla rapida evoluzione della società
tecnologico-digitale, si propone come un «gioco», come un viaggio riflessivo
sulle contraddizioni del mondo. Pertanto, la sua narrazione chiede sostegno
alla musica, eseguita dal vivo da Luca Chiari, Stefano Dallaporta, Lorenzo
Manfredini, e al canto-recitazione della brava Patrizia Laquidara. Un momento dello spettacolo © Gianluca Moretto
Al centro della scena riappaiono
Nicola e la Jole, donna autonoma e invincibile che gestisce energicamente il
suo bar, entrambi protagonisti degli Album già ideati dallattore.
In quello spazio di periferia, dislocato sotto i piloni traballanti di un ponte
autostradale, bivaccano i consueti personaggi, eroici e beoni, fissati per
sempre nella rete di un tempo immutabile, assoluto. I fili di una memoria
persistente, contrassegnata non solo dagli avvenimenti storici del dopoguerra e
dallimpegno politico, ma anche dagli slanci individuali, dal modo eccentrico
di vestire e di cantare, contrastano con le trame di un presente talmente
innovativo da risultare travolgente. Sembra di vivere dentro una sorta di «frullatore»
delle esperienze, che tende a omologare ideologicamente dissensi, nostalgie e
desideri nellassurda trappola dei «sovranismi» e dei «negazionismi».
Lo smarrimento esistenziale e
lincapacità di comprendere il cambiamento impongono, però, una presa di
coscienza civile, e persino un ripensamento del passato. Paolini elenca una
catena di avvenimenti che dalla bomba atomica di Hiroshima e dallo sbarco sulla
luna, attraverso le lotte operaie e studentesche, giungono fino al tracollo
delle strutture sociali e al propagarsi di una diffusa sensazione di paura.
Poi, nel racconto di Nicola emerge il confronto necessario della «bella
gioventù» con i sogni del figlio, vale a dire con il «gioco» di un ragazzo che
possiede le chiavi della tecnologia. Difatti, è impegnato nel migliorare il
paesaggio di una start-up per un videogioco simulato; e chiede al padre di
partecipare al suo esperimento indossando un visore virtuale, un arnese magico
che proietta il genitore in un immaginario nostalgico e anestetizzante. Il
salto ciclico è compiuto: il gioco della memoria si vaporizza in una
costruzione aleatoria, finta, affidata alle reti globali.
Un momento dello spettacolo © Gianluca Moretto
Paolini domina con convinzione
una materia «cibernetica», irreale, già affrontata a partire dal 2015 con Le
avventure di Numero Primo e la coniuga con sicurezza nel sistema
relazionale che accomuna la sfera pubblica e la dimensione privata. Arricchisce
la trama di riferimenti espliciti alla sua visione artistica, mentre sperimenta
una ricerca plurilinguistica che si proietta verso una prospettiva universale.
Anche le venature comiche, particolarmente esilaranti, si confrontano con le
disinvolture canore e musicali, fino a un rovesciamento paradossale
dellapoteosi finale, momento in cui, con
laiuto fondamentale di Jole-Patrizia Laquidara, trascina i presenti a
canticchiare insieme simbolicamente (e con malinconia) Figli delle stelle
(Alan Sorrenti, 1977). Lunghi e felici applausi.
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