Premiato come miglior attore protagonista ai Mongolian
Academy Awards 2012, con il film Thief of
the Mind (2011) la stella del cinema mongolo Amarsaikhan Baljinnyam, noto per aver preso parte alla fortunata
serie originale Netflix Marco Polo
(2014), debutta alla regia con un affascinante lungometraggio nella duplice
veste di regista e attore principale. Un esordio straordinario in cui Baljinnyam
mostra le sue radici culturali, esaltando il fascino misterioso della Mongolia,
terra sconfinata ricca di panorami suggestivi, umanità e antiche tradizioni.
Tratto dal romanzo Tüntüülej di Bum-Ėrdėnė, il film affronta
il tema della genitorialità con estrema delicatezza e con quella semplicità e
innocenza che il cinema americano e europeo hanno ormai perso da tempo. La
pellicola, presentata ai Festival
di Vancouver e del Cinema
Africano, dAsia e America Latina di Milano, è stata distribuita in lItalia
da Officine UBU e scelta per rappresentare la Mongolia agli Oscar 2023.
Una scena del film
Lultima luna
di settembre (2022)
è unemozionante poesia di un altrove dimenticato, memorabile sin dalla prima inquadratura,
in cui un uomo, in piedi su un cavallo, nella provincia desertica dellHentij, lega
il telefono a un bastone, nellintento di informare Tulgaa (Amarsaikhan
Baljinnyam), che ormai vive in città, sulle precarie condizioni di salute del
padre adottivo. Tornato nella yurta,
in cui è nato e cresciuto, Tulgaa assiste il padre malato fino agli ultimi
istanti di vita e, in suo onore, promette agli abitanti del villaggio di
provvedere alla raccolta del fieno entro la fine di settembre. Durante il duro
lavoro nei campi, incontra il giovane Tüntüülej
(Tenuum-Erdene Garamkhand,
coprotagonista, che
ci regalerà unimmensa prova attoriale), di circa dieci anni, il quale vive
con i nonni dopo essere stato abbandonato dalla madre. Orgoglioso e impertinente, Tüntüülej non sa né leggere né scrivere ma
è dotato di una forte personalità. Lincontro tra i due cambierà nel profondo le loro vite. Entrambi non
conosceranno mai il proprio padre biologico ma sceglieranno reciprocamente di
amarsi, come un genitore e un figlio, andando oltre i legami di sangue e costruendo
lentamente un rapporto di sincera stima,
affetto e fiducia. Settembre è però dietro langolo e rappresenterà per
Tulgaa il termine ultimo di un percorso necessario alla rielaborazione del
lutto, culminante in uno struggente abbraccio che
avrà il sapore di un addio.
Una scena del film
La quasi totale assenza di una colonna sonora lascia spazio
a suoni diegetici, provenienti soprattutto dalla natura e dallarmonica di
Tulgaa, regalatagli dal padre. La simmetricità delle inquadrature, in
prevalenza statiche, leccezionale fotografia di Joshua Fischer e i tempi filmici, volutamente dilatati, trasformano
gli incantevoli paesaggi della steppa mongola in veri e propri dipinti, in cui i
colori vividi della campagna – giallo verde e blu – prendono vita lasciando lo
spettatore senza fiato.
La scrittura magistrale immerge il pubblico in un universo
surreale, dove ogni sequenza appare credibile e realistica. Una straordinaria
espressività di gesti, profondità di sguardi e silenzi prende invece il posto
dei dialoghi, quasi inesistenti, rievocando il potente linguaggio mimico-gestuale
di Chaplin.
Una scena del film Lultima luna
di settembre
è un film forte, autentico, che fa riflettere sullimportante tema dellabbandono,
sempre più frequente, dei bambini nelle campagne, per inseguire il sogno di una
carriera in città. Il finale un po amaro e inaspettato differisce dal classico
epilogo. Quale sarà la scelta di Tulgaa? Rimarrà nel villaggio, accettando il
suo nuovo destino, o tornerà ai ritmi frenetici della città? Forse la distanza
tra il luogo della nostalgia e la civiltà sarà incolmabile; forse Tulgaa compirà
una scelta dolorosa, ormai incastrato in quegli schemi della vita che, non
sempre, si ha il coraggio di rompere.
* Studentessa di Digital Humanities per la Storia dello Spettacolo
nel corso di Scienze dello Spettacolo del Dipartimento, SAGAS.
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