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Il mostruoso desiderio di non recuperare la vista

di Benedetta Colasanti
  Cecità
Data di pubblicazione su web 24/11/2023  

In un mondo degenere, c’è chi perde la vista e chi è ancora costretto a guardare. Virgilio Sieni, che è solito ispirarsi ai classici artistici e letterari, si pone in relazione con il Premio Nobel per la letteratura (1998) José Saramago. Entrambi sono in grado di evocare mondi a metà tra la distopia, il fantastico e l’archetipo, proponendo visioni certamente personali e soggettive ma anche capaci di varcare i confini dei propri orizzonti e farsi in qualche modo universali.

Il nuovo lavoro del coreografo toscano, Cecità, attinge sia al testo originale sia al proprio repertorio, introducendo però elementi di novità, ancora una volta graditi allo spettatore. La performance, che ha già debuttato a Torino e che recentemente è stata replicata al Teatro Fabbricone di Prato, si apre tra rumori sordi e sprazzi di luce. Alcune sagome agiscono protette o, meglio, ingabbiate da una sorta di “quarta parete” già vista in Petruška (2018), a sua volta liberamente tratto dal celebre lavoro ballettistico dei Balletti Russi di Sergej Djagilev, che debuttò il 13 giugno 1911 al Théâtre du Chatelet di Parigi con coreografie di Michel Fokine su musica di Igor Stravinskij.

Cecità è organizzato in tre quadri. Il primo è caratterizzato da un notevolissimo gioco di luci che rimanda, oltre che alla fascinazione del cinema delle origini, a immagini di tempesta, di caos, di guerra, ma soprattutto all’incapacità di comprendere derivata dall’impossibilità di vedere. Da una parte si comunica la presa di coscienza della propria condizione di cecità, dall’altra si cerca il valore degli altri sensi, l’udito, il tatto, come surrogati di ciò che è venuto a mancare. Fruendo dell’opera di Saramago, il lettore ha quasi l’impressione di non riuscire a vedere e Sieni, senza essere didascalico, riesce a trasmettere la stessa sensazione. Per un’ipotetica messinscena di Cecità, si ha infatti la tentazione di immaginare i danzatori privati del senso della vista, mentre in questo caso è lo spettatore che viene reso non vedente e ridotto alla sola (ma profondissima) potenzialità di percepire. Da un punto di vista più squisitamente narrativo, la prima parte sembra dedicata all’individuo, all’isolamento che caratterizza chi non riesce – per questioni sensoriali – a rimanere in contatto col mondo esterno e sceglie di affacciarsi a una dimensione altra, insieme spaventosa e attrattiva. E viene in mente a tal proposito il protagonista del film The Sound of Metal (2019) che, improvvisamente privato dell’udito, finisce per accettare il suo nuovo status piuttosto che continuare a vivere in un mondo che non può più comprendere.

© Virgilio Sieni

Un momento dello spettacolo
© Virgilio Sieni

Il secondo è un quadro corale. La “quarta parete” si alza e mostra i protagonisti relegati in una stanza limitata da teli trasparenti, dunque accessibile al pubblico. «Il mondo è tutto qui dentro», recita una voce, evocando una sorta di dimensione limitata e limitante in cui i protagonisti, potenzialmente l’uno nemico dell’altro, non possono rinunciare all’appoggio reciproco. I danzatori si esprimono tramite il linguaggio del corpo – un linguaggio ormai codificato da Sieni, che ha fatto del movimento una poetica personalissima ma efficace – e quello verbale. Si abbandonano alla pesantezza delle membra e insieme invocano l’uno il nome dell’altro: Claudia, Maurizio sono i nomi reali dei danzatori, che finiscono così per immedesimarsi a pieno nella storia. È la messinscena di corpi devastati ma insaziabili, capaci di reagire, ma tanti sono i richiami al mondo attuale, alle sue degenerazioni sociali, ecologiche, culturali. Senza nulla togliere al sempre meritevolissimo corpo di ballo, l’esibizione di Claudia Caldarano risulta particolarmente efficace, in una fusione inedita e di fortissima intensità di movimento e voce.

© Virgilio Sieni

Un momento dello spettacolo
© Virgilio Sieni

Il terzo quadro è disturbante uditivamente parlando. È il capitolo dedicato alla diversità, anche profonda, tra gli individui. Un microfono montato su un lungo palo cavo, manovrato da uno dei danzatori nei panni di una maschera bianca che rimanda ai professionisti dell’arte, a un Pierrot tragico o a un Arlecchino privato delle sue toppe colorate, produce rumori striduli o talmente gravi da far tremare la struttura della platea. Dalle quinte – anch’esse bianche e dispose in maniera non canonica – emergono altre figure animalesche, volpi, capri, un cervo, un cavallo. Sono esseri metà umani e metà animali e si è indecisi su quale delle due parti sia veramente bestiale. Gli oggetti di scena, forse non necessari, sono però il forte rimando alla trama dell’opera originale. Anche il colore non è lasciato al caso: i non vedenti di Saramago non vivono in un mondo buio ma in un bianco accecante che non lascia pace, che non permette di riposare.

Intanto le parole dello scrittore lusitano risuonano nel teatro, evocando «il mostruoso desiderio di non recuperare la vista», immediato riferimento a una distopia contemporanea e veramente prossima in cui il male sembra trionfare sul bene con estrema e agghiacciante naturalezza.



Cecità
cast cast & credits
 



Spettacolo visto al Teatro Fabbricone (Prato) il 16 novembre 2023

© Matteo Moretti

Spettacolo visto al Teatro Fabbricone (Prato) il 16 novembre 2023


 
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