Chiara
Guidi, fondatrice ed esponente della Socìetas
(prima Socìetas Raffaello Sanzio), propone una lettura recitata per voce
sola, coro e xilofono, ispirata alle lettere di Nelly Sachs – Premio
Nobel per la letteratura nel 1966 – a Paul Celan. Una riflessione
musicale sui mali del Novecento, talmente melodica da far dissolvere nellaria
il significato delle parole e lasciare nelle orecchie dello spettatore un canto
dalla forte portata emotiva.
La
performer entra in scena non emergendo dal
fondale o dalle quinte, come è duso fare, ma dalla platea, un po come i
“dilettanti” che – in unepoca più remota – erano insieme spettatori e abili
esecutori. La voce di Guidi si intona su un “la” immaginario, sul ritmo delle
percussioni di Natàn Santiago Lazala; rimanda al linguaggio del corpo,
al battito del cuore, allo scorrere del sangue nelle vene. Lamplificazione, di
per sé non necessaria nel piccolo spazio di Cango, è funzionale alleffetto cantilenante
della lettura. La declamazione si fonde talvolta con un sottofondo registrato di
musica concreta: rumori di città, di traffico, di passi, di pioggia, di natura o
con parole in lingua straniera.
Il corpo della voce narrante appartiene a un
personaggio daltri tempi: nel costume, nella postura, nellacconciatura, nel
modo di muoversi e di atteggiarsi, nel lento retrocedere. Il coro siede invece
in mezzo al pubblico; palesa la propria presenza con lalzarsi di un suo
esponente, seguito dallo sguardo della platea tutta. La tentazione è quella di
unirsi al complesso di voci, che si rivolge alla protagonista e con lei mette
in atto un gioco di scambi e di rimandi. Più che una voce al plurale, quella del
coro sembra incarnare leco delle parole declamate da Chiara Guidi; e infatti
questultima sembra a tratti assumere il ruolo del direttore dorchestra,
allineando lensemble sulla propria tonalità e sul proprio ritmo.
© Nicolò Gialain
Primario
anche luso degli oggetti: fazzoletti bianchi, un guanto rosso che nessuno
sembra voler indossare. Esteticamente la messinscena rimanda alle litanie
sacre, al rito, alla preghiera; anche se le parole sono di protesta. «Solo
laddio ci tiene ancora uniti. Addio. Nella polvere ci tiene uniti a noi». Non soltanto parole ma anche sospiri,
respiri, sibili, colpi come di porte che sbattono. Alla fine, il coro si unisce
alla voce sola, dando le spalle al pubblico. Tanti corpi neri, ognuno con le
proprie peculiarità e con le proprie teste i cui colori risaltano sotto le luci
del teatro (della ribalta). Alla fine lei viene ingoiata dal coro, il quale
esce di scena come un unico sistema organicistico.
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