Una guardia
alabardata attende gli spettatori del Prologo,
allingresso del percorso che li condurrà in viaggio nel paese immaginario del
narratore ligure, poi decisamente cosmopolita. La impersona lattore Enrico
Campanati, immerso nella verzura dun bosco in cui si mimetizza nel costume
e nei cespugli che gli crescono ben radicati in capo, segno di fedeltà secolare
nel servizio. La sua facondia ci introdurrà a panorami sorprendenti e a tanti
incontri con personaggi anacronistici e inventati. Nella finzione, la calma
dellattore è rassegnazione dichiarata al ruolo, per vincere il tempo con
saggia pazienza e prepararci alle due ore abbondanti dello spettacolo, con
riflessioni sullalbero genealogico di ciascuno. Una discendenza che riguarda
ognuno e riconcilia tutti con unorigine comune nella caverna ancestrale,
dimora del primo nostro antenato.
Saranno tre
episodi, ispirati a tre romanzi di Calvino, visti da diverse angolazioni
e con differenti stili. Emanuele Conte intende Il visconte dimezzato (1951) come saga proto-borghese, pure
implicata in gesta di guerra (austro-turca, a fine Settecento), di cappa e
spada, fino ad addolcirsi in un amore che viene man mano a illuminare lo sfondo
burrascoso segnato dalle classi e dai conflitti di potere. Leroe è Medardo di
Terralba che, colpito in battaglia da una cannonata, viene spaccato in due. Il
salvataggio dei due pezzi recupera le due figure complementari, luna del bene
e laltra del male. Reduce di guerra, Medardo il “gramo” (Matteo Traverso,
in completo attillato dagli arabeschi doro) semina dissidio e violenza fra i
sudditi. Vorrebbe sposare Pamela, ma lei prende tempo, soppesa e rifiuta. Il
narratore è un nipote misconosciuto che usa la macchina da scrivere per
tramandare la vicenda. Interviene il dottor Trelawney, che dimentico dogni
competenza medica, va a caccia di fuochi fatui, tonificandosi con sorsi di
cordiale. Molti personaggi spariscono, come altre contrade e città romanzesche.
Un momento dello spettacolo © Fondazione Luzzati Teatro della Tosse Il dramma
risibile si concentra sul duello fra le due metà viscontee ritrovatesi,
affrontate alla conquista dellunica bella disponibile. Occasione nella quale
il dottore può ricucire in corpo unico i monconi. Ne risulta qualche
incomprensione, qualche incongruenza di rapporti e immotivati effetti, pure
fiabeschi. Resta lefficacia dei ritratti (da convenzione figurativa), come
quello del Visconte che appare vivente nel grande quadro appeso alla parete:
reso a metà dalla luce scabra e a taglio laterale di Matteo Selis. Il
dottore, caratterizzato da Pietro Fabbri, ha laccento inglese, i
calzoni alla zuava e la bombetta. Nei costumi vivaci di Danièle Sulewic
piace anche Antonella Loliva, pastorella scaltra o maliziosa
contadinella, una Pamela bene accorta nellaccasarsi. Raggiunto il
secondo luogo scenico, lo spazio si presenta insolitamente significativo in un
locale vuoto. La scenografia (di Conte e Ferrando) è costituita da un
impalcato concavo, a superficie bianca e levigata; una “pagina” (che dà il
titolo allepisodio), anzi doppia pagina, da libro aperto, ma anche terreno,
collina o valle, sintesi orografica dun paese vagheggiato e dunque abitato
dallautore: fra Liguria e Altromondo. Sincontra allora una realtà misteriosa
ed ermetica da decifrare. Sorge dalloscurità una figura nera, incappucciata,
che striscia al suolo. Una donna in veste monacale, suor Teodora (Valentina
Picello), che assume il ruolo di Agilulfo, il cavaliere inesistente e a
tratti rappresenta Bradamante, la donna di lui innamorata.
Un momento dello spettacolo © Fondazione Luzzati Teatro della Tosse
Un copione
epurato al massimo, nelladattamento di Giovanni Ortoleva; estratto
duna parte soltanto degli umori cavallereschi delloriginale, per esporre la
condizione del bianco, del nero e della luce, essenziali per la creatura che
cerca se stessa nel silenzio e lisolamento. La partitura verbale è tuttuno
con la corporea duttilità tormentata duna attrice tanto umile quanto grande
nel talento costruito con lunga e paziente scuola. La sua prestazione è
pantomima e danza, metamorfica presenza in stati umani di gamma estesa. Sa
mostrare il miracolo della concezione delle parole e della loro scrittura,
addentrandosi nel rapporto fra scrittore e lettore. Si ammira dunque la parola
nel prendere voce, il protagonismo contenuto crescere e dilagare in palcoscenico,
alzarsi a fendere il vuoto brandendo unarma immaginaria, combattente contro
fantasmi e contro lessenza di sé inafferrabile. Perfino lazione duna
sepoltura è vissuta e compresa, simbolicamente gestuale in forza e durezza
concrete, nei movimenti enfatizzati da Anna Manella. Unascesi di chi la
terra la conosce dallinterno e dal profondo.
Viene leco
duna voce registrata a dare compresenza al doppio che affiora, nei personaggi,
ora di Bradamante ora del suo Cavaliere. Nella musica di Pietro Guarracino,
rulli di tamburo e una campana si fondono con le voci. Nelle luci di Davide
Bellavia scorrono ricordi di sentimenti e di natura. Si perdono le figure
di Agilulfo (vuota armatura) e di Gurdulù (corpo privo di coscienza), ma torna
percepibile il simulacro di Rambaldo, lamante che la guerriera attende e
(forse) nellabbraccio ritrova. Vicenda di respiri, di voci e di fantasmi, in
una rappresentazione molto tesa e contrastata dei bisogni e dei desideri umani
elementari. Venticinque minuti che varrebbero da soli a emozionare la
serata.
Passando
alla sala teatrale per Il barone rampante
(1957), lo spazio – allestito nella platea per il pubblico sul palco – è
organismo artificiale di passerelle, tralicci, gradini e cordami che possono
valere allegorie. La fuga dalla casa natia è già avvenuta, per Cosimo Piovasco
di Rondò, baronetto insofferente, sognante e intellettuale nutrito di
Illuminismo. Innamorato adolescente, curioso di un mondo raggiungibile
traversando sui tronchi e sui rami. Agisce molto nella mente del protagonista,
nelladattamento di Laura Sicignano, il viaggio avventuroso del
rampante, un Alessio Zirulia con doti da equilibrista e fluido parlatore.
Un momento dello spettacolo © Fondazione Luzzati Teatro della Tosse
In quella
selva disegnata da Conte e Ferrando, per una regia che parte dallintrospezione
narrativa del personaggio, il racconto appare a volte statico, pure nelle
deambulazioni, sospensioni e dislocazioni arboree, suggerite da Piera
Pavanello. Unaltalena riporta il giovane allo stato ludico, alletà dello
slancio più vitale, nellatmosfera luminosa e la sonorizzazione di Luca
Serra. Dallora gli incontri dinfanzia e la scelta di vita nei ricordi
ravvivati delladolescenza. Poi lamicizia con il brigante e la compassione,
nel dolore per la sua cattura e limpiccagione, in una recita epica e sommessa.
Ancora unaccensione nel finale, come risucchiato dal miraggio utopico duna
mongolfiera sulla quale leroe sinvola.
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