Nello spazio essenziale di una
piccola biblioteca fa il suo ingresso una scrittrice che, rivolgendosi agli
spettatori, confessa di riuscire a lavorare solamente in un posto neutrale e
riservato come quello, un luogo in cui esseri tra loro estranei siedono in
silenzio in mezzo agli scaffali a inseguire, forse, la trama dei pensieri con
il capo chino sopra le pagine di un libro. Non cè, dunque, posto migliore per
considerare la «complessità devastante» del mondo contemporaneo: Simona –
questo è il suo nome – inizia a scrivere, immaginando i tratti distintivi delle
persone che le stanno intorno. Così ha inizio Tipi seduti al chiuso.
Partitura sentimentale per biblioteche, un prezioso «progetto» di Lucia
Calamaro, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto e ideato per le celebrazioni
degli 800 anni dellAteneo di Padova. Lo interpretano con efficacia e impegno Riccardo
Goretti, Simona Senzacqua, Lorenzo Maragoni, Cristiano Moioli, Cristiano
Parolin, Filippo Quezel e Susanna Re, attori della «Compagnia Giovani» dello
Stabile che danno il proprio nome a ciascun personaggio.
Un momento dello spettacolo
© Serena Pea
In una scena sobria, disegnata da Alberto
Nonnato, irrompono tre strambi bibliotecari, evocati da Simona che con una
sottile giravolta diventa lautrice della rappresentazione. Il dialogo che sintreccia
tra loro è serrato e divertente con battute che rimandano alla vita personale,
alle crisi familiari, alle trappole sentimentali; ma investono, soprattutto, la
sfera dei libri, citando scrittori e pensatori come substrato necessario per
unorganica sopravvivenza. I discorsi oltrepassano la ribalta, chiamano in
causa il pubblico, giocando sul significato concreto delle parole lungo il
sottile confine tra il comico e il drammatico. Emerge, gradualmente, lampiezza
del disagio individuale che si trasforma apertamente in una varietà di manie e
incomprensioni. Da un lato, scricchiola limpegno a inventariare le forme del
sapere, a registrare le tracce della conoscenza racchiuse in quei pochi reperti
oramai superati; dallaltro, aumenta la centralità dellimmagine che,
attraverso il groviglio prodotto dalle reti internet, finisce per definire
interamente lidea del mondo.
Un momento dello spettacolo
© Serena Pea
Il fallimento della parola e della
sua propaggine scritta si traduce sul palcoscenico, e oltre nella società, in
rabbia. Si tratta di una collera irrazionale e, spesso, priva di motivazione;
eppure si radica prepotentemente nel corpo umano, ne condiziona i gesti
scomposti e isterici, sospinge verso uninevitabile sindrome demolitrice.
Riccardo, il direttore della sede, affronta con asprezza lo smarrito e
nostalgico nipote Cristiano sulla scia dellincombente separazione dalla
moglie, partita per lIndia, lasciandolo solo con un figlio ribelle; costui,
quando entra in gioco, scatena il suo odio distruttivo, scagliando a terra
libri e oggetti. Lorenzo, il terzo eclettico bibliotecario, smania dietro
Susanna, una giovane contestatrice che saccanisce sulla tastiera suonando con
caparbietà brani tristi; persino le note musicali
appaiono scomposte, introverse, perché sono incapaci di accendere una semplice
danza. Anche Filippo, improbabile artista multiforme, svilisce la sua vocazione
per larte contemporanea fino ai limiti dellinconsistenza e della futilità.
Un momento dello spettacolo
© Serena Pea
Nello spettacolo le tante
tematiche della vita sintrecciano con la fragilità del sistema bibliotecario,
richiamando la logica della circolazione sanguigna e del battito del cuore, o
riversando lidea di un «tempo fermo» sulla mappa di Padova, la città
universitaria per eccellenza affollata di studenti protesi verso la liturgia
del Teatro Anatomico, la città che respira il culto immobile del Santo. Lucia
Calamaro lascia emergere in modo geniale la paradossale ossessione
dellaggrapparsi ai codici della poesia e dei testi, a una memoria scritta
sorpassata di continuo dalla crudeltà degli accadimenti quotidiani; alfine, a
Simona, sua diretta portavoce, non resta che ribadire la propria malinconica
impotenza, citando la frase di Wittgenstein: «Su ciò di cui non si può parlare,
si deve tacere».