Sul
palcoscenico non attrezzato, il fondo è una parete verde con tante porte,
accessi a diversi luoghi deputati. Lingresso dei personaggi in scena è una
frenetica autopresentazione, un faticoso riconoscimento di luoghi e di persone
di cui si è perduto il senso e la nozione. Un caos vigile, dal quale emerge la
situazione abnorme: il principe ereditario Segismundo, figlio di re Basilio, è prigioniero in una torre.
Compare incatenato, maltrattato, stordito e dolente. Alle prime parole, è
balbuziente. Si lamenta della disgrazia e dellingiusta pena, come sconvolto
dallabbrutimento del corpo e della mente. Nulla si sa dei precedenti e sul
perché di quel castigo. Poi Basilio, astrologo praticante, ci informa di un
oroscopo che gli avrebbe rivelato il destino del figlio, quello di diventare un
tiranno e perciò lo avrebbe condannato.
Ladattamento
del testo – dramma barocco in tre atti e in versi del 1635 – è riduttivo e
accelerato drammaturgicamente, nel rapido snodarsi dellazione. Non è facile, immediato,
riconoscere i moventi dei personaggi. Alcuni sono soppressi, altri assumono
evidenza magari recitando travestiti. Si entra nella vicenda man mano che
sintrecciano ai gesti le parole. La storia mostra due liberazioni di
Segismundo, due incontri-scontro tra padre e figlio e fra loro una guerra, fino
alla maturazione e conversione delleroe vittorioso, che risolve il suo dilemma
intimo, accettando lequivalenza fra la vita e il sogno e scegliendo comunque
la via del male minore.
Un momento dello spettacolo © Javier Naval
Limpressione
è di possesso disinvolto, da parte degli interpreti, dun materiale poetico
duttile e plurivalente, reso con sicurezza comunicativa. La rappresentazione
ammoderna – nei costumi contemporanei che segnano ruoli e gerarchie e negli
atteggiamenti – una vicenda morale e filosofica severa e problematica,
sullesistenza messa a prova dai rapporti quotidiani, in una società
immaginaria, ma che vive di poteri, di gioie e dolori riguardanti gli umani
dogni tempo. Il genere e la forma drammatica forniscono una gamma di stilemi
che sospendono giudizi e valori, per concentrare sulle scelte umane un
costante, insolubile mistero. Drammatizzare le domande su realtà e finzione
accresce limpegno per decifrarle. Fra il comico e il tragico, ogni atto o
intento pare teso a salvarsi, a risolvere unignoranza fondamentale sul proprio
destino e sulle scelte che lo originano e lo guidano. Nella sua modernità, la
recitazione non celebra soltanto la severità della parabola per meglio aprirsi
allelemento fantasioso, immaginario. Riesce con un fraseggio non retorico a
trarre dalla versificazione pure rimata un ritmo adatto allasciutta e
allarmante densità del testo.
Donnellan richiede un contatto conclamato dellattore con lo
spettatore, per un confronto corale, una testimonianza che dalla scena susciti
la risposta della sala. Infatti, alcune incursioni provocano il pubblico alla
partecipazione, come quando Segismondo attraversa la platea e interloquisce con
gli spettatori. Lorigine spagnola facilita gli attori nel loro controcanto nei
confronti della propria cultura. La regia rispetta il nucleo profondo e poetico
del testo, per poi superarne la filologia e affidare allenergica reattività
degli interpreti la connotazione più intensamente problematica. Evasa la
cornice barocca più convenzionale, dura il bisogno dellenfasi rituale nel
dibattito sui sentimenti, sugli istinti e le conseguenze del loro controllo fra
volontà e responsabilità o sorte ignota e casuale.
Pure
nellossessività del tema, la metafora applicata alla vita varia negli esempi
forniti dallesperienza, che vanno dagli sbalzi della condizione sociale ai
vincoli psicologici in cui lindividuo si dibatte. Nellaffrontarsi del padre e
del figlio sincarna la coppia parentale emblematica da cui discendono i
destini, le vicissitudini e il senso della vita intera. Quel nucleo
antropologico è sentito con emozione dal regista, ma compreso ed espresso con
tutta la razionalità della sua estetica, fisicamente performativa. Anche così
luso del corpo appare “primitivo”, spontaneo in nuova strutturazione
consapevole e controllata. Perciò pianto e riso seffondono naturalmente verso
un miraggio dequilibrio, irraggiungibile eppure essenziale, come nelle scene
stupende, ripetute e complementari, del perdono fra figlio e genitore. I
riconoscimenti, gli abbracci; le rabbie e i dissensi, diversi per livello e
sensibilità, mantengono unironia che mai banalizza la passione o il giudizio
(nel regime manicheo vigente allepoca) e compone dei personaggi che sanno
conciliare gli opposti in riconoscibili ritratti personali.
 Un momento dello spettacolo © Javier Naval
Discernere
il confine tra coscienza e inconscio sarebbe un arduo obiettivo perseguibile, a
cui però il regista preferisce gli eventi nella loro eloquente incidenza
fisica. Caotici certo, ma appunto più prossimi a una verità sempre inseguita e
mai posseduta. Lartista ci ricorda che siamo a teatro, se dalle quinte
giungono gli applausi (registrati) di una corte interessata e connivente,
aspetto “falso” della risposta “vera” che il pubblico restituisce agli
interpreti sinceri. La teatralità spesso surreale, storpiata, ammicca al vaudeville e cita il musical anni Cinquanta. Fra gli
anacronismi, la radio a transistor dalla quale il protagonista ascolta una
canzoncina, stereotipo della visione della cultura iberica vulgata: il leitmotiv è il tormentone Cuanto la gusta, cantata da Carmen Miranda.
Recitato
in spagnolo da attori di lingua madre (con soprattitoli), lo spettacolo
consente di apprezzare la musicalità e il ritmo delloriginale. Daltro canto,
una buona traduzione avrebbe migliorato la fruizione della sostanza concettuale
del testo, davvero rilevante.
Gli
attori sono da lodare sia quando suscitano entusiasmo per esuberanza e
simpatia, sia nel mascherare il fascino delle loro sapienti ambiguità o
sospensioni e balzi di registro. Alfredo
Noval è un Segismundo vigoroso, dalla mimica estesa; strabiliante ora per
lo slancio, ora per la pietosa, assidua indagine su sé stesso. Si confronta con
Ernesto Arias, figura paterna
sfuggente, nella quale simpastano amore, velleità e fragilità a condizionare
ogni relazione. In Rosaura arde la
verve impetuosa o maliziosa di Rebeca
Matellàn, quando in tuta militare amoreggia con Segismundo o sfodera la
spada (dalla storia favolosa) contro il seduttore che poi sposerà. Questi è Astolfo (Manuel Moya), nipote del re, aspirante al trono che saccontenta
delle nozze in famiglia. Lagile Clarin
è reso da una donna, Goizalde Nûñez,
quale servo e fool di convincente,
fredda comicità. Irene Serrano
recita Estrella, anchessa
corteggiata dal furioso, delirante eroe che lavrà in moglie. Clotaldo trova in Ángel Ruiz il degno vassallo e tutore del prigioniero riabilitato.
Molte battaglie, dunque, in una lunga guerra; una pace o tregua che riconcilia
i contendenti tormentati; infine, la riconquista di libertà e coscienza, ma
senza certezze assolute.
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