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Capricci d’amore nel paradiso del bosco

di Gianni Poli
  A Midsummer Night’s Dream
Data di pubblicazione su web 19/10/2023  

Con l’opera ispirata alla commedia di Shakespeare del maggior musicista inglese del Novecento, si apre la stagione al Carlo Felice di Genova, che già di Benjamin Britten (1913-1976) aveva rappresentato titoli significativi. Il nuovo allestimento è in collaborazione con la Royal Opera House di Muscat (Oman) per uno scambio produttivo e culturale in corso. La compagnia di canto è frutto d’una selezione ad hoc, rispettosa delle esigenze della partitura vocale particolarmente impegnativa. 

La regia è affidata a Laurence Dale, collaboratore di Peter Brook e che al Sogno da lui diretto intende ispirarsi. Mancando nel libretto il primo Atto shakespeariano, l’impatto visivo all’inizio riguarda l’elemento naturale di un prato e d’una foresta di abeti. Nel suo mutare, la scena di Gary McCann s’adatta all’azione, assumendo il ruolo di co-personaggio collettivo, in partecipazione corale all’avventura della fantasia nella condizione indotta dal sogno. L’effetto cromatico mutevole, nello scorrere di giorni e stagioni, per un fenomeno di sinestesi innesca la reazione associativa fra i suoni e i colori, corrispondenti a situazioni, sensazioni e sentimenti dei personaggi. L’evento coinvolge inoltre in sinergia, movimento e illuminazione, comunque nell’ambito di un’emotività razionalmente controllata. Quegli alberi dalle figure simboliche stabiliscono affinità cosmiche naturali e un habitat sensibile e adattabile alla vicenda umana. Lo svolgimento dal ritmo calmo e maestoso comporta scene molto animate, che liberano dai moventi sentimentali i comportamenti più intimi. Nella concezione musicale britteniana la teatralità si manifesta in componenti nitide e raffinate, giocose eppure pervase di malinconia: lavoro di ricreazione musicale (e acustica) che rispecchia quello poetico del drammaturgo.


Una scena dello spettacolo
© Teatro Carlo Felice

Mediante una campitura dei personaggi più in larghezza che in profondità, nella dilatazione spaziale introdotta da videoproiezioni di Leandro Summe, si assiste all’ingresso nel regno onirico delle due coppie giovanili di amanti confusi, in cerca d’approdo affettivo e sessuale e della coppia di Tytania e Bottom (in veste d’asino) quale provocatoria, e incantatoria, digressione. La disputa di Oberon e consorte, attorno al paggetto conteso, si palesa meglio nel bambino da loro condotto in scena, invece che appena nominato: pretesto che guida la storia principale, nel piano stabilito da Theseus e Hippolyta, verso un lieto fine, festoso, fastoso e convenzionale. Allo spettacolo contribuiscono i costumi, allusivamente elisabettiani, raffinati e modernamente ispirati allo stile di Vivienne Westwood e il trucco dall’espressionismo accentuato. Carmine De Amicis regola l’andamento coreografico che risponde ai motivi della musica (“Opera buffa”), in accordo con la gestualità e la tensione comunicativa della commedia, buffa anch’essa. 

Così la partitura supera la mozione autobiografica spesso inquietante e il compositore «esce dalla realtà delle sue ossessioni per entrare, con Shakespeare, nella dimensione del sogno» (E. Girardi, Programma di sala, p. 17). Musica non certo d’accompagnamento o commento, ma d’essenziale creatività nel rappresentare i caratteri personali. Anzi, di straordinaria autonomia rispetto alla musica-di-scena esemplata nel caso di Mendelssohn-Bartholdy. Struttura e orchestrazione (per un organico strumentale ridotto e calibrato dal compositore) mostrano i ricorsi alla tradizione melodrammatica da Mozart a Verdi e da Donizetti a Stravinskij e Schönberg, con cenni ironici e affettuosamente polemici sul gusto belcantistico sopravvissuto fino all’attualità. I cantanti mostrano una sicurezza matura nell’impegno a cui l’autore li destina nel progetto di distribuzione di vocalità distinte con tanta precisione. Tecnica ed espressione si integrano in parti rese aderenti ai talenti personali. E persino Puck, unico recitante, ha il suo contrappunto, acuto nei fiati e vibrante nelle percussioni. Nell’insieme, i ruoli sono connotati nelle tre categorie funzionali di fairies, amanti e artigiani. Oberon di Christopher Ainslie fa dominare il suo controtenore straniante e Sydney Mancasola, “soprano d’agilità”, rende Tytania chiara, misteriosa e potente nell’eloquio autorevole. Gli amanti, Lysander (Peter Kirk, tenore) e Hermia (Hagar Sharvit, mezzososprano), Demetrius (John Chest, basso) e Helena (Keri Fuge, soprano) rifulgono come gioielli, brillanti dalle luci vocali uniche e riconoscibili. Nobili, le rese dei conduttori finali della festa nuziale, Scott Wilde (Theseus, basso) e Kamelia Kader (Hippolyta, contralto). I dilettanti attori trovano una complementarità solidale e travolgente, coesa attorno al basso baritono di Bottom (anche Pyramus, di David Shipley) e di Seumas Begg, tenore (Flute, anche Thisby). Dalle voci bianche, emergono quelle delle fate soliste, di Michela GoriniSofia MacciòLucilla Romano ed Eliana Uscidda, a infondere soavità e incanto al conflitto costante fra sogno e realtà.


Una scena dello spettacolo
© Teatro Carlo Felice

L’orchestra segue con scrupolo il dettato del direttore, limpido e rigoroso, spesso divertito, nel gioco dei contrasti – dai duetti al magistrale quartetto “del risveglio” - alternati alle suites di raccordo dalle sfumature ammorbidite. Come il Montale critico notava assistendo alla Scala al Sogno, ferveva una musica «arricciolata, fatta di spume leggere portate a riva da un’orchestra che stormisce leggera come non era accaduto dal tempo del Pelléas [et Mélisande, di Debussy]». Certi passaggi molto apprezzati (niente applausi, per non disturbare), si susseguono memorabili, quali l’apparizione di Puck volante (simile all’Ariel-Lazzarini nella Tempesta di Strehler) e il primo scontro fra Helena e Demetrius. Poi l’incontro fra la Regina delle fate e il Bottom asinino che evolve, da caso d’ambiguità quasi zoofila, a passione sublimata e soddisfazione reciproca, scevra da risvolti psicoanalitici. Prevale allora il ricamo, dalle dissonanze strepitose, della sequenza offerta dai musici e il tentativo di risposta di Bottom cantante stonato. Indi la lunga rude schermaglia ingaggiata dai ragazzi e la confusione amorosa delle coppie che s’espande nel quartetto del loro “risveglio” (Atto III), pieno di delicatezza stupita e di giubilo. La pantomima di Pyramus e Thisby, recitata dagli Artigiani, è vera opera in miniatura (oltre che gioco metateatrale) e dono ulteriore di varietà di registri e comici e grotteschi, sorti da singolare invenzione gestuale della partitura, con caratterizzazione mediante interventi per arpa e flauto e felici citazioni mozartiane.


Una scena dello spettacolo
© Teatro Carlo Felice

Acme di divertimento in funambolico equilibrio, l’addio mortale dei due sventurati amanti leggendari. Infine, l’implosione della vegetazione in spira circolare che, come un abbraccio ormai benigno e armonioso, si stringe attorno alla comunità eterogenea umana e mitologica riunita. Così, se la rappresentazione del Sogno finisce, il sogno potrebbe continuare all’infinito. «Il contrasto di stili e linguaggi – nota il musicologo – artificio poetico moderno, fa parte dell’economia del dramma e diventa il mezzo per esprimere la complessità del mondo» (M. Emanuele, Programma, p. 31). Un esercizio di stile che in Britten significherebbe (specialmente per il coinvolgimento biografico) rivalsa estetica e non sentimentale, contrappasso etico al dolore di cui l’artista è stato vittima e testimone durante tutta la vita.  




A Midsummer Night’s Dream



cast cast & credits
 
trama trama



Spettacolo visto al Teatro Carlo Felice di Genova il 13 ottobre 2023


 
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