Con lopera ispirata alla commedia di Shakespeare del maggior
musicista inglese del Novecento, si apre la stagione al Carlo Felice di Genova,
che già di Benjamin Britten (1913-1976) aveva rappresentato
titoli significativi. Il nuovo allestimento è in collaborazione con la Royal
Opera House di Muscat (Oman) per uno scambio produttivo e culturale in corso.
La compagnia di canto è frutto duna selezione ad hoc, rispettosa
delle esigenze della partitura vocale particolarmente impegnativa.
La regia
è affidata a Laurence Dale, collaboratore di Peter Brook e
che al Sogno da lui diretto intende ispirarsi. Mancando nel
libretto il primo Atto shakespeariano, limpatto visivo allinizio riguarda
lelemento naturale di un prato e duna foresta di abeti. Nel suo mutare, la
scena di Gary McCann sadatta allazione, assumendo il ruolo
di co-personaggio collettivo, in partecipazione corale allavventura della
fantasia nella condizione indotta dal sogno. Leffetto cromatico mutevole,
nello scorrere di giorni e stagioni, per un fenomeno di sinestesi innesca la
reazione associativa fra i suoni e i colori, corrispondenti a situazioni,
sensazioni e sentimenti dei personaggi. Levento coinvolge inoltre in sinergia,
movimento e illuminazione, comunque nellambito di unemotività razionalmente
controllata. Quegli alberi dalle figure simboliche stabiliscono affinità
cosmiche naturali e un habitat sensibile e adattabile alla
vicenda umana. Lo svolgimento dal ritmo calmo e maestoso comporta scene molto
animate, che liberano dai moventi sentimentali i comportamenti più intimi.
Nella concezione musicale britteniana la teatralità si manifesta in componenti
nitide e raffinate, giocose eppure pervase di malinconia: lavoro di ricreazione
musicale (e acustica) che rispecchia quello poetico del drammaturgo.
Una scena dello spettacolo
© Teatro Carlo Felice
Mediante
una campitura dei personaggi più in larghezza che in profondità, nella
dilatazione spaziale introdotta da videoproiezioni di Leandro Summe,
si assiste allingresso nel regno onirico delle due coppie giovanili di amanti
confusi, in cerca dapprodo affettivo e sessuale e della coppia di Tytania e
Bottom (in veste dasino) quale provocatoria, e incantatoria, digressione. La
disputa di Oberon e consorte, attorno al paggetto conteso, si palesa meglio nel
bambino da loro condotto in scena, invece che appena nominato: pretesto che
guida la storia principale, nel piano stabilito da Theseus e Hippolyta, verso
un lieto fine, festoso, fastoso e convenzionale. Allo spettacolo contribuiscono
i costumi, allusivamente elisabettiani, raffinati e modernamente ispirati allo
stile di Vivienne Westwood e il trucco dallespressionismo
accentuato. Carmine De Amicis regola landamento coreografico
che risponde ai motivi della musica (“Opera buffa”), in accordo con la
gestualità e la tensione comunicativa della commedia, buffa anchessa.
Così la
partitura supera la mozione autobiografica spesso inquietante e il compositore
«esce dalla realtà delle sue ossessioni per entrare, con Shakespeare, nella
dimensione del sogno» (E. Girardi, Programma di sala, p.
17). Musica non certo daccompagnamento o commento, ma dessenziale creatività
nel rappresentare i caratteri personali. Anzi, di straordinaria autonomia
rispetto alla musica-di-scena esemplata nel caso di Mendelssohn-Bartholdy.
Struttura e orchestrazione (per un organico strumentale ridotto e calibrato dal
compositore) mostrano i ricorsi alla tradizione melodrammatica da Mozart a Verdi e
da Donizetti a Stravinskij e Schönberg,
con cenni ironici e affettuosamente polemici sul gusto belcantistico
sopravvissuto fino allattualità. I cantanti mostrano una sicurezza matura
nellimpegno a cui lautore li destina nel progetto di distribuzione di
vocalità distinte con tanta precisione. Tecnica ed espressione si integrano in
parti rese aderenti ai talenti personali. E persino Puck, unico recitante, ha
il suo contrappunto, acuto nei fiati e vibrante nelle percussioni.
Nellinsieme, i ruoli sono connotati nelle tre categorie funzionali di fairies,
amanti e artigiani. Oberon di Christopher Ainslie fa dominare
il suo controtenore straniante e Sydney Mancasola, “soprano
dagilità”, rende Tytania chiara, misteriosa e potente nelleloquio autorevole.
Gli amanti, Lysander (Peter Kirk, tenore) e Hermia (Hagar Sharvit,
mezzososprano), Demetrius (John Chest, basso) e Helena (Keri Fuge,
soprano) rifulgono come gioielli, brillanti dalle luci vocali uniche e
riconoscibili. Nobili, le rese dei conduttori finali della festa nuziale, Scott
Wilde (Theseus, basso) e Kamelia Kader (Hippolyta,
contralto). I dilettanti attori trovano una complementarità solidale e
travolgente, coesa attorno al basso baritono di Bottom (anche Pyramus, di David
Shipley) e di Seumas Begg, tenore (Flute, anche Thisby). Dalle
voci bianche, emergono quelle delle fate soliste, di Michela Gorini, Sofia
Macciò, Lucilla Romano ed Eliana Uscidda, a
infondere soavità e incanto al conflitto costante fra sogno e realtà.
Una scena dello spettacolo
© Teatro Carlo Felice
Lorchestra
segue con scrupolo il dettato del direttore, limpido e rigoroso, spesso
divertito, nel gioco dei contrasti – dai duetti al magistrale quartetto “del
risveglio” - alternati alle suites di raccordo dalle sfumature
ammorbidite. Come il Montale critico notava assistendo alla
Scala al Sogno, ferveva una musica «arricciolata, fatta di spume
leggere portate a riva da unorchestra che stormisce leggera come non era
accaduto dal tempo del Pelléas [et Mélisande, di Debussy]».
Certi passaggi molto apprezzati (niente applausi, per non disturbare), si susseguono
memorabili, quali lapparizione di Puck volante (simile allAriel-Lazzarini nella Tempesta di Strehler)
e il primo scontro fra Helena e Demetrius. Poi lincontro fra la Regina delle
fate e il Bottom asinino che evolve, da caso dambiguità quasi zoofila, a
passione sublimata e soddisfazione reciproca, scevra da risvolti
psicoanalitici. Prevale allora il ricamo, dalle dissonanze strepitose, della
sequenza offerta dai musici e il tentativo di risposta di Bottom cantante
stonato. Indi la lunga rude schermaglia ingaggiata dai ragazzi e la confusione
amorosa delle coppie che sespande nel quartetto del loro “risveglio” (Atto
III), pieno di delicatezza stupita e di giubilo. La pantomima di Pyramus e
Thisby, recitata dagli Artigiani, è vera opera in miniatura (oltre che gioco
metateatrale) e dono ulteriore di varietà di registri e comici e grotteschi,
sorti da singolare invenzione gestuale della partitura, con caratterizzazione
mediante interventi per arpa e flauto e felici citazioni mozartiane.
Una scena dello spettacolo
© Teatro Carlo Felice
Acme di divertimento
in funambolico equilibrio, laddio mortale dei due sventurati amanti
leggendari. Infine, limplosione della vegetazione in spira circolare che, come
un abbraccio ormai benigno e armonioso, si stringe attorno alla comunità
eterogenea umana e mitologica riunita. Così, se la rappresentazione del Sogno finisce,
il sogno potrebbe continuare allinfinito. «Il contrasto di stili e linguaggi –
nota il musicologo – artificio poetico moderno, fa parte delleconomia del
dramma e diventa il mezzo per esprimere la complessità del mondo» (M.
Emanuele, Programma, p. 31). Un esercizio di stile che in
Britten significherebbe (specialmente per il coinvolgimento biografico) rivalsa
estetica e non sentimentale, contrappasso etico al dolore di cui lartista è
stato vittima e testimone durante tutta la vita.