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O con noi o contro di noi

di Benedetta Colasanti
  Welcome to my funeral
Data di pubblicazione su web 25/09/2023  

Mentre il teatro è ancora semivuoto, quattro figure vestite di bianco giacciono sul piano del palco attorno a uno strumento elettronico; tre di loro indossano un visore VR. La foschia che avvolge i performer e il pubblico richiama gli atti bianchi del balletto romantico ma del balletto niente rimane se non, appunto, il colore bianco. Improvvisamente una luce al neon irrompe nel buio, un suono sordo nel silenzio; i tre danzatori con gli occhi celati dal visore e con i corpi collegati tramite cavi allo strumento elettronico si muovono a scatti, come automi. Il quarto personaggio continua invece a giacere inerme al suolo.

Brandon Lagaert, a sua volta performer della compagnia belga Peeping Tom, propone insieme a Equilibrio Dinamico Dance Company una riflessione sul rapporto tra uomo e tecnologia. Come lo stesso coreografo afferma durante il talk che segue lo spettacolo, il progresso tecnologico è un pretesto per suscitare domande in tema di gerarchie, giochi di potere, relazioni interpersonali. Quello che emerge da Welcome to my funeral è infatti il contrasto tra l’appartenere a un gruppo e la solitudine. Il titolo è programmatico: indica da una parte la fine del mondo come conseguenza di un futuro eccessivamente votato alla tecnologia e dall’altra l’inizio di un nuovo modo di vivere. Quello che più turba nel racconto di Lagaert e di Equilibrio Dinamico è l’impossibilità di optare per una via di mezzo: o si è dentro o si è fuori. 

Tale opposizione emerge fin dall’inizio della performance, quando i tre personaggi “mascherati” introducono il quarto individuo al mondo virtuale. Tutti sembrano de-umanizzati, coperti quasi interamente da tute bianche che richiamano i costumi del film L’uomo che fuggì dal futuro (George Lucas, 1971), con il viso celato come i protagonisti di Ready Player One (Steven Spielberg, 2018) e privi – in un certo senso in linea con i tempi che corrono – di identità sessuale. Il pubblico, privo di visore, non può fruire di quel mondo e si chiede che cosa vedano “in realtà” i performer, a quale universo altro abbiano accesso. Solo più tardi si accorgerà che i visori sono finti: la realtà virtuale non trova spazio “concreto” durante la messinscena ma è stata utilizzata – dichiara il coreografo – come elemento attorno al quale sperimentare la creazione coreografica.

Un momento dello spettacolo
© Stefano Sasso

La narrazione ruota tutta intorno all’entrare e all’uscire dalla realtà virtuale. Chi si priva del visore, per volontà, per distrazione, per incidente o perché obbligato, prende coscienza dell’artificio al quale ha partecipato – ignaro – fino a quel momento. Prima si dispera e poi cerca di “aprire gli occhi” ai compagni ma è destinato a un’esistenza di solitudine, alla visione di orrori che nel mondo virtuale paiono (almeno superficialmente) non esistere. Chi indossa il visore sembra infatti vivere in un mondo che suscita curiosità, immune al dolore fisico, anche quando i performer imbracciano fucili immaginari e prendono parte a quella che sembra essere una guerra. Per chi indossa il visore, anche il modo di relazionarsi è nuovo e diverso: due dei personaggi tentano un approccio affettuoso, visore contro visore; riescono a interagire ma i loro visi, con quella sorta di protesi davanti agli occhi, non riescono a toccarsi.

Nella realtà virtuale tutto si può modificare e ricostruire da zero. Ma quel mondo, prima immaginato e poi disegnato e vissuto, rischia il disfacimento: chi ne esce mostra evidenti segni di straniamento, di paura; vuole distruggere il fittizio e riappropriarsi delle proprie peculiarità e delle emozioni così come le conosciamo nel mondo “analogico”. La mancanza di comunicazione tra “dentro” e “fuori” rischia di sfociare in una spaventosa distopia in cui chi non si evolve – tecnologicamente parlando – rischia l’estinzione. Particolarmente significativo, anche se apparentemente giocoso, il fatto che i danzatori prendano gli applausi conservando movenze robotiche.

Tanti gli elementi che hanno ispirato la coreografia: il cinema (si pensi anche a Blade Runner di Ridley Scott, 1982, o a Matrix di Andy e Larry Wachowski, 1999), il mondo della robotica, del videogioco, ma soprattutto il background del coreografo e degli interpreti, la fusione di diversi stili di danza, specialmente la danza urbana, che emerge con prepotenza – e con virtuosismo, grazie alle doti del danzatore Alessandro Ottaviani – nel risultato complessivo del lavoro. Se non troppo ricercata e sperimentale, la coreografia appare assolutamente gradevole alla vista, capace di sintetizzare ciò che è di tendenza non solo nella danza contemporanea ma, soprattutto, nel mondo dell’intrattenimento. Welcome to my funeral riesce così a essere accessibile e comprensibile a un pubblico potenzialmente più vasto e, si spera, più consapevole dei rischi tecnologici in materia di socialità.



Welcome to my funeral
cast cast & credits
 




© Stefano Sasso

Spettacolo visto a Fabbrica Europa (Teatro Cantiere Florida) il 24 settembre 2023


 
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