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Omero, Dante e Garrone

di Giuseppe Mattia
  Io Capitano
Data di pubblicazione su web 20/09/2023  

La volontà di far coesistere epica, fiaba e cronaca in un film è al centro di Io capitano di Matteo Garrone, vincitore del Leone d’argento - Premio speciale per la regia all’80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Seppur col rammarico di non essersi aggiudicato il Leone d’oro (amarezza condivisa da gran parte della critica), l’autore romano può senz’altro vantare un’opera che sta raccogliendo un visibile successo in termini di incassi, nonostante la materia trattata sia scottante come non mai, soprattutto negli ultimi anni. A detta del regista stesso, i migranti sono ormai considerabili come gli ultimi eroi omerici.


Una scena del film

Due adolescenti di Dakar, Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), sognano di lasciare il Senegal alla volta dell’Europa, non per disperazione (sfuggendo così a luoghi comuni facilmente prevedibili) ma perché decisi a sfondare nella musica e convinti un giorno di firmare autografi ai “bianchi”. Dopo enormi sacrifici raccolgono una somma tale da consentirgli di intraprendere questo viaggio verso un “noto” ignoto, quella che si rivelerà essere una distorta percezione del mondo occidentale. Lungo il tragitto in direzione nord i due si trovano invischiati in un vero e proprio romanzo epico, di formazione ma soprattutto di trasformazione. Durante il tragico attraversamento del Sahara i due conoscono, forse per la prima volta, la morte, la crudeltà, l’assenza di pietà, incarnata da crudeli “condottieri”, novelli Caronte pagati per guidarli, insieme ad altri compagni di viaggio, in Libia, protesi ciecamente verso il mero guadagno, a ogni costo. Se la natura, muta e spietata, sembra essere il più grande ostacolo, il gruppo di viaggiatori ben presto capisce che la sfida più grande è quella contro la “natura” degli uomini, pronti ad arricchirsi sulla loro pelle, pelle martoriata in vere e proprie stanze della tortura. A tenere in vita questi derelitti è la fascinazione dell’Europa, la speranza di oltrepassare quell’infinita distesa d’acqua salata per approdare in un luogo che riserverà loro esiti sconosciuti, facendoli passare da condotti a condottieri.


Una scena del film

Scritto con lo storico collaboratore Massimo Gaudioso (sin dai tempi di Estate romana, 2000), con Andrea Tagliaferri e con l’attore fiorentino Massimo Ceccherini, Io capitano esalta una scrittura fortemente variegata, con inserti mirati a coinvolgere emotivamente anche il grande pubblico. Abilmente tripartita, la struttura del film rivolge una precipua attenzione al rapporto tra uomini e paesaggio: nonostante quest’ultimo sia spesso preponderante sul primo in termini spaziali, Garrone mira all’essenza dell’uomo in modo tale da compensare questa sproporzione. La dimensione spirituale dei protagonisti – resa soprattutto dall’eccelsa prova di Sarr che gli è valsa a Venezia il Premio Marcello Mastroianni – in qualche modo sovrasta gli eventi, esemplificativi nel voler ripercorrere un tragitto costellato di lacrime e sangue. A essere messe in luce sono le ragioni, le motivazioni che spingono i migranti ad affrontare queste prove, non tanto in maniera didascalica quanto attraverso i loro volti, espressioni struggenti in cui è nascosto il desiderio ardente di ricominciare una nuova vita, un po’ come accade ai protagonisti di Gomorra (2008). Nel comparto tecnico-artistico, oltre a un eccellente cast di attori non professionisti (in stile neorealista, anche per l’utilizzo della loro lingua d’origine), è encomiabile il lavoro di Paolo Carnera, abile nel valorizzare al meglio le assolate e sterminate lande di sabbia così come gli angusti spazi in cui riecheggiano grida e preghiere, conferendo a ogni inquadratura un tono dal sapore fiabesco.


Una scena del film

Già agli esordi della sua carriera Garrone aveva trattato il tema dell’immigrazione (nel 1996 in Terra di mezzo e nel 1998 in Ospiti), manifestando un peculiare sguardo che lo avrebbe poi portato a realizzare titoli di grande valore negli anni a seguire. Uno dei pochi rimproveri che possono essere fatti a Io capitano sta forse in un’eccessiva misura, rigore, in certe esitazioni contenutistiche laddove la materia poteva offrire ghiotte occasioni per mirare dritto al cuore, alla coscienza dello spettatore, senza chiedere il permesso. Si avverte a tratti poca spontaneità, quasi si cercasse di accontentare un po’ tutti, con una tangibile distanza dalle coraggiose scelte di titoli come L’imbalsamatore (2002), Primo amore (2004) o come il più recente Dogman (2018). Se da un lato si può parlare di maturità registica, dall’altro sembra esserci una sorta di passo indietro nei confronti della storia, quasi un voler limitare la propria “aura”, quella di uno dei più grandi autori viventi. L’opera è tuttavia scevra da ogni tentativo didattico o predicatorio, lasciando ampio respiro allo scorrere degli eventi visti e vissuti dal punto di vista dei protagonisti, scelta quanto mai necessaria per sfuggire agli sterili resoconti televisivi che privilegiano numeri e dati. 

Che possa essere la carta vincente dell’Italia ai prossimi premi Oscar?

 


Io Capitano
cast cast & credits
 




La locandina
 
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