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Cosa resta di uno sguardo?

di Viola Niccoli*
  L'homme d'argile
Data di pubblicazione su web 11/09/2023  

L’espressione “uomo d’argilla” può richiamare alla mente molte immagini. Un uomo paralizzato e incapace di agire, paragonabile alla nubile lavandaia Maria del racconto Clay di James Joyce, in cui l’argilla è segno di morte. Oppure, al contrario, si può pensare all’origine dell’umanità: al Signore che plasma la creta e, con un soffio, dona la vita all’uomo; e lo stesso accade con Prometeo e con il Golem ebraico.

Il primo lungometraggio di Anaïs Tellenne – presentato all’80Ş Mostra del cinema di Venezia nella sezione Orizzonti Extra – sviluppa un proprio “uomo d’argilla” partendo dalla seguente questione: «Un’opera d’arte nasce dallo sguardo di un artista sul suo soggetto. Ma cosa accade al soggetto? Cosa resta di questo sguardo? Il mio film racconta una storia che i musei e le gallerie non raccontano. Un segreto tra Raphaël e il pubblico».

Raphaël (Raphaël Thiéry) è un uomo sulla sessantina, con una fisionomia corpulenta e una benda sull’occhio. Vive con sua madre ed è il custode di una villa impolverata in cui ormai non abita più nessuno. La sua vita scorre quieta fino a quando, n una notte di pioggia, arriva una donna. È l’artista contemporanea Garance Chaptel (Emmanuelle Devos), che ricoprirà la villa di una nuova polvere: quella dell’argilla.


Una scena del film

Interprete e personaggio si sovrappongono. L’attore Thiery è affetto da una malattia rara alle cornee che all’età di dieci anni gli ha fatto perdere la vista da un occhio. Egli afferma che, nel far fronte a questo handicap, ha pensato di rendere la sua disabilità un’alleata. Non funzionando la vista si è concentrato su un altro senso: l’udito. La sua emancipazione è avvenuta attraverso la passione per la cornamusa e la musica tradizionale.

Sembra la stessa storia di Raphaël, al quale però manca un ultimo tassello per raggiungere quella stessa emancipazione: l’amore, per Garance e per sé stesso. Garance nella figura di Raphaël vede una musa: «Mi ispiri come un paesaggio mutevole, irregolare, un canyon: imprevedibile e impreciso». È la sua prossima opera d’arte. Una scultura d’argilla a dimensioni naturali di un uomo seduto, con un braccio appoggiato sul ginocchio a sostegno del volto; sembra un pensatore ma è qualcosa di più: è un sognatore.


Una scena del film

Raphaël accetta di posare per Garance, e la messa a nudo del corpo va di pari passo con la messa a nudo dei sentimenti. Fino ad arrivare a un magico amplesso che non è solo sesso ma è – in senso etimologico – un “abbraccio” tra i due corpi, un coinvolgimento, un’inclusione, un’unione totale tra opera e artista (e spettatore). Come in Možnosti dialogu di Jan Švankmajer, i due amanti si modellano a vicenda nella creta fino a plasmarsi in una cosa sola.

Per Raphaël la trasformazione nell’“uomo d’argilla” è una rinascita. È la conquista di sé. È la scoperta che il suo corpo atipico non deve necessariamente essere mostruoso, anzi può essere bello. Dopotutto questo è l’amore: quando qualcuno ti rivela a te stesso. Lo sguardo di Garance – così diverso dagli sguardi giudicanti e meschini delle altre persone – rivela a Raphaël ciò che il suo corpo realmente è: pura arte, che suscita piacere alla contemplazione. Ecco cosa resta di uno sguardo.


*Vincitrice Premio Carabba 2023



L'homme d'argile
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