Antonín
Dvořák
(1841-1904) dedicò unattenzione costante nella sua carriera al teatro
musicale. Di lui si conoscono dieci opere, composte tra il 1870 e il 1904, anno
della sua morte. La sua attività di operista fu parallela a quella di
compositore di sinfonie, nove in tutto, ma in questo ambito la sua fama è
incommensurabilmente maggiore, legata soprattutto al successo immediato e
duraturo dellultima, la Sinfonia “dal
Nuovo mondo” (1893), divenuta uno dei capisaldi nel repertorio delle grandi
orchestre. Scritte pressoché tutte per il Teatro Nazionale di Praga (quello
della comunità di lingua ceca), le opere di Dvořák rispondono a un programma di
costruzione dellidentità nazionale boema attraverso la musica e il teatro, un
tentativo di conquistare, almeno dentro i confini, uno spazio di affermazione
contro legemonia delle tradizioni operistiche italiana, francese e in
particolare tedesca, allepoca dominanti.
Dvořák
scrisse opere comiche e serie, tutte per lo più tratte dalla letteratura o
dalla storia nazionale, tranne nel caso delle sue ultime creazioni, Rusalka (1901) e Armida (1904), ispirate da testi della letteratura europea di ampia
circolazione ma non in lingua ceca. Non è un caso che sia proprio una delle
ultime due, Rusalka, lunica che fuor
di patria abbia conosciuto ampia circolazione, e sia divenuta poi dalla caduta
dellimpero sovietico parte del repertorio dei teatri lirici a livello
internazionale. Non però in Italia. Questa della Scala è la prima
rappresentazione di Rusalka nel
teatro milanese, ed è stata finora preceduta da poche produzioni nei teatri
della penisola: al Teatro Regio di Torino nel 2007, al San Carlo di Napoli nel
2013 e allOpera di Roma 2014 – questultima fu però una sostituzione di titolo
in extremis per salvare
linaugurazione di una delle stagioni più problematiche del teatro.
Rusalka si basa su alcuni
recenti classici della letteratura ottocentesca, che a loro volta traggono
materia da miti, leggende, poemi diffusi un po in tutte le tradizioni letterarie.
Si tratta della Sirenetta di Hans Christian Andersen, di Undine di Friedrich de la Motte Fouqué e della Campana sommersa di Gerhart
Hauptmann. La storia è quella di una ninfa delle acque (in ceco “rusalka”,
appunto) che per amore di un principe umano chiede
e ottiene dalla strega Ježibaba di cambiare natura e diventare donna, desiderio
esaudito a patto della rinuncia alla sua voce. Lidillio ha vita breve, perché
il principe si lascerà poi sedurre da una principessa straniera, e dopo varie
vicissitudini, lopera si conclude con la morte di lui che, pentito, spira tra
le braccia di Rusalka dopo un ultimo bacio appassionato. 
Un momento dello spettacolo © Brescia e Amisano Teatro alla Scala
Lopera
di Dvořák è un concentrato delle novità teatral-musicali del momento. Dal teatro
di Wagner prende la stoffa fiabesca, la tecnica del leitmotiv e una miriade di spunti che in alcuni casi sfociano nella
citazione se non addirittura nella parodia. Per esempio allinizio del primo
atto, con le ninfe dei boschi che sono tre (soprani) come le figlie del Reno,
alle quali si aggiunge lo spirito delle acque Ondin (basso), che, come Alberich
nellOro del Reno, tenta sì di
afferrarle, ma, diversamente da lui, lo fa con «affabile galanteria», come
recita il libretto; o anche nel secondo atto, con la principessa straniera che
si pone contro Rusalka e il principe come già Ortrud nel Lohengrin, e così via. Dallopera italiana Rusalka prende la condotta melodica e luso dei numeri chiusi,
legati al continuum musicale, ma
sempre ben identificati; da quella francese il ricorso frequente al divertissement. Il tutto condito a
dovere da costanti riferimenti alla tradizione boema, dalla quale Dvořák trae
numerose suggestioni “popolari”, che ancorano lopera nella cultura nazionale,
così come si verifica anche nella sua musica strumentale. Ad ogni modo, loperazione
è riuscita in modo estremamente felice: Rusalka
si distingue per una fortuna sconosciuta alle altre opere dellautore, fortuna
che negli ultimi decenni è cresciuta in modo considerevole.
Per
la sua prima Rusalka la Scala ha
richiamato alla regia Emma Dante.
Sono passati circa quindici anni dal debutto burrascoso di Dante nel teatro
milanese – e alla regia dopera. La sua Carmen
del dicembre del 2009, sebbene riproposta in altre stagioni, era stata accolta
piuttosto male dal loggione, si presume infastidito dalla lettura anticlericale
che la regista aveva fatto dellopera di Bizet – il pubblico della Scala
è famosamente restio a entrare in sintonia col Regietheater quando si tratta di opere di repertorio. Rusalka però è unopera diversa da Carmen. Qui Dante si concentra sulla
fiaba. E la racconta benissimo, ricorrendo allimmaginario della fiaba di oggi,
inevitabilmente mediato dai film di animazione di Walt Disney e da
quelli di Hollywood in generale, senza tuttavia rinunciare a qualche artigliata
interpretativa. Dai cartoni animati derivano costumi, macchine e invenzioni che
rendono la scena un susseguirsi di meraviglie.

Un momento dello spettacolo © Brescia e Amisano Teatro alla Scala Come
richiede il libretto, al centro del palco cè un vero e proprio laghetto, in
cui personaggi e comparse entrano ed escono costantemente; Rusalka ha un corpo
anfibio, per metà fanciulla e per metà creatura marina, con una selva di
tentacoli al posto delle gambe (costumi fantasiosi e coloratissimi di Vanessa Sannino); il bosco è una
immensa parete di fogliame fitto, che si anima allimprovviso per la presenza
di comparse fino a quel punto perfettamente mimetizzate con grande sorpresa del
pubblico (scene di Carmine Marincola);
Ježibaba è la summa di tante
“cattive” della tradizione disneyana, dalla strega di Biancaneve, alla fata Carabosse della Bella addormentata, alla Ursula della Sirenetta. È poi evidente la citazione dai film di Esther
Williams nella scena del primo atto con Ježibaba, accompagnata da un
seguito di ondine in costume e cuffia olimpionica, i cui movimenti richiamano
quelli della celebre nuotatrice americana degli anni Cinquanta.
Il
tutto è una lettura divertita, divertente e allo stesso tempo appassionata
della storia. Non priva però di risvolti inquietanti, come del resto sempre
nelle fiabe. La trasformazione da ninfa a donna è per Rusalka un passaggio
traumatico – la protagonista è assalita da un gruppo di elfi che le strappano
dal corpo i tentacoli con violenza. Gi stessi tentacoli ricompariranno poi nel
banchetto offerto dal principe durante la festa del secondo atto, divorati con
avidità e financo ferocia da ospiti maligni, a metà tra i robot e le muse
inquietanti di De Chirico. Insomma, la psicanalisi non è un elemento
prominente della lettura di Dante, certo però è sempre pronto a spuntare da
dietro langolo. 
Un momento dello spettacolo © Brescia e Amisano Teatro alla Scala
La
partitura di Dvořák si caratterizza per varietà di elementi e stili, ma anche
da una scrittura orchestrale ricca sia dal punto di vista timbrico sia per lo
spessore contrappuntistico – emerge chiaramente in questo lallievo di Johannes
Brahms. Tomáš Hanus (direzione)
ha tempi perfetti, magistralmente coordinati allo spettacolo di Dante. I timbri
e i colori sono “carichi” come quelli di un libro (musicale) di fiabe. Nei
volumi, tuttavia, Hanus esagera con la ricchezza, perché qui e là lorchestra
copre le voci (complice lacustica problematica della Scala). Con lui esagerano
anche gli ottoni, che per tutto il primo atto non ci hanno risparmiato
sbavature negli attacchi e nellintonazione (i corni!), risolte per fortuna dal
secondo atto in poi.
Il
cast tutto di ottimo livello è nel complesso forse uno dei migliori degli
ultimi anni, nonostante in Rusalka ci
siano molti personaggi. Olga Bezsmertna
(Rusalka) ha una voce generosa, particolarmente nella metà alta; soffre nei
centri e nei gravi (e Rusalka ne ha), ma compensa con acuti sicuri dal timbro
dolce e luminoso che riempiono la sala. Dmitry
Korchak (il principe), già ascoltato nel repertorio primo-ottocentesco, è una
sorpresa in questo ruolo gentilmente eroico, così intenso e squillante. Dopo
lincursione sopranile con Brünnhilde nella Walküre
al San Carlo due mesi fa, Okka von
der Damerau (Ježibaba) ritorna qui mezzosoprano. La facilità nei due
estremi del registro le permettono di dominare la parte senza sforzi o eccessi,
e di cantare e recitare in modo misurato come spesso in questo ruolo non capita
di sentire – è in genere risolto con tante gigionerie. Molto bene Elena Guseva (la principessa
straniera); bene anche Jongmin Park
(Vodník, lo spirito delle acque), dalla voce potente anche se un filo intubata
in alto. Ottimi, senza distinzione, tutti i ruoli di fianco, ma una menzione
speciale va a Jiři Rajniš (il guardiacaccia)
e a Svetlina Stoyanova (lo sguattero).
Stranamente
per il mese di giugno, in un giorno feriale e caldissimo, e per un titolo in
Italia non corrente, la sera del 19 giugno la Scala era gremita. Il successo è
stato grande. Si legge che Dante ha ottenuto molti applausi anche alla prima:
pace fatta con la Scala, dunque. Sarà questo linizio di nuove (auspicabili)
collaborazioni?
|
 |