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Il trionfo della parola in Poppea

di Paolo Gallarati
  L'incoronazione di Poppea
Data di pubblicazione su web 28/06/2023  

È una grande lezione di stile quella che Pier Luigi Pizzi, neovincitore del Premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei, impartisce nell’Incoronazione di Poppea, allestita a Cremona per il Monteverdi Festival e destinata in autunno ai teatri di Como, Pavia, Pisa e Ravenna. Attraverso un lavoro di severa spoliazione, il regista, scenografo e costumista riporta il teatro alla sua essenza: il rapporto diretto, senza mediazioni, tra l’attore e il pubblico. La scena unica è spoglia: due colonne di marmo grigio con capitelli dorati alludono al mondo classico; un albero ramificato e scheletrito alla realtà, irta e tortuosa, della corte di Nerone; una grossa sfera dorata appoggiata sul pavimento e un letto da triclinio completano gli arredi. Tutto è incentrato sull’azione dei cantanti-attori e sulla forza espressiva dei costumi, sovente degradati, nelle regie attuali, ad accessori intercambiabili, ed assunti invece da Pizzi come espressione diretta e necessaria dei personaggi e dei loro caratteri.

 

Le tre donne sono tutte in lunghi abiti bianchi: ma i panneggi le distinguono. Quello vaporoso di Poppea, in crêpe satin con morbido strascico, è un continuo movimento di linee, ora avvolgenti, languidamente abbandonate, oppure roteanti e capricciose. Drusilla e Damigella sono in jersey di seta, anch’esso bianco, ma il loro panneggio è diverso: mosso per rendere la femminilità accesa, ma ancora riservata, della prima; lineare e sobrio, quasi monacale, per la giovinezza acerba della seconda. La dolente e rabbiosa Ottavia, imperatrice ripudiata da Nerone, è vestita di organza nera, a velare un tessuto paillettato d’argento: il colore del lutto è il suo dolore, il luccichio attutito l’immagine della pompa imperiale, ormai spenta. Ed ecco Nerone, vivace, impetuoso, lascivo e talvolta isterico, come Monteverdi lo ritrae; ha pantaloni di pelle nera e una cappa in tessuto sdrucito di seta rossa, icona del potere, dell’eros e del sangue; mentre le trame di fili d’oro significano fasto e ricchezza.



Una scena dello spettacolo
© Giampaolo Guarneri


E poi ci sono gli altri, a comporre l’immagine d’un microcosmo umano reso vitale dall’onnipotente fantasia di Monteverdi e dall’abilità letteraria di Giovanni Francesco Busenello, autore di uno dei più bei libretti della storia dell’opera: Seneca, filosofo, in tunica rosso mattone, calvo e barbuto; il valletto, guizzante e volatile nel suo abitino rosso fuoco; la confidente Arnalta e la Nutrice, entrambe in un acceso color viola che s’accorda benissimo sia col buon senso ammonitore della prima, sia con la grottesca comicità della seconda.

 

Non ci sono dunque costumi storici, ispirati alla Roma antica e neppure, se Dio vuole, abiti tratti dalla banalità prosaica della nostra vita quotidiana: sono vestiti perfettamente consoni al gusto attuale ma in sintonia con lo stile seicentesco della musica, immagini di un mondo senza tempo, dove ciò che conta è la concretezza dei caratteri, la loro qualità corporea e il loro destino.



Una scena dello spettacolo
© Giampaolo Guarneri

 

Tutto ciò prende vita grazie a una recitazione dettagliatissima, rifinita in gesti e movimenti modellati sul canto di Monteverdi e sulla sua capacità di scolpire personaggi caravaggeschi, visceralmente intrisi di realtà e identificati ciascuno da uno stile proprio in una straordinaria unità di visione; prova, secondo me, inconfutabile della paternità monteverdiana dell’opera, messa in dubbio da alcuni studiosi. È questa unità che la regia di Pizzi e l’ottima direzione di Antonio Greco, alla guida del gruppo orchestrale Monteverdi Festival/Cremona antiqua, esaltano al massimo grado sino al duetto finale, che fu tratto da un’opera di Benedetto Ferrari, ma ci sta benissimo come apoteosi d’un onnipresente erotismo, che Pizzi realizza con eleganza, grazie a una cantante bravissima e assai bella come Roberta Mameli, consapevole che, sino a Carmen e Lulu, il teatro d’opera non conoscerà più una figura così esplicitamente sensuale come Poppea. L’erotismo non è volgare pornografia: è una grande avventura emozionale che viene giocata in questo spettacolo con disvelamenti fugaci, poesia della promessa e del segreto, delicatezza costante di gesti e di allusioni.



Una scena dello spettacolo
© Giampaolo Guarneri


Accanto alla protagonista, il concorso degli altri cantanti non poteva essere migliore: il magnifico sopranista Federico Florio nella parte di Nerone, il controtenore Enrico Torre in quella di Ottone, Josè Maria Lo Monaco come Ottavia e Federico Domenico Sacchi in quella di Seneca hanno capito, insieme a Chiara Nicastro (Drusilla), Luigi Morassi (Lucano) e agli altri, che la messa in evidenza della parola è il perno su cui ruota tutto questo capolavoro, reso in un allestimento insieme fedele e inventato: nel che consiste la vera vita dell’opera, se la si vuole trasmettere con efficacia al pubblico d’oggi.



L'incoronazione di Poppea



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Una scena dello spettacolo
© Giampaolo Guarneri



 
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