È una grande
lezione di stile quella che Pier Luigi Pizzi, neovincitore del Premio Feltrinelli
dellAccademia dei Lincei, impartisce nellIncoronazione di Poppea, allestita a Cremona per il Monteverdi
Festival e destinata in autunno ai teatri di Como, Pavia, Pisa e Ravenna.
Attraverso un lavoro di severa spoliazione, il regista, scenografo e costumista
riporta il teatro alla sua essenza: il rapporto diretto, senza mediazioni, tra
lattore e il pubblico. La scena unica è spoglia: due colonne di marmo grigio
con capitelli dorati alludono al mondo classico; un albero ramificato e
scheletrito alla realtà, irta e tortuosa, della corte di Nerone; una grossa
sfera dorata appoggiata sul pavimento e un letto da triclinio completano gli
arredi. Tutto è incentrato sullazione dei cantanti-attori e sulla forza
espressiva dei costumi, sovente degradati, nelle regie attuali, ad accessori
intercambiabili, ed assunti invece da Pizzi come espressione diretta e necessaria
dei personaggi e dei loro caratteri.
Le tre donne sono tutte in lunghi
abiti bianchi: ma i panneggi le distinguono. Quello vaporoso di Poppea, in crêpe satin con morbido strascico, è un
continuo movimento di linee, ora avvolgenti, languidamente abbandonate, oppure
roteanti e capricciose. Drusilla e Damigella sono in jersey di seta, anchesso bianco, ma il loro panneggio è diverso:
mosso per rendere la femminilità accesa, ma ancora riservata, della prima;
lineare e sobrio, quasi monacale, per la giovinezza acerba della seconda. La
dolente e rabbiosa Ottavia, imperatrice ripudiata da Nerone, è vestita di
organza nera, a velare un tessuto paillettato dargento: il colore del lutto è
il suo dolore, il luccichio attutito limmagine della pompa imperiale, ormai
spenta. Ed ecco Nerone, vivace, impetuoso, lascivo e talvolta isterico, come Monteverdi
lo ritrae; ha pantaloni di pelle nera e una cappa in tessuto sdrucito di seta rossa, icona del potere, delleros e del
sangue; mentre le trame di fili doro significano fasto e ricchezza.
Una scena dello spettacolo © Giampaolo Guarneri
E poi ci sono gli altri, a comporre
limmagine dun microcosmo umano reso vitale dallonnipotente fantasia di
Monteverdi e dallabilità letteraria di Giovanni Francesco Busenello, autore di
uno dei più bei libretti della storia dellopera: Seneca, filosofo, in tunica
rosso mattone, calvo e barbuto; il valletto, guizzante e volatile nel suo
abitino rosso fuoco; la confidente Arnalta e la Nutrice, entrambe in un acceso
color viola che saccorda benissimo sia col buon senso ammonitore della prima,
sia con la grottesca comicità della seconda.
Non ci sono dunque costumi storici,
ispirati alla Roma antica e neppure, se Dio vuole, abiti tratti dalla banalità
prosaica della nostra vita quotidiana: sono vestiti perfettamente consoni al gusto
attuale ma in sintonia con lo stile seicentesco della musica, immagini di un
mondo senza tempo, dove ciò che conta è la concretezza dei caratteri, la loro
qualità corporea e il loro destino.
Una scena dello spettacolo © Giampaolo Guarneri
Tutto ciò prende vita grazie a una
recitazione dettagliatissima, rifinita in gesti e movimenti modellati sul canto
di Monteverdi e sulla sua capacità di scolpire personaggi caravaggeschi,
visceralmente intrisi di realtà e identificati ciascuno da uno stile proprio in
una straordinaria unità di visione; prova, secondo me, inconfutabile della
paternità monteverdiana dellopera, messa in dubbio da alcuni studiosi. È questa
unità che la regia di Pizzi e lottima direzione di Antonio Greco, alla guida
del gruppo orchestrale Monteverdi Festival/Cremona antiqua, esaltano
al massimo grado sino al duetto finale, che fu tratto da unopera di Benedetto Ferrari, ma ci sta benissimo come apoteosi
dun onnipresente erotismo, che Pizzi realizza con eleganza, grazie a una cantante bravissima e assai bella come Roberta
Mameli, consapevole che, sino a Carmen e Lulu, il teatro dopera non conoscerà
più una figura così esplicitamente sensuale come Poppea. Lerotismo non è
volgare pornografia: è una grande avventura emozionale che viene giocata in
questo spettacolo con disvelamenti fugaci, poesia della promessa e del segreto,
delicatezza costante di gesti e di allusioni.
Una scena dello spettacolo © Giampaolo Guarneri
Accanto alla protagonista, il
concorso degli altri cantanti non poteva essere migliore: il magnifico sopranista
Federico Florio nella parte di Nerone, il controtenore Enrico Torre in quella
di Ottone, Josè Maria Lo Monaco come Ottavia e Federico Domenico Sacchi in
quella di Seneca hanno capito, insieme a Chiara Nicastro (Drusilla), Luigi
Morassi (Lucano) e agli altri, che la messa in evidenza della parola è il perno
su cui ruota tutto questo capolavoro, reso in un allestimento insieme fedele e
inventato: nel che consiste la vera vita dellopera, se
la si vuole trasmettere con efficacia al pubblico doggi.
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