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«La risata final» del Falstaff

di Isabella Rossi
  Falstaff
Data di pubblicazione su web 27/06/2023  

L’85° Festival del Maggio Musicale Fiorentino, così come la carriera melodrammatica di Giuseppe Verdi, conclude la sua sezione operistica con il Falstaff. Con la replica pomeridiana del 23 giugno (preceduta dalle rappresentazioni del 16, 19 e 21), Daniele Gatti presenta al pubblico fiorentino un melodramma caro alla città, messo in scena più volte nel corso degli anni (l’ultima nel novembre 2021). La scelta di recuperare l’opera del «Re delle pance» in realtà è stata un ripiego, a causa dell’impossibilità di rappresentare i Meistersinger di Wagner per esigenze economiche. I problemi in cui versa il Maggio sono ben conosciuti dal pubblico, che viene sensibilizzato a inizio spettacolo: la pomeridiana comincia con il silenzio dell’orchestra e il sipario aperto su una sedia dove sono appoggiati un violoncello e una rosa, per rammentare lo stato attuale delle maestranze; l’appello viene accolto da un lungo applauso del pubblico, che ha ben compreso il rischio di perdere uno “scrigno” così importante per la musica.

Stefania Grazioli recupera la regia di Sven-Eric Bechtolf, dove musica e drammaturgia sono fedeli all’idea verdiana, attraverso un allestimento tradizionale. L’ensemble corale è completamente rinnovato rispetto all’esperienza del 2021, incluso il protagonista Falstaff, interpretato da un immenso Michael Volle. Le scenografie in legno traforato di Julian Crouch sono semplici e piuttosto disadorne: ci pensano le luci di Alex Brok (riprese da Valerio Tiberi) a rendere il tutto più apprezzabile, attraverso le proiezioni di arzigogoli e insegne. I costumi disegnati da Kevin Pollard si intonano bene con la scena (particolarmente sgargianti quelli dei protagonisti). Grazie ai video di Josh Higgason si avverte il passare del tempo, in particolare nel terzo atto quando il Tamigi, solcato dalle piccole imbarcazioni illuminate, si fa sempre più scuro per l’imbrunire.


Una scena dello spettacolo
© Michele Monasta

La resa generale è piacevole. Due sono gli elementi più costanti sul palcoscenico: il barile, che richiama non solo la ben conosciuta passione per il vino del protagonista, ma anche la locandina dell’opera (uguale a quella del 2021, caratterizzata da un barile cinto da due mani); e il vaso di fiori preparato nel primo atto da Mastro Ford (interpretato da Markus Werba), che di volta in volta passa nelle mani dei personaggi (da Pistola di Tigran Martirossian a Falstaff, che a suo volta lo dona ad Alice), come un fil rouge tra i due gruppi. Un espediente scenico ricorrente è il “fermo immagine” degli interpreti, che si bloccano in posizioni plastiche, creando un’alternanza semplice ma efficace tra i gruppi, in particolare nel primo atto dove le donne si “contrappongono” agli uomini, come in un dittico. Anche l’uso di alberi mobili e delle luci convoglia l’attenzione ora su un gruppo, ora sull’altro, in particolare nella scena di tenerezza tra Felton e Nannetta, che risulta isolata da tutti.


Una scena dello spettacolo
© Michele Monasta

Sicuramente i ruoli maschili sono più accattivanti rispetto a quelli femminili: Werba-Ford si ammira in particolar modo nel suo passo tragi-comico «È sogno? O realtà?»; il duo Bardolfo-Pistola (interpretati rispettivamente da Oronzo D’Urso e Martirossian) conquista, in particolare il primo interprete per le sue movenze sul palco; Matthew Swensen, nel ruolo di Fenton, spicca all’inizio del terzo atto. Tuttavia nessuno di questi riesce a scalzare la bravura di Volle: un Falstaff vivace, mimico, che gioca con gli altri interpreti e lo stesso pubblico. Amante con Alice, tronfio con i due seguaci, accaldato e gemente dentro la cesta del bucato, amareggiato e sofferente all’inizio del terzo atto – mentre sputa l’acqua del Tamigi sul palco, crea un Falstaff a tutto tondo, dove i chiaroscuri del personaggio sono messi in risalto in ogni loro sfaccettatura.


Una scena dello spettacolo
© Michele Monasta

Per quanto riguarda le voci femminili, Alice Ford di Irina Lungu rimane in secondo piano, a eccezione di alcuni momenti topici nel secondo e nel terzo atto; la Meg di Claudia Huckle si percepisce poco; Adriana Di Paola (Mrs. Quickly) è insieme a Bardolfo e Falstaff il personaggio maggiormente umoristico ed è stata apprezzata dal pubblico per la sua espressività e giocosità negli eccessivi «Reverenza». Rosalia Cid, la più giovane delle interpreti, cresciuta al Maggio, si mette in risalto non tanto come Nannetta quanto come Regina delle Fate nell’atto finale. Tutte e quattro, buone nella gestualità, sono quanto mai apprezzabili nelle fughe buffe con gli altri interpreti.


Una scena dello spettacolo
© Michele Monasta

La scena finale, con l’ottimo coro di Lorenzo Fratini, è un tripudio di colori e massa scenica, grazie al prolungamento laterale del palco, che abbraccia la platea come a renderla essa stessa protagonista. Il finale, con luci accese in sala, proietta i versi finali «Tutto è burla» sullo stesso pubblico, lasciando un’irresistibile tono scanzonato ma allo stesso tempo agrodolce. La sala, quasi piena, applaude con generosità gli interpreti, l’orchestra del Maggio (da lodare i fiati) e in particolare la direzione di Gatti, che ha posto in risalto non tanto la comicità dell’opera quanto le sue melodie tragiche, grazie anche alla bravura di Volle.



Falstaff



cast cast & credits
 
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Una scena dello spettacolo
© Michele Monasta
 
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