Una performance energica e
toccante giunge, in prima italiana, alla Biennale Teatro di Venezia, portando
in primo piano le tematiche della perdita e dellinsensatezza dinnanzi alle
morti degli innocenti, collegandole alla figura materna. Si tratta di Milk del regista palestinese Bashar Murkus, fondatore del Khashabi
Ensemble – Palestine che a Haifa in Israele agisce, insieme ad altri
artisti indipendenti, per tutelare le radici culturali della sua gente e
opporsi alle censure politiche nei territori occupati. Si tratta di uno
spettacolo “senza parole” che intende evitare la gabbia del linguaggio
retorico, tanto più quando si fa riferimento al dramma di una popolazione
oppressa, e che esalta limpatto dellespressività mimica dentro a uno spazio
scenico attivo. Un momento di Milk © Andrea Avezzù
Sul palco del Teatro alle Tese
allArsenale avanzano cinque donne dal fisico dimesso che stringono fra le
braccia fantocci maschili; latto di offrire il seno alle parvenze degli
affetti perduti per sempre fa sgorgare dalle mammelle nude rivoli di latte, che
insieme alle lacrime scivolano in basso lungo un cumulo stratificato di lastre
scure. I loro movimenti e i loro sguardi disegnano nello spazio circostante la
scia di un dolore arcaico senza fine e palesano, a un tempo, lo smarrimento
dinanzi a un tappeto di manichini-cadaveri che sterilizza lidea stessa di
maternità.
Entra in scena una sesta donna
incinta, che proietta lenorme ventre verso lazione di una nascita imminente;
il parto materializza un giovane uomo che resta unito a lei da un lungo cordone
ombelicale. Il quadro muto accentua la tragicità del legame tra la donna e la
sua creatura, tanto da animare una danza turbinosa sotto gli scrosci di una
pioggia purificatrice. Il terreno è intriso di acqua e di latte, ma ben presto
la danza rituale delle madri si colora di rosso-sangue: si moltiplica, allora,
un vorticoso reticolo di corpi avvinghiati nel tentativo di esorcizzare,
persino con il sorriso, lo strappo mortale, un intreccio che talvolta compone
la citazione pittorica della deposizione dalla croce. Il corpo del nuovo nato
precipita nel vortice dellatto sacrificale, trasferendo così la
rappresentazione nella dimensione di una catastrofe infinita e universale.
Notevole la prova di Salwa Nakkara, Reem Talhami, Shaden
Kanboura, Samaa Wakim, Firielle Al Jubeh, Samera Kadry, Eddie Dow,
sette attori che hanno sostenuto una prova impegnativa sul piano espressivo e
su quello fisico. Un momento di La Plaza © Andrea Avezzù
La
Plaza è lo spettacolo graffiante e polemico
presentato alle Tese dei Soppalchi da El Conde de Torrefiel, il gruppo guidato
da Tanya Beyeler e Pablo Gisbert che predilige creare
allestimenti “plastici”, contrassegnati da coreografie evocative con cui
affermare unidea astratta della teatralità: «il teatro del futuro consisterà
in rappresentazioni del nulla, in silenzio e senza alcuna presenza umana sul
palco», affermano. Quando si apre il sipario, gli spettatori scorgono un
tappeto di fiori e di candele, mentre sullo schermo iniziano a scorrere parole
riflessive che sottolineano la vacuità di una scena replicabile allinfinito in
tutti i teatri del mondo per ogni giorno dellanno.
Le frasi insistono in modo
martellante sullinutilità dellazione rappresentativa che, alla fine, si
rivela una perdita di tempo nellambito di uno spazio privo di senso, tanto da
insistere piuttosto sulluscita dalla sala per incontrare finalmente la
complessità politica di una società dal destino imprevedibile. Nella seconda
parte la piazza esterna è abitata da figure senza volto e con vestiti
variopinti, da donne velate, mendicanti e giovani saltellanti; in silenzio le
sagome entrano e escono senza incertezze, sebbene le scritte che si susseguono
incalzanti dipingano lo slittamento verso un continuo conflitto civile, segnato
da paure oscure e reazioni incontrollate.
Un guizzo di umanità è offerto
dallingresso del cadavere di una donna nuda, sottoposta sopra una barella
allesame passivo dei familiari e, ancor più, alle fredde riprese di una troupe
televisiva; le frasi dichiarano, intanto, la contraddizione di fronte alla
morte che non solo invade le fantasie erotiche delle persone, ma annulla anche
ogni prospettiva positiva sul futuro. Un momento di Anima © Christophe Raynaud De Lage
Un riferimento positivo merita Anima, limpegnativa installazione a
cielo aperto ospitata presso il Parco Albanese alla Bissuola di Mestre che
nasce dalla collaborazione tra lartista Noémie
Goudal e la regista Maëlle Poésy.
Di fronte alle insidie dei cambiamenti profondi che si osservano sul nostro
pianeta sinvitano le persone a tenere conto della storia dei grandi cicli
climatici, ambito su cui si concentra la ricerca scientifica e performativa
delle due protagoniste. La performance descrive su tre grandi schermi il farsi
e disfarsi dei modelli naturali, in una sorta dinterazione fra la lenta e
inesorabile trasformazione della terra e la brevità della vita umana;
lindividuo appare sospeso sullabisso del tempo, come lacrobata Chloé Moglia che volteggia
pericolosamente nel vuoto di uno spazio in continua metamorfosi.
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