Tra le iniziative promosse dalla Biennale di Venezia e
destinate alle nuove creatività in campo artistico il settore teatrale ha visto
la realizzazione di due testi drammatici premiati negli scorsi anni. Nello
spazio delle Tese dei Soppalchi allArsenale è andato in scena Cuspidi
di Valerio Leoni, vincitore del bando Biennale College Teatro Registi under 35
per il biennio 2022/2023. Lautore immagina un panorama irreale in grado di
accogliere un viaggio alle radici delle emozioni, ricorrendo a una traccia
anti-realistica sia nella scrittura, sia nellallestimento scenico. In uno
spazio neutro, percorso da tagli di luci e da cornici mobili, tre personaggi A,
B e C si rialzano, uscendo da uno stadio di
sonnolenza, disposti a guadagnare uno spazio autonomo. Un momento dello spettacolo Cuspidi © Andrea Avezzù
Le loro apparenze sono già definite in una forma
fissa: il prototipo di A, interpretato da Sofia Guidi, è Urla che «contiene in
sé i concetti di malessere, la difficoltà nello stare al mondo, la confusione
espressiva»; B, recitato da Sara Giannelli, è Polvere che «mantiene il proprio
sguardo rivolto al passato, restando disunito»; C, affidato a Jacopo Provenzano,
è Scatole che «fa della classificazione e dellorganizzazione la sua arma per
difendersi dalla caoticità del mondo».
Una volta oltrepassata la barriera che sembra averli
generati ciascuno sviluppa un cammino soggettivo, ben distinto per sonorità e
immaginazione; gli slanci fisici sfiorano la catastrofe e si sovrappongono a
enunciazioni fluide, simili a frasi in libertà, quasi una pista verbale che
richiama il precipitare nel nonsense. Sugli schermi-fondale, che sono definite
come singole configurazioni scenografiche, si susseguono immagini vorticose,
disegnate da un turbinio di segni astratti. Le tre figure, intanto, giocano con
i travestimenti e i mascheramenti, che sembrano alludere allambito del
fumetto, anche per la ripetizione di frasi frammentate alla stregua delle
strisce nei comic. Un momento dello spettacolo Cuspidi © Andrea Avezzù
Non solo: le movenze disperate dei protagonisti svela lo
stato alienato di esseri che precipitano nel baratro di unesistenza annullata;
savverte, forse, un disagio auto-indotto, una violenza auto-inflitta, una
rincorsa distruttiva a raggiungere la perdita di sé. Infine, il turbinio delle
sensazioni dissociate si risolve nel salto inverso dentro la nicchia
archetipica iniziale: sullo sfondo si accendono le luci della speranza verso le
quali A, B e C si avviano, quasi in un passaggio cosmico da «incontri
ravvicinati». I tre interpreti si sono impegnati a rendere visivamente un
lavoro che sconfina nei territori del concettuale. La regia insiste nel
progetto di dare visibilità alla complessità della scrittura.
Laltra nuova proposta del 51° Festival Internazionale del
Teatro della Biennale è stata Veronica di Giacomo Garaffoni, lavoro
vincitore del Bando Biennale College Teatro Drammaturgia under 40 (2021-2022),
messo in scena in prima assoluta dalla valente Federica Rosellini al Teatro
Piccolo Arsenale. Il testo, che presenta una struttura da tragedia classica con
un prologo, un parodo, due stasimi e un epilogo, richiama le atmosfere
misteriche de Le vergini suicide, romanzo di Jeffrey Eugenides (1993),
evocando lintreccio del mito orfico e coniugandolo con lesperimento magico
della rinascita di Veronica, la «vera icona» che reca impresse in sé i
contrassegni del sacrificio di chi ha oltrepassato le soglie della morte. Un momento dello spettacolo Veronica © Andrea Avezzù
Garaffoni insiste sullatto di risuscitare il corpo dalle
ceneri sotto forma di un suono atavico che tende a possedere la consistenza
della carnalità, prima di tradursi nella persistenza del soffio vitale. Cinque
figure trapassano la matrice matriarcale per esorcizzare la materialità del
congiungimento sessuale e per rincorrere uno stato di purezza assoluta. Nello
stesso tempo lambientazione annulla ogni sacralità per dissolversi in un
asettico luogo da concerto, fatto di consolle musicali, macchinari acustici,
microfoni e computer, mentre lesposizione è affidata soltanto alle voci
narranti.
La regia di Rosellini accentua la dimensione androgena dellesperimento
liturgico, che risulta al pari di un rito che si dissolve in gesti impropri,
persino vacui, e che si lascia intravedere nella penombra di un ambiente
irreale e inafferrabile. Tutto si risolve nel gioco delle evocazioni di quelle
ombre che il buio nasconde allo spettatore, ancor prima di ascoltarne le parole
che sfidano il sospiro del tempo. Un momento dello spettacolo Veronica © Andrea Avezzù
Federica Rosellini è Orfeo; allinizio
sta già in scena, avvolta in un autonomo e splendido candore da efebo:
lentamente si denuda, si trucca il viso con barba e baffi, si tuffa tra le
fronde di un mondo perduto, mentre le altre officianti, a petto nudo, evocano i
pensieri delle sue mogli, descrivono il travaglio di un parto difficile, si
alternano in unarrampicata disordinata sopra una parete da climbing. I movimenti e i passi delle brave attrici – Serena
Dibiase, Nico Guerzoni, Nunzia Picciallo, Elena Rivoltini – trascorrono oltre
la reminiscenza delle origini umane per scolorire nellinvisibile sfera dellaltrove.
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